Fiocco Carola - Gherardi Gabriella, catalogo della mostra Urbania 1997, Ancona 1997
Profilo storico della maiolica durantina nel secolo XVI.
Fin dal Medioevo a Urbania si produceva ceramica, come dimostra la nutrita serie dei frammenti di scavo e dei documenti emersi dagli archivi locali. Oltre a questo, l' antica Casteldurante gode di eccezionale prestigio nel campo degli studi ceramici per aver dato i natali a Cipriano Piccolpasso, per essere stata menzionata con onore dal Vas ari, e soprattutto per avere prodotto la stupenda coppa con lo stemma di papa Giulio IL Basta quest'ultima a qualificare la produzione locale, e ad innalzarla al livello dei centri più importanti, come la vicina Urbino. Erano inoltre di origine durantina alcuni fra i più noti maestri di istoriati residenti nella capitale del ducato, e conservavano a lungo l'appellativo di provenienza. Paradossalmente, alla fama non è seguita la conoscenza. Gli studi hanno avuto un andamento alterno, e hanno sofferto per scarsità di verifiche. Si sono infatti per lo più fondati su ipotesi e analogie stilistiche spesso considerate valide ad di là delle intenzioni di chi le ha proposte. Inoltre, la scarsa conoscenza sui centri limitrofi ha contribuito a viziare l'analisi della produzione durantina, portando talvolta gli studiosi ad attribuirle in esclusiva tipologie in realtà prodotte un po' ovunque. È il caso dei trofei marroni su fondo blu, che ora emergono in scavi di Pesaro, e che certamente verranno ritrovati anche altrove, se si continuerà a scavare, o delle coppe con le Belle, probabilmente diffuse in tutto il ducato. Di conseguenza è estremamente difficile, oggi, allestire una mostra sulla ceramica di Casteldurante che sia esauriente e corretta. O ci si attiene alle poche tipologie, per non dire oggetti, documentate, o inevitabilmente si finisce col rappresentare la "maniera durantina", quale è andata stratificandosi nella prassi attributiva, ovvero il mito di Casteldurante nella storia della ceramica. È questo anche il limite della presente mostra, che non ha la pretesa di essere infallibile nelle sue attribuzioni, e che per alcuni esemplari lascia ampio margine alla discussione. Gli studi non consentono di trarre conclusioni definitive, mentre opinioni i cui presupposti sono ormai da tempo dimenticati continuano a far da base ad attribuzioni divenute ormai tradizionali. Quando le cose stanno così, occorre tornare alle fonti, ripartire cioè da documenti e frammenti di scavo, ed è quanto si sta cercando di fare, ma per ora senza risultati definitivi.
1 Special
exibition of
uiorles of art
o] the
Medioeval,
Renaissance,
and more
Recent
Periods, on
l.oan at the
50uth Kensington
Museum, Londra,
South Kensington
Museum, june 1862
(catalogo a cura di
]. C. Robinson, ed.
riveduta e corretta
1863, n. 5, 159, pp.
402-404).
2 Inv. 1975.1.1015.
3 Fu fatta il 12 di settembre 1508 in Casteldurante, Giovanni (Zoan) Maria Vasaro.
4 Rasmussen, ltalian Majolica in the Robert Lehman Collection, New York 1987, n. 62 p.100.
5 Lo ritiene infatti una specifica allusione all'indissolubilità dei due aspetti del potere papale, spirituale e temporale iop.cit., p. 102).
Speriamo piuttosto, proprio con questa esposizione che ha sede in Casteldurante stessa, di dare impulso alla ricerca storica e archeologica, come è avvenuto per altri centri famosi. Pur non disponendo infatti di tutte le tipologie (mancano, ad esempio, gli splendidi soprabbianchi associati alla ghirlanda di foglie di quercia, fig. 1) essa risulta nel complesso esauriente per quel che riguarda la produzione in generale, e in special modo il vasellame da farmacia.
Qualunque studio sulla
ceramica durantina non
può prescindere da quello
che è il suo esemplare più
prezioso, la coppa di Zoan
Maria (fig. 2, a-b). Non
potendola
materialmente far
ritornare nella sua terra d'origine,
ci limiteremo a
riproporre la sua
immagine. Un tempo
proprietà del sesto
duca di Newcastle, poi di
Robert Lehman, la coppa
fu esposta a Londra nel
1862, (1) e divenne
dunque nota molto presto
agli studiosi. Il nome della
città vi compariva sul
retro, rendendo sicura
l'attribuzione
efocalizzando
l'attenzione su un
centro capace, già in una
data precoce come il 1508, di
produrre oggetti di
altissima levatura. La
coppa si trova oggi
nelle collezioni
del Metropolitan
Museum di New York, in cui è
confluita gran parte
della collezione
Lehman.(2). È ornata
con un motivo a grottesche
formato da satiri e da quattro putti
che sorreggono gli emblemi
papali e lo scudo dei Della
Rovere, sormontati
dal drappo della Veronica,
mentre in basso spicca fra
trofei d'arme lo scudo dei
Manzoli di Bologna. Sul
retro, in blu,
circondata da un
giro di foglie
frastagliate, la
scritta" 1508 adi 12 de
seteb/ facta fui
Casteldurat/
Zouamaria vro"(3).
La
coppa, secondo le
ricerche del Rackham riassunte
e precisate dal Rasmussen
nella relativa scheda
del
catalogo,(4) fu
probabilmente fatta eseguire
da Melchiorre di Giorgio
Manzoli, e donata al papa in
segno di gratitudine per
averlo chiamato, nel
dicembre 1506, a far parte
del senato bolognese di
recente costituzione, il
cosiddetto Consiglio dei
quaranta.
L'iconografia fu
forse scelta dallo stesso
Melchiorre, e costituisce
nel suo insieme un
omaggio al Della
Rovere, alludendo al
suo ingresso trionfale in
Bologna nel 1506 e al suo
ritorno a Roma l'anno
successivo, in occasione
del quale il papa fu
accolto da una enorme
quercia dorata issata
su un carro, mentre fanciulli
alati cantavano le sue
lodi. Anche la presenza della
Veronica, secondo il
Rasmussen, potrebbe
avere un significato
politico.(5)
Non è possibile stabilire, naturalmente, se Zoan Maria abbia decorato la coppa egli stesso, o piuttosto abbia apposto la firma come padrone di bottega. Generalmente, per motivi di comodo, si allude a lui come all' autore. Gli studiosi della prima metà del secolo, quasi i fondatori della storia della ceramica, erano soliti affermare che egli operava secondo il
Fig. 1. Piatto con
stemma, ornato a soprabbianchi e
ghirlanda policroma,
Casteldurante, c.
1540 (Faenza, Museo
Internazionale
delle
Ceramiche).
6 G. Ballardini, La maiolica italiana dalle origini alla
fine del
Cinquecento,
Faenza1994 (prima
edizione 1938), p.
98;
G. Liverani, La
maiolica italiana sino alla
comparsa della
porcellana europea, Milano
s.d., p. 31.
7 F. Negroni, Nicolò Pellipario ceramista fantasma, in "Notizie da Palazzo Albani", l, 1985, p. 17.
8 P. Berardi, L'antica
maiolica di Pesaro,
Sansoni, Firenze, p.
9 n. 7. Si tratta di una
lettera conservata
nella Biblioteca
Oliveriana di Pesaro (MS
375, Monumenti Rovereschi,
voI. IV, lettera
45, c. 131) la cui
calligrafia, a detta
dell' autore, non
corrisponde a
quella sul
retro della coppa
Lehman, ma che potrebbe
essere stata dettata a
uno scrivano.
9 F. Negroni, op.cit., p. 18, nota 33.
10 G. Castellani, L'arte ceramica a Fano, in "Faenza", XIX, 1931, 2-3, p. 64.
canone faentino, e che lo aveva trapiantato a Casteldurante.(6)
Anzi, il Ballardini vedeva in lui il maestro che aveva
congiunto la sobrietà cromatica del primo istoriato faentino con un gusto più
ricco, volto alla gamma dei gialli,
all' origine dello" stile bello" . In
realtà, nessun particolare motivo impone a Zoan Maria l'apprendimento del
canone faentino.
Nel 1508le officine pesaresi erano in
piena attività e avevano già prodotto maioliche di straordinaria
bellezza, attirando l'attenzione perfino della marchesa di Mantova Isabella
Gonzaga. Degli altri centri marchigiani sappiamo poco relativamente a
quest'epoca, ma ci sembra molto plausibile l'attribuzione a
officine di Pesaro o Fano delle mattonelle del tipo "Casa Cavassa",
collocabili alla fine del Quattrocento, mentre è noto che a Gubbio, anch' essa
gravitante sulle Marche e parte del ducato, operavano già i maestri che
producevano illustro. È dunque probabile che, per la sua
formazione, Zoan Maria non sia dovuto andare troppo
lontano.
Quanto alla sua figura storica, è stata
avanzata l'ipotesi che egli possa identificarsi con Giovanmaria di
Mariano, più tardi noto con il cognome Viviani, documentato quale
testimone a Urbino nella bottega di Girolamo Bartolini il 22 ottobre 1520 assieme a Nicola di Gabriele
Sbraghe.
Nell'atto entrambi sono però
chiamati "figuli de Urbino".
Giovanmaria di Mariano ebbe in seguito, nel
1538, come allievo Federico Brandani, che divenne poi
suo genero.(7) È possibile che egli sia quel
"Zuan Maria bochalaro" suddito del Duca di Urbino che l' 8 agosto del 1523 si
trovava a Venezia.(8) È anche uno dei capi-bottega il cui nome
compare in un documento del 7 agosto 1530, nel
quale essi si accordano sul comportamento da tenere nei confronti di
alcuni dipendenti dell'arte che avanzavano pretese.(9) Se in precedenza si
trovava a Venezia, per quella data è dunque rientrato in Urbino. Un
"Giovan Mariaboccalero" È elencato anche
nei "Capitoli della Santa Unione degli Artisti Fanesi per ristabilire la pace nella
Città" per il 1535, ma in questo caso è assai
dubbio che si tratti della stessa persona (10).
Le identificazioni sulla base di nomi cosÌ comuni come quello di Zoan Maria
lasciano sempre grossi margini di perplessità. Nello stesso
tempo, appare strano che un vasaio dotato al punto da produrre un
simile capolavoro non abbia lasciato tracce nella documentazione
d'archivio.
Altrettanto inaccettabile è apparso il fatto che la sua produzione possa limitarsi a due soli
esemplari, la coppa di Giulio II e un' altra con la raffigurazione di un tritone che reca in
groppa un fanciullo, oggi in collezione privata di
Bremen, talmente vicina all' opera firmata da essere
indiscutibile. Venne quindi attribuita a Zoan Maria, soprattutto ad opera
del Rackham, una serie piuttosto
numerosa di piatti e coppe per lo più a grottesche, assimilabili
alla coppa originale per un gusto cromatico basato sui
toni ambra e azzurro
Fig. 2 a, b. Coppa con
l'emblema dipapa Giulio II della
Rovere e
grottesche, Casteldurante,
Zoan Maria Vasaro, 1508 (New
York,
The Metropolitan
Museum of Art)
11 B. Rackham, Der maiolikamaler Giovanni Maria von Castel Durante, in "Pantheon", 2,1928, pp. 435-445; 3,1929, pp. 88-92.
12 Rasmussen, ltalian Majolica in the Robert Lebman Collection, New York 1989, pp. 106-107.
13 Iov. MLA1855, 12-1,59,
in T. Wilson, Ceramic Art of
ltalian Renaissance, Londra 1987, n. 117 pp. 80-81; inv. 1713-1855, in B.
Rackham, Victoria and Alberi Museum, Gtade toltalian Majolica, Londra 1933, p. 59; id, Ilictoria and Albert
Muscum, Catalogue
of
ltalian Maiolica, 2.vo11., Londra 1940, n. 618.
14 G. Raffaelli, Memorie
istoriche delle maiolicbe lavorate in
Castel Durante o sia
Urbania, Fermo 1846, p.
17.
15 C. Leonardi,I1
pavimento in maiolica della cappella dei
conti
Oliva, in Il
convento di
Montejioreruino, atti del
Convegno del 29 agosto
1979, San Leo 1982, pp.
160-161.
nerastro e per la presenza di ardite figure di giovani, di grandi putti talora dalla testa calva, e di trofei. (11)
Oggi quello che allo studioso inglese appariva come un gruppo omogeneo si presenta invece estremamente diversificato, eseguito certamente da più mani e probabilmente da più botteghe. Caduto il legame con Zoan Maria, cade di conseguenza quello con Casteldurante, e gli autori dei cataloghi più recenti preferiscono estendere l'attribuzione della tipologia a tutto il Ducato di Urbino. Nondimeno il Rasmussen, affrontando la questione a causa di un piattello della collezione Lehman appartenente al gruppo, continuava a considerarlo durantino al di là di ogni dubbio, poiché il colore indicava, a suo avviso, un'origine non troppo lontana a quella della coppa di Giulio II (12) L'argomento attende ancora un riesame approfondito, ma per quanto riguarda il piattello che qui viene presentato alla scheda n.1, anche noi preferiamo attenerci all' attribuzione durantina, seguendo l'indicazione dello studioso tedesco, fra i pochi ad aver avuto la possibilità di istituire un confronto diretto con la coppa firmata. La data non dovrebbe scostarsi molto dal 1510-20, un periodo in cui la ceramica non appare ancora sviluppata nel vicino centro di Urbino.
Alla coppa di Zoan Maria seguono, di sicura esecuzione durantina, i vasi da farmacia di Sebastiano di Marforio. Si tratta di due vasi a corpo globulare ornati a grottesche, con uno stemma non identificato che campeggia entro una ghirlanda, e sul collo un emblema di farmacia con due "F" sovrapposte. Entrambi si trovano a Londra, uno nel British Museum (fig. 3) e uno al Victoria and Albert Museum, (13) e sul primo è scritto che fu fatto l' 11 ottobre 1519 nella bottega di Sebastiano di Marforio in Casteldurante. Il Raffaelli riferisce di quattro vasi che fino al 1837 si trovavano nella farmacia Purgotti di Cagli, e che furono poi portati a Parigi (14). È probabile che i due di Londra ne facessero parte, mentre degli altri due si sono perse le tracce. Grazie alle ricerche di Corrado Leonardi, qualche notizia ci è giunta di Sebastiano, figlio di Antonio di Battista detto Marforio, ricordato in alcuni atti notarili della fine del secolo XV. Alla morte del padre, avvenuta probabilmente attorno al 1505 , prese la guida della bottega paterna, e proseguì l'attività per circa quaranta anni, arricchendosi e ricoprendo cariche civili. Nel 1507, ad esempio, Eleonora Gonzaga lo scelse per far parte dei Priori del Monte di Pietà. Il suo testamento risulta rogato nel 1541, e fu seguito in breve tempo dalla morte (15).
Fig. 3. Vaso da farmacia con stemma e grottesche, Casteldurante, bottega di Sebastiano di Ma rforio, 1519 (Londra, British Museum).
16 R. Gresta, "Ne la botega de Sebastiano de Marforio": nuove ipotesi sul Pittore "In Castel Durante", in "CeramicAntica", a. 5, n. 7 (luglio-agosto 1995, pp. 33-53.
17 ]. Mallet, Majolica at Polesden Lacey II: Istonato wares and [igures of birds, in "Apollo", novembre 1992, pp. 340-34l.
18 Per un repertorio
delle opere
datate, v. G.
Ballardini,
Corpus della
Maiolica italiana,
I, Le
maioliche
datate al 1530, Roma 1933.
19 ].V.G. Mallet, Xanto: i suoi compagni e seguaci, in Francesco Xanto Avelli da Rovigo, Atti del Convegno Internazionale di Studi; Accademia dei Concordi, Rovigo, 3-4 maggio 1980, Rovigo 1988.
20 Per un' analisi
della questione
relativa alla
presenza di
Giovanni Luca nella
bottega Andreoli, v.
C.Fiocco G.Gherardi,
Museo Comunale di
Gubbio,
Ceramiche,
Perugia 19 8, pp. 33-35.
21 Dopo Burr Wallen (A Maiolica Panel in the Widener Collection, in NationalGallery of Art, Report and Studies in the History of. Art, Washington, pp. 92-105), la parola definitiva in proposito l'ha
detta il già citato
articolo di Negroni;
Nicolò Pellipario
ceramista
fantasma.
Per analogie stilistiche
e soprattutto cromatiche con
le grottesche dipinte sui
due vasi da farmacia
di cui sopra, è stato ipotizzato
che abbia operato presso
Sebastiano di Marforio un notissimo
maestro di istoriati il cuinome non ci è
pervenuto,(16) e che viene
generalmente
chiamato "In Casteldurante
Painter", (17) poiché è solito scrivere
sul retro delle sue opere, in
giallo, il luogo e la data di
esecuzione. Egli dipinge per lo
più coppe su basso piede, e risulta attivo
all'incirca dal
1524 al 1526 (fig. 4) (18)
Secondo la consuetudine il
pittore deriva i propri
modelli dalla grafica, specie
raffaellesca, e non appare particolarmente
abile nella trasposizione, nella
quale mostra anzi rigidezza e
talune incertezze. Deve però il proprio
fascino alla gamma fredda e luminosa dei
colori, e al nitore delle figure
ombreggiate a grisaille.
L'unico istoriato presente in
questa mostra, la coppa con la
Resurrezione (scheda n. 2), non
appartiene alla sua mano, poiché il
segno è diverso e manca il gusto
della lumeggiatura in
bianco.
C'è però una
somiglianza nella
stilizzazione delle figure,
che spiccano monumentali sullo
sfondo del paesaggio,
denotando una certa
affinità.
È opinione comune che
l'istoriato abbia avuto grande
rilievo nella produzione durantina.
Erano di origine durantina Guido
Fontana, forse il più importante dei capi-bottega
urbinati, e il pittore
Francesco Durantino, che lavorò presso
Guido di Merlino e più tardi si trasferì
a Montebagnolo nei pressi di
Perugia. Sforza di Marcantonio de
Julianis proveniva da
Casteldurante,(19) pur lavorando a
Urbino e Pesaro, come pure
quel Giovanni Luca che Maestro
Giorgio Andreoli chiamò
presso di sé per dipingere istoriati
nel 1525 (20). È impossibile però
stabilire quanto avessero appreso dell'
arte nella città natale, e quale
ruolo questa ricopra
nell'enorme sviluppo e diffusione
che l'istoriato assume ad Urbino a
partire circa dal 1520. Purtroppo, la fama
di Casteldurante nel campo
dell'istoriato si basa su un equivoco,
forse il più famoso ed
esemplare nella storia della
ceramica, secondo il quale il grande
Nicola da Urbino era da
identificarsi con Nicolò Pellipario,
padre di Guido
Durantino-Fontana. Avrebbe di
conseguenza svolto la
prima parte della sua attività
in Casteldurante prima del
trasferimento a Urbino, dove
Guido è attestato da11519 e
dove gestiva una bottega nella quale
avrebbe lavorato saltuariamente
anche il padre. Il nome di Nicola in monogramma
compare infatti su un grande piatto col
Martirio di Santa Cecilia del Museo
del Bargello, eseguito presso Guido
nel 1528.
Col senno di poi, sembra impossibile che l'equivoco abbia resistito tanto a lungo, e sia stato sostenuto da studiosi di grande serietà come il Rackham e il Ballardini. Oggi si sa che l'identificazione era affrettata, che il Nicolò Pellipario padre di Guido, della famiglia Schippe, faceva probabilmente il pellicciaio, come il suo soprannome implica, mentre il maiolicaro Nicola era del tutto urbinate (21). È stato un brutto colpo, per la maiolica durantina, vedersi sottrarre quello che molti considerano il più dotato fra i maestri di istoriato.
Fig. 4. Coppa con Madonna, Bambino e S Giovannino, Casteldurante, Pittore "in Casteldurante", 1525 (Arezzo, Museo Statale d'Arte Medioevale e Moderna).
22 B. Rackham, Op. at., Londra 1940, II, pp. 577-585.
23 M. Mancini della Chiara,
Maioliche del
Museo Civico
di Pesaro,
Regione Marche e
ComunediPesaro, 1979,n. 105.
24 Sono datate" 1546" due
coppe rispettivamente nel
Kunstgewerbemuseum der
Stadt di Colonia e nel Victoria and
Albert di Londra (in B.
Klesse,
Majolika,
Koln 1966, n. 290,
p.157,einB.Rackbam,op.cit.,
1940, n. 590).
Inoltre al Victoria and Albert è
anche una coppa con
immagine maschile,
"Francesco D Lorenzo",
datata "1559" (ib., n.
592)
25 Inv. Cluny 7552, in ]. Giacomotti, Catalogue des majoliqu es des musées nattonaux, Parigi 1974,n. 804, pp. 245-246.
26 B. Rackbam, op.cit., 1940, nn.552-558.
27 G. Polidori, Niccolò Pellipario e le'Belle" di Pesaro e altrove, in "Studi Artistici Urbinati", 1956,2,pp.57-70.
Con Nicola presenta alcune analogiestilistiche il pittore "In Casteldurante", tanto che un tempo era noto con l'appellativo poco lusinghiero di "Pseudo- Pellipario", (22) ma questo è dovuto agli scambi continui fra Casteldurante e Urbino, che favoriscono il formarsi di manierismi comuni.
La supposta durantinità di Nicola
ha fatto sì che venisse
attribuita a
Casteldurante anche una
numerosa serie di "Belle", molte
delle quali venivano
ritenute di sua mano. Si tratta
di immagini di donna a mezzo
busto, di profilo o di
fronte (più raramente
maschili o di coppie),
eseguite per lo più su una
forma tipica della produzione
marchigiana, la coppa dal
piede basso e dalla parete
leggermente incurvata. Dietro di
loro si svolge un cartiglio su cui
è scritto il nome
seguito dall' appellativo
"Bella", talvolta abbreviato nella "B"
iniziale. Raramente sono
ritratti veri e propri. I
ceramisti disponevano di alcuni modelli
che utilizzavano
ripetutamente,
cambiando il nome e
qualche
particolare
decorativo. Le
"Belle" come genere sono diffuse un po' ovunque
nella maiolica
rinascimentale, con particolare riguardo a
Deruta e al ducato di
Urbino.
Erano
probabilmente omaggi che i
giovani facevano alle innamorate,
assimilandole, dove il
nome lo consentiva, a
personaggi della storia e della
leggenda: così la "Bella
Marfisa" sarà fornita di armi, e
Lucrezia avrà un pugnale
per difendere la propria castità.
Il più antico esemplare
datato a noi noto si trova
nel Museo Civico di Pesaro, è del
1522 e rappresenta il profilo armato di
Faustina, circondato da
una ghirlanda (23). Si può dunque supporre
che il genere abbia avuto inizio
verso il 1520, in coincidenza
col fiorire della
ceramica urbinate, e sia
durato fin oltre la metà del
secolo (24). La "LIONORA
BELLA” qui esposta (scheda
n. 3) non appartiene certo alle versioni
più eleganti, è però
l'unico esemplare
disponibile per rappresentare una
tipologia così importante, e
trova una corrispondenza
precisa in una coppa del
Musée national de la
Renaissance di Ecouen recante la
stessa immagine e la stessa
scritta (25).
È estremamente probabile
che le "Belle" appartengano a tutti
i principali centri del
ducato, non esclusa Gubbio,
dove Maestro Giorgio Andreoli
assumeva decoratori provenienti
da Casteldurante e
Urbino, e dove furono, a nostro avviso,
eseguite per la maggior parte
quelle arricchite col
lustro. A
Casteldurante la loro
presenza è finora
testimoniata da qualche
frammento di scavo, senza
però assumere nel contesto un
particolare rilievo. Come
abbiamo visto, la
tradizionale attribuzione
durantina di questa
affascinante tipologia ceramica
si lega inizialmente al
"Pellipario".
A lui il
Rackham attribuisce
una serie di coppe con busti
maschili e femminili nelle
collezioni del Victoria and
Albert Museum di
Londra,(26) seguendo
l'indicazione del Falke e col
pieno consenso degli altri
studiosi di ceramica, fra cui il
Polidori." Con
particolare
insistenza, al "Pellipario
"
28 Per un elenco delle
coppe appartenenti a questa serie, v.
]. Rasmussen,
op.cit., 1989 pp.
244-245.
29 R. Gresta,
op.cit., 1995, p.
193 e fig. 101
(Museo
Internazionale
delle Ceramiche in Faenza,
collezione Fanfani, inv.
24935); C. Ravanelli
Guidotti,
Maiolzche italiane.
Collezione Chigi
Saracini del
Monte dei
Paschi di Siena,
Firenze 1992, n. 12, p.
107.
30 Berardi,
op.cit., 1984, fig. 89,
p. 297.
veniva attribuito un gruppo di coppe di eccezionale qualità, recanti le immagini a mezzo busto di uomini illustri e donne della storia e della leggenda, fra cui la "CARENDINA" (fig. 5) della collezione Lehman, oggi al Metropolitan Museum di New York, e lo "SCANDERBECH" della collezione Gillet ( Musée Lyonnais des Arts Décoratifs).(28)
Col tramontare dell'ipotesi
durantina per Nicola, restituito alla
sua patria urbinate, si potrebbe
pensare che queste ultime coppe, e le "Belle"
in genere, venissero di
conseguenza attribuite altrove.
È interessante constatare come questo
generalmente non avvenga, e come
l'attribuzione a Casteldurante
persista su basi diverse.
Il Rasmussen, ad esempio, ritiene
che il gruppo "Carendina" sia
stato eseguito nella bottega di Zoan Maria Vasaro,
e ne anticipa quindi la data almeno al 1510-20. Altri
preferiscono
un'associazione
stilistica col pittore "In
Casteldurante", e vi
includono anche le "Belle"
dipinte al centro di piatti in bicromia blu -
grisaille, ornati attorno alla tesa da
trofei e grottesche, fra cui
uno particolarmente raffinato si
trova nella collezione Fanfani del
Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza.(29)
In questo caso la data andrebbe posta circa alla
metà degli anni Venti, in accordo con
un esemplare del 1526 nella Wallace
Collection di Londra. Tuttavia,
per quel che riguarda la cronologia,
assume particolare
importanza un piatto qui esposto
(scheda n.10) datato" 1541",
vicinissimo a quello Fanfani nella
stilizzazione dei trofei e nella
finezza del tratto e della gamma
cromatica, che suggerisce un protrarsi di
questa elegantissima tipologia ben oltre
l'opinione corrente.
Accanto a
questa versione dell'ornato a
trofei, accuratissima e un po' fredda, se ne
afferma verso la metà del secolo una più
sbrigativa, in cui scudi,
armature, faretre e tamburi
sono velocemente delineati in marrone su un fondo blu
solcato a sgraffio da
nastri ricurvi. Essi circondano la tesa di numerosi
piattelli (schede nn.14-17), che spesso
recano al centro amorini in vari
atteggiamenti su un fondo
giallo, affiancati talvolta da arbusti privi di
foglie. Nei reperti di
scavo durantini questi amorini si trovano
spesso, e questo
consente di attribuire con certezza i
piattelli alla produzione locale. Anche
i trofei marroni su fondo blu compaiono nei
frammenti di scavo, tuttavia il fatto
che siano stati trovati con caratteristiche simili nel
sotto suolo di Pesaro (30) fa pensare che siano
diffusi anche in altri centri del ducato.
Questo consente un margine di
incertezza nell'
attribuzione a
Casteldurante del corredo da
farmacia con l'emblema della Fortuna (schede
nn.18-23), fra i più importanti nella maiolica
cinquecentesca italiana, datato in
alcuni esemplari "1579" e in altri "1580".
I vasi che ne fanno parte si
distinguono per l'immagine della dea nuda, in piedi
su un delfino, in atto di reggere una vela,
spesso raffigurata con qualche piccola
variante oppure in controparte. Il resto
della superficie è ornato a trofei
31 Ringraziamo il dr. Gian Carlo
Bojani per il
suggerimento. L'antico
nome di Fano, "Fanum Fortunae", era
dovuto alla presenza
di un
tempio della Dea
Fortuna nell'antico
centro romano.
D'altro canto esiste,
in possibile
collegamento con
I'iconografia di questo
corredo farmaceutico e
con la sua cronologia, la
statua della Fortuna in
bronzo, collocata sulla
fontana al centro della
città, ope-
ra
dell'urbinate Donnino
Ambrosi, del 1567.
32 V. ]. Giacomotti, op.cit., 1974, nn. 979-992.
33 Inv. 1963.302, in C. Curnow, Italian Maiolica in tbe National
Museums of Scotland, n. 81, p. 73.
34 G. Raffaelli,
op.cit., 1846, p.
59.
35 A. Ragona,
Maiolicbe
casteldurantine del
sec. XVI per un
committente
siculo-genovese,
in "Faenza", LXII, 5-6, pp. 106-109.
36 Col termine "alla
veneziana" si intendono,
secondo il
Piccolpasso, gli ornati a
grandi foglie frastagliate.
di armi, fra i quali spiccano
talvolta cornucopie o cartigli
contenenti la data. Non è stata individuata la
farmacia di appartenenza, a meno che l'emblema non sia
da mettere in relazione
con l'antico nome diFano, "Fanum Fortunae"
(31). È un corredo numerosissimo,
disperso in collezioni pubbliche e private, di
cui un nucleo
rappresentativo si trova nei
musei nazionali francesi del Louvre e
di Ecouen.(32)
L'iconografia
della Fortuna come divinità
marina non è frequente, e deriva
probabilmente da stampe di Baccio Baldini o
di Nicoletto da Modena. Si ritrova simile su
un piatto del Royal Scottish
Museum di Edimburgo, che reca sul retro
la scritta "Fuortuna" (33)
Il vasellame da farmacia a
trofei, che nel corredo con la
Fortuna trova una delle sue versioni più
belle, continua ben oltre la fine del secolo,
variando gli emblemi a seconda della
committenza e diventando
via via meno accurato. Lo schema
decorativo a trofei con una zona
risparmiata a fondo giallo su cui spicca
l'emblema si ritrova ancora nel corredo con
l'Angelo (scheda
n.24), già secentesco, che
reca il cartiglio
nella parte posteriore,
per facilitare la presa allo speziale. È a
partire dalla metà circa del
secolo XVI che l'importanza di
questo vasellame nella
produzione durantina sembra
accentuarsi, e dare luogo a grosse
ordinazioni destinate all'
esportazione. Alcuni documenti già menzionati
dal Raffaelli,(34) ma letti e
correttamente interpretati da Antonino Ragona
nel 1976 (35) forniscono
informazioni preziose. Da essi
risulta che il genovese Nicola
Canizia, abitante a Palermo, stipula
significativi contratti con
alcuni vasai durantini.
Il 24 novembre del 1548
egli impegna il vasaio
durantino Ubaldo della Murcia ad
eseguire sei fontane a
decorazione plastica di
cui egli stesso fornisce il disegno,
intendendo con questo nome forse
grossi vasi forniti di rubinetto al centro del
ventre, che andavano collocati in
nicchie fuori o dentro
le abitazioni. Due giorni dopo, i126
novembre, stipula un altro contratto con i maestri
vasari Luca ed Angelo Picchi per
la fornitura di una grossa quantità di
vasellame di varia misura e forma,
in gran parte decorato a trofei e alla
veneziana, alla cui
realizzazione parteciperanno anche
Ubaldo della Murcia, suocero di
Luca, e il maestro Simone
di Pietro da Colonnello. Il 22 febbraio 1550 il
Canizia commissiona a Ubaldo
altre tre fontane, "bene pinte et di
belli colori" con storie
bibliche, mitologiche e tratte
dalla storia romana, che avrebbero
dovuto essergli consegnate in Firenze,
dove doveva avere un recapito
o un rappresentante. Contemporaneamente
impegna Luca Picchi per
un'altra partita di vasellame, fra cui "50
Albarelli pinti a trophei
(grandi) e a quartieri", e altri
alla
venetiana.(36)
Nell' ambito di quella forni
tura il maestro Guido Bernacchia si obbliga presso lo stesso
notaio, il 25 del mese, a
fornirgli "vasa 300 spetiarie". A
proposito dei vasi viene
specificato, nel contratto
Fig. 5. Coppa con zl profilo di "CARENDINA", Casteldurante, Zoan Marza Vasaro?, C 1510-'20 (New York, The Metropolitan Museum of Art).
37 V. note 14 e 15, eC.
Grigioni, Figulini
di Castel
Durante a Roma nel
Cinquecento, in
"Faenza", XXXI,
1945, p. 84.
38 C.
Leonardi, op.cit.,
1982, p.164.
39 Ibidem, p. 165.
Si tratta forse di quel
Diomede Durante
nella cui bottega il
pittore Giovan Paolo
Savino, nel 1600,
eseguì i grandi
vasi biansati
ornati a
"raffaellesche" e a
fogliame, ossia "alla
veneziana",
conservati
nell'Ashmolean Museum di
Oxford (T.Wilson,
Maiolica, Oxford 1989,
n. 29, p. 66.
40 Ibidem, p.168.
41 A. Ragona, op.cit.,
p. 109.
42 R.E.A. Drey,
Pots de pharmaCle du duché
d'Urbino à décor dit "istoriato",
in "Revue d'Histoire
de la Pharmacie", n.
32,1985, pp.
5-12; 34,1987,
pp. 195-200
col Picchi, che debbono essere " ... colorata pulcri coloris et alba secundum monstram seu paragonem existentem et positum penes me notarium." Il 26 un altro vasaio, Giovanni Giacomo Superchina, partecipa alla commissione Picchi impegnandosi a fornire, fra l'altro, trecento pezzi da spezieria fra cui venticinque albarelli alla veneziana.
I vasai menzionati risultano anche nei documenti di archivio rintracciati dal Raffaelli, dal Grigioni e dal Leonardi: (37) i Picchi sono attestati fin dal 1498, e i due fratelli Ludovico (Luca?) ed Angelo reggono la bottega a cavallo della metà del secolo. Il Leonardi cita per il 1562 un'altra ordinazione di quattrocento vasi da farmacia tramite Andrea Boerio di Palermo, a proposito della quale sorge una questione giudiziaria per un ritardo nella consegna.(38) In seguito i due fratelli si trasferiscono a Roma dove, in data 1 luglio 1565, affittano una bottega nel rione Monti e dove Ludovico muore nel 1579. Giovanni Giacomo Superchina è figlio di Girolamo e nipote del primo esponente documentato della famiglia, Giacomo, attivo fra la fine del secolo XV e gli inizi del successivo. Nel 1548 affitta la propria bottega a Simone Superchina, nel 1570 si mette in società con Nicola Bistugelli di Sassoferrato e nel 1579 è anch' egli a Roma, dove abiterà anche il figlio Diomede.(39) Quanto a Simone da Colonnello, si tratta probabilmente di Simone di Pietro Francesco Marini, che regge a lungo la bottega paterna fino alla morte, avvenuta nel 1580. (40)
Non si conosce la destinazione del vasellame da farmacia che con tanta abbondanza veniva acquistato dal Canizia. Poiché questi abitava a Palermo, è plausibile che dovesse essere inviato in Sicilia, malgrado la consegna di alcune "fontane" a un recapito fiorentino, che poteva costituire una tappa intermedia nel viaggio verso il sud.(41) A questa conclusione induce anche la commissione dell' altro mercante palermitano, Andrea Boerio. Per quel che riguarda il vasellame, si tratta senz'altro di quei numerosissimi albarelli e vasi a balaustra di uso farmaceutico ornati a trofei e grottesche entro quartieri, oppure a istoriato, dai colori vivacissimi, sui quali compare talvolta il nome della città e che datano appunto attorno alla metà del secolo. I vasi hanno un caratteristico profilo ondulato, con lieve restringimento centrale, mentre gli albarelli sono di varie dimensioni e forme, alti e stretti, più bassi e allargati, oppure con accentuata rastremazione centrale. Basandosi sugli stemmi che compaiono su una parte dei vasi, è possibile enucleare almeno due corredi. Il primo, di cui fa parte 1'albarello alla scheda n. 9, è stato esaminato dal Drey in due studi successivi comparsi sul bollettino della Société d'Histoire de la Pbarmacie francese nel 1985 e nel 1987.(42) È contrassegnato da uno scudo ovale su cui è un bue davanti a una torre sormontata da sette stelle d'oro, il tutto attraversato da una banda rossa.
43 G. Gardelli, A gran fuoco, mostra di maiolicbe nnascimentali dello stato di Urbino da collezioni private, Urbino 1987, p. 124.
44 Inv. OA 1892, in]. Giacomorti, op.cit., 1974, n. 792, p. 240.
45 RE.A. Drey, op.cit., 1985, p.12.
46 M. Mancini Della Chiara, op.at., 1979, nn. 236, 238.
47 C. Fiocco, G.
Gherardi,
Ceramiche
Italiane dal
Rinascimento
al Barocco,
Faenza 1986, pp.74-75. La
possibile lettura del nome
Ludovico,
estremamente
difficile visto che
le lettere non sono affatto
chiare, ci è stata
suggerita da Tirnothy
Wilson, in analogia
alla scritta sull'
albarello Bayer citato
più oltre.
48 Sévres, Musée
Nationàl de la
Céramique, inv.
4625, in J.
Giacomotti,
op.ctt., 1974, n.
794, p. 241.
49 Invv. Cluny 2372 e 2373, in ]. Giacomotti, op.cit., 1974, nn. 795, 796, pp. 241-242.
50 Inv. Fraternita dei
Laici 14614, in
C.D. Fuchs,
Maioliche
istoriate
rinascimentali
dell'vI
useo
statale
d'arte
medioevale e
moderna di
Arezzo,
Arezzo 1993, n. 217,
p.233.
Per esso sono stati fatti i nomi delle
famiglie Della Torre di Ravenna e Torelli di
Forlì.(43) L'altro corredo ha
invece uno scudo con un leone rampante, ai lati
del quale sono le
iniziali "G" e "F"
(fig. 6). Talvolta,
frammisti alla
decorazione, si trovano
cartigli che specificano il luogo di
produzione e la data, rendendo sicura
l'attribuzione. Citeremo ad esempio un
albarello del Louvre con
lo stemma del bue davanti alla torre,
che reca entro l'ornato a
grottesche e trofei la scritta "in Castello durante",
seguita da una data che la Giacomotti legge
"1541",(44) ma che il Mallet ritiene sia invece"
1562" o "1563" (45) Questo si
accorderebbe con la data "1563" su un
vaso a balaustra e un albarello
dello stesso corredo conservati
nelle collezioni del Museo Civico di
Pesaro.(46) Assai simile
all'albarello del Louvre è un
esemplare in collezione privata, su cui si leggono le
parole "Fatto in Castello
Durante", e forse il nome
Ludovico.(47)
Un albarello di
forma diversa, più bassa e
larga, non stemmato, anch' esso ornato
con grottesche e trofei entro
quartieri e con un profilo di "Bella" entro
una ghirlanda porta la scritta "in
castello Durante apreso a urbino
miglio 7", e la data"
1555" (48) mentre su altri due del
museo di Ecouen si legge
rispettivamente "in terra
durante" e "fato in tera durante apreso a la cita
durbino" (49) È legittimo collegare
questo vasellame con le cospicue
ordinazioni citate nei
documenti. A riprova, su
alcuni vasi ricorrono i nomi degli
stessi artefici: "mastro Simono"
su un vaso a balaustra della serie del
Leone rampante nelle collezioni
del Museo delle ceramiche di Faenza,
eseguito "In
Castello durante" il 20 giugno
1562,(50) "Ludovico Picchi" su
un albarello inedito della
collezione Bayer della serie "bue
davanti alla torre", come ci comunica
Timothy Wilson che si accinge ad illustrarlo in un
catalogo in fase di pubblicazione.
Impossibile dire se si tratti proprio del
vasellame commissionato dal
Canizia, visto che i vasai durantini
avevano certo anche altri
committenti; la tipologia dovrebbe però
essere quella.
Si tratti di figure grottesche o di veri e propri istoriati, le decorazioni su questi vasi, e in particolare sul corredo datato" 1563" e stemmato col bue davanti alla torre, corrispondono allo stile di un pittore chiamato convenzionalmente "Andrea da Negroponte". Il nome, che non trova riscontro nella documentazione d'archivio, si trova scritto dietro una coppa baccellata del Museo Medievale statale d'arte e moderna di Arezzo con la rappresentazione della gara tra Apollo e Marsia (fig. 7), e il fatto che venga subito dopo l' enunciazione dell'" argomento" fa pensare alla firma del pittore. Andrea ha una maniera così caratteristica, un po' scoordinata e vivacissima anche nei colori, da risultare facilmente riconoscibile. Il repertorio delle opere che gli sono attribuite risulta assai ricco, e reca date
Fig. 6. Vaso da farmacia con stemma e grottesche, Casteldurante, Maestro Simone, 1562 (Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche).
51 Ibidem, nn. 217
-231, secondo le
attribuzioni del
Fuchs.
52 J. Lessmann,
Italienische
Majolilea,
Braunschweig 1979,
nn.l02-121.
53 Ibidem, p.148.
54 A. Alciati, Emblemata, Venezia 1534.
55 G. Vasari, Le Vite de più eccelenti Architetti; Pittori, et Scultori Italiani, G. Milanesi ed., Firenze 1881, VI, p. 581.
comprese fra il 1550 e il 1565. Nello stesso museo di Arezzo ne sono conservate altre,(51) mentre un grosso nucleo si trova nell'Herzog Anton Ulrich Museum di Eraunschweig. (52) Sotto il suo nome hanno finalmente trovato una collocazione opere in passato attribuite alle località e alle botteghe più disparate, da quella" con i draghi" a Giorgio Picci a Guido di Merlino.(53) In questa mostra è presente un piattello istoriato eseguito da Andrea (scheda n. 8), del servizio "SAPIENS DOMINABITUR ASTRIS", così chiamato dal motto che lo contraddistingue. È tratto da uno degli "emblemata" dell'Alciati ("Astra regunt homines, sapiens dominabitur astris, et poterit notis cautior esse malis"),(54) e sormonta uno stemma non identificato, di cui sembrano far parte la quercia dei Della Rovere e l'aquila dei Montefeltro.
L'identificazione
del cosiddetto Andrea da
Negroponte come
pittore del corredo
farmaceutico con lo stemma
del "bue davanti alla
torre" implica che egli
abbia lavorato a
Casteldurante, presso la
bottega di Ludovico
Picchi o di qualcuno degli
altri vasai che
collaboravano con lui.
Attorno alla metà del
secolo, egli è l'unica
presenza sicura nel
panorama durantino.
Eppure proprio in questo
periodo la città
riceve, sul tema
dell'istoriato,
l'omaggio del Vasari.
Questi, nella seconda
edizione delle Vite,
pubblicata a Firenze nel
1568, narrando la vita di
Battista Franco, riferisce
che il duca di Urbino Guidubaldo II
e il pittore Girolamo Genga non
erano rimasti contenti degli
affreschi eseguiti da
Battista nella
cattedrale, meno belli
rispetto ai disegni: "E nel
vero per fare un bel disegno
Battista non avea pari
e si potea dir valente uomo. La
qual cosa conoscendo
quel Duca e pensando che i suoi disegni, messi
in opera da coloro che
lavoravano
eccellentemente vasi
di terra a Castel Durante, i
quali si erano molto
serviti delle stampe di
Raffaello da Urbino e di quelle
d'altri valentuomini,
riuscirebbono benissimo,
fece fare a Battista infiniti
disegni, che messi in opera
in quella sorte di
terra gentilissima sopra tutte
l'altre d'Italia,
riuscirono cosa rara.
Onde ne furono fatti tanti e di
tante sorte vasi, quanti
sarebbono bastati e stati
orrevoli in una credenza
reale, e le pitture che in
essi furono fatte non sarebbono
state migliori,
quando fussero
state fatte a olio da
eccellentissimi maestri". Il duca
mandò poi, del
vasellame così ottenuto, una
credenza doppia
all'imperatore Carlo
Quinto e una al cardinale
Farnese suo cognato. Il Vasari prosegue
con altre
considerazioni sulla
ceramica e conclude dicendo che
"... ancora che di sì
fatti vasi e pitture si
lavori per tutta Italia, le
migliori terre e più
belle nondimeno sono
quelle che si fanno, come ho detto, a Castel
Durante, terra dello
stato d'Urbino ... “(55).
Non si potrebbe desiderare un elogio migliore.
Fig. 7. Coppa baccellata
con la Contesa fra Apollo e
Marsia, Casteldurante, Andrea da
Negroponte, c. 1558-'60 (Arezzo,
Museo
Statale d'Arte Medioevale e
Moderna).
56 T.M. Clifford, ].V.G. Timothy-Mallet, Battista Franco as a Designer for Maiolica, in "Burlington Magazine", 118, 1976, p. 400.
57T Wilson, Maiolzca, Oxford 1989, n. 29, p. 66.
Rimane il dubbio, visto che lo stile del Negroponte non appare tale da corrispondere a una cosìalta reputazione, che qualcosa sfugga alla nostra conoscenza, o che il Vasari equivocasse volendosi riferire ai Fontana di Urbino, originari di Casteldurante. (56)
In ogni caso,lasciando da
parte l'istoriato,
verso la fine del secolo la
produzione durantina
appare quantitativamente
notevole, soprattutto se ad essa
si aggiungono le opere dei
vasai emigrati a Roma, quali il
già citato Diomede
Durante e il decoratore Paolo
Savino. Essi sono gli autori di
vasi da farmacia
biansati (57) e di albarelli,
in cui uniscono il decoro
"alla veneziana" a foglie
blu con una versione rapida
e compendiaria delle
raffaellesche, eseguite
anche ad Urbino dai Fontana e
dai Patanazzi.
Queste
ultime, assieme alle più tarde
repliche dei trofei, continuano
ad essere in uso per tutto il
secolo successivo ed oltre,
acquistando via via una loro propria
fisionomia, ben
distinta sia da quella
più grafica di Urbino che da
quella più vivace e
caricaturale di Deruta. Ma ormai
non si può più parlare di ceramica
durantina, bensì più propriamente di
Urbania, nome che la città
assume a partire dal
1636.
Maiolica
Diam. cm 22,4; h. cm 5,2
Colori: blu, verde, giallo, giallo arancio
Cons.: buona
Il piatto, dal profondo cavetto, è ornato attorno alla tesa da un'elaborata serie di trofei, con elmi, scudi, fiaccole ecornucopie. Fra di loro si inseriscono simmetricamente due draghi affrontati. Al centro,entro un tondo incorniciato da una ghirlanda stilizzata, è raffiguratouno stemma non identificato, affiancato dalle lettere "B" e "C". Sul retro, bande e filetti blu.
La tipologia decorativa, caratterizzata dall' andamento simmetricodei due mostridagrottescae dei trofei, fraiqualispiccanocornucopie e collane, e dai colori intensi sul fondo blu scuro, collega ilpiatto alla famosa coppa di Giulio II della Rovere, oggi alMetropolitan Museum of Art di New Y ork, eseguita a Casteldurante nel 1508 da Zoan Maria Vas aro (cfr. B. Rackham, Der majolikamaler Giovanni Maria von Castel Durante I, in Pantheon 2, 1928, figg. 7 e 8,p. 438). Anche se il piatto non appartiene di sicuro alla stessa mano, si può dunque ragionevolmente proporlo come produzione durantina, e datarlo all'incirca allo stesso periodo.
Bibl.: Sotheby's, New York, European Works of Art ... , 9-10 gennaio1966, n. 21, p. 32.
CASTELDURANTE, CIRCA 1510-1515
Maiolica
Diam. cm 22; h. cm 4,1
Colori: blu, verde,
giallo, giallo
arancio, bruno
Cons.: buona
La coppa, su basso piede, reca la scena della Resurrezione: Cristo è in piedi sull' orlo del sepolcro, con una mano benedice, con l'altra tiene un vessillo, mentre un angelo sorregge il coperchio. Tre soldatisono a terra, storditi. AlI' orizzonte una striscia gialla sul paesaggio montuoso sembra indicare il sorgere del sole, mentre davanti il terreno è troncato in zolle lobate.
Il piatto potrebbe
essere stato eseguito da un
decoratore molto
vicino al Pittore "in
Casteldurante".
Anche se lo stile presenta
alcune
caratteristiche
diverse (manca, ad
esempio, l'uso di tocchi e
sfumature di bianco per ottenere
effetti chiaroscurali
sia nelle figure che
nel paesaggio), la
monumentalità
e semplificazione
delle figure, nonché
alcuni
caratteristici
profili denotano
la conoscenza dei
modi di questo raffinato
pittore durantino. Le
zolle scoscese davanti al
sepolcro compaiono
anch'esse in un piatto
attribuito al
Pittore "in
Casteldurante" o a
lui molto vicino, con
Sacra Famiglia e San
Giovannino
(Christie's, Londra,
European Ceramics,
25 febbraio 1991, n.
52). Propendiamo dunque
per un'attribuzione a
Casteldurante, anche
se non è possibile escludere
completamente una
provenienza
urbinate.
La stessa
scena, derivata
dallo stesso modello, si
trova su una coppa a
lustro datata" 1535"
(Londra, Wallace
Collection, inv. IIIA39,
in A.V.B. Norman,
Wallace
Collection
Catalogue of
Ceramics I,
Londra 1976, n. C90, pp.
184-185).
CASTELDURANTE, CIRCA 1525-1535
Maiolica
Diam. cm 30; h. cm 6,6
Colori: blu, verde,
giallo, bruno, tocchi di
bianco
Cons.: buona, piccola
lacuna al piede e al bordo
La coppa, su basso piede e con la
parete incurvata verso
l'alto, reca
l'immagine a mezzo
busto di una donna con un turbante,
dietro la quale si snoda un
cartiglio con scritto
"LIONORA / BELLA". Sul
retro,
filetto giallo
attorno al bordo e al piede.
Questa affascinante tipologia ceramica, che vede immagini di donna (più raramente maschili o di coppie) accompagnate dal nome e dall'appellativo "Bella", talvolta abbreviato, era diffusa probabilmente in tutti i centri del ducato di Urbino. Le coppe costituivano un omaggio che i giovani facevano all'innamorata. Non si tratta però di veri e propri ritratti, poiché gli stessi modelli vengono utilizzati ripetutamente cambiando il nome e qualche particolare decorativo. Una "Lionora Bella" dalla fisionomia estremamente simile a questa, ad esempio, con piccole varianti nell'abito e nella disposizione delle lettere entro il cartiglio, si trova nelle collezioni del Musée de La Renaissance a Ecouen (inv, Cluny 7552, in J. Giacomotti, Les majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, n. 804, pp. 245-246). Non mancano "Belle" su piatti o addirittura su forme chiuse, tuttavia nel ducato di Urbino viene utilizzata di preferenza la coppa. La tradizionale attribuzione della tipologia pressoché in esclusiva a Casteldurante non può più a lungo essere sostenuta. Tuttavia le "Belle" vi furono sicuramente prodotte, come documentano i reperti di scavo, forse anche nella bottega del "Pittore in Casteldurante", con il quale alcune mostrano analogie stilistiche. Quanto alla cronologia, il primo esemplare a noi noto recante una data si trova nel Museo Civico di Pesaro, e fu eseguito nel 1522 (M. Mancini Della Chiara, Maioliche del Museo Civico di Pesaro) Regione Marche e Comune di Pesaro, 1979, n. 105). L'uso però deve essersi protratto fin oltre la metà del secolo, poiché la "Madalena Diva", già nella collezione Sackler, è datata "1547" e il "Francesco d'Lore(n)zo" del Victoria and Albert, assimilabile alla tipologia, è datato "1559" (Christie's, New York, Important Italian Maiolica From The Arthur M. Sackler Collections, October 6, 1993, n. 27; B. Rackham, Catalogue of Italian Maiolica) Londra 1940, n. 592).
Bibl.: Christie's, Londra, Continental Ceramics, 2 luglio 1990, n. 197; Drouot-Richelieu, Parigi, 5 luglio 1991, n. 16.
CASTELDURANTE ° DUCATO DI URBINO, CIRCA 1530-1540
Maiolica
H. cm 15; diamo orlo cm
9,2; diamo max cm
10
Colori: blu, verde,
giallo, giallo
arancio
Cons.: buona
L'albarello ha spalle angolate, accentuata rastremazione centrale, piede a disco e breve collo svasato. Nella parte mediana si svolge un cartiglio dalle estremità arricciolate, con su scritto in caratteri gotici "E.LL.D.PSILIO". È sormontato da uno stemma su cui è raffigurata una mano destrà che regge un rametto, affiancata dalle lettere "A" e "M".
L' albarello fa parte di un gruppo attribuito generalmente a produzione durantina, caratterizzato da forma simile, con largo cartiglio dalle estremità arricciolate e colorate, entro il quale la scritta è per lo più in gotico. Variano gli emblemi, denotando corredi destinati a spezierie diverse: un leone rampante (Limoges, Musée Adrien Dubouché, inv. 5448, in J. Giacomotti, Les majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, n. 789; Londra, Victoria and Albert Museum, in B. Rackham, Catalogue of Italian Malollca, Londra 1940, n. 618), un gallo (v. scheda seguente), ramoscelli di ulivo incrociati (Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, inv. 6287, in C. Ravanelli Guidotti, Donazione Paolo Mereghl; 1987, n. 87; V. anche C.D. Fuchs, Ma lo lich e istoriate rinascimentali del Museo statale d'arte medioevale e moderna di Arezzo, Arezzo 1993, n. 268), il Trigramma Bernardiniano (C.D. Fuchs, op. cit., n. 266). Alcuni frammenti di scavo confermano l' attribuzione durantina di questa tipologia, anche se oggetti simili venivano probabilmente prodotti in altri centri del ducato, e le stesse forme si trovano anche nella ceramica eugubina. L'albarello era destinato a contenere Elettuario di psillio, plantago Psyllium, le cui foglie si credevano astringenti ed efficaci contro la dissenteria, le emorragie, le infiammazioni, mentre i semi hanno proprietà emollienti (Medicamento, Milano 1924, p. 1020). Gli elettuari sono miscugli di polpe, estratti, polveri di sali, vegetali, ecc. impastati con sciroppo, miele o resine liquide.
Maiolica
H. cm 30; diamo orlo cm
16; diamo max cm 20
Colori: blu, verde,
giallo, giallo arancio
Cons.: incrinatura
L'albarello ha spalle angolate, rastremazione centrale, breve collo svasato. Attorno alla parte mediana si svolge un cartiglio dalle estremità arricciolate, entro il quale è la scritta, in caratteri gotici, "MIRLI.CITRINI". Sopra di esso è un gallo su una zolla erbosa, sotto un emblema farmaceutico sormontato da doppia croce e tripartito, con all'interno le lettere "M",''l'', "B".
Per la tipologia, V. scheda precedente. L'emblema non è stato identificato, e non è quindi possibile conoscere la committenza del corredo, che conta numerosi altri esemplari. Il contenuto dell' albarello era costituito da mirabolani citrini, che, come dice il Calestani, " ... confortano lo stomaco, il fegato, e il cuore. Fanno buon colore, rendono buono odore di tutto 'l corpo. Generano allegrezza, ringioveniscono, conferiscono all'hemorrhoidi, all' acuità della colera, e alla melanconia" (Dalle Osservazionidi Girolamo Calestani parmigiano, In Venezia appresso Francesco Senese, MDLXXV, p. 172). I mirabolani sono frutti indiani che possono essere di cinque specie: citrini, chebuli, indi, bellirici e emblici (ib.) p.24).
CASTELDURANTE, PRIMA METÀ SECOLO XVI
Maiolica
Diam. cm 30; h. cm 5
Colori: blu, verde,
giallo, giallo
arancio, bruno
Cons.:
buona
Il piatto è ornato con un intreccio di rami di quercia, con foglie e ghiande, che si sviluppano da un nodo centrale. Il retro non reca decorazione.
Il Piccolpasso riferisce
che l'ornato a
"cerquate", ossia a rami di quercia
incrociati, era molto
usato nel ducato di
Urbino quale omaggio alla
famiglia Della Rovere,
"all' ombra della quale
vivemo lietamente",
tanto che la si sarebbe
potuta chiamare
"pittura all'urbinate".
Una data precoce, "1526", si trova su
un esemplare a lustro
dell'Ermitage di San Pietroburgo
(A.N.
Kube,Itaùan
maiolica, XV-XVIII
Centurtes,
Mosca 1976, n. 62), ma le
"cerquate" dovettero
restare in uso fin oltre la
metà del secolo.
Per
esemplari con analoga decorazione
cfr., ad esempio, B.
Rackham, Catalogue
0/ ltalian
MazòÙea, Londra 1940, nn.
1015 e 1017,597 e
598,604 e 605; ].
Giacomotti,
Catalogue des
majoliques des musées
nattonaux, Parigi
1974, nn. 785-787, e
T. Wilson, Ceramic Art 0/
the Italian
Renaissance, Londra
1987, n. 125, p. 83.
CASTELDURANTE, CIRCA 1530-1550
Maiolica
Diam. cm 24; h. cm 6,5
Colori: blu, verde, giallo,
giallo arancio, bruno
Cons.:
buona
La coppa, su basso piede, ha la parete baccellata (crespina) e il centro bombato. Al centro, entro un tondo, è raffigurato un putto alato che gioca con una cardi cella alla cui estremità è legato un amo. Tutt'attorno si dispongono rami di quercia disposti entro quartieri. Banda gialla attorno al retro.
Per l'uso delle" cerquate" nel ducato di Urbino, v. note alla scheda precedente. Questa volta i rami di quercia sono distribuiti radialmente entro quartieri, e la coppa trova un preciso riferimento cronologico in un esemplare del tutto simile, ma con un trofeo al centro, sul quale èla data "1577" (Christie's, Roma, Importanti Maiolzche Porcellane Europee ed Orientali, 9 maggio 1990, n. 58, p. 20). Per esemplari analoghi, cfr. Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum, inv. 60, in J. Lessmann, Italienische Majoltka) Braunschweig 1979, n. 123. Cfr. anche il putto al centro del piatto scheda n. 16, con tesa e trofei, datato "1578".
CASTELDURANTE, CIRCA 1570-1580
Maiolica
Diam. cm 18; h. cm 3,5
Colori: blu, verde,
giallo, giallo arancio,
bruno,
tocchi di bianco
Cons.: buona
Il piatto reca l'immagine del dio Nettuno, raffigurato col tridente assieme al suo animale sacro, il cavallo. Davanti è disteso un vecchio con un vaso da cui esce l'acqua, allegoria di un fiume. Sullo sfondo è un braccio di mare, in alto è uno stemma sormontato da un braccio che impugna una spada, e da un cartiglio con la scritta" SAPIENS DOMINABITVR ASTRIS".
Sul retro si trovano la scritta corsiva "Netun" in blu, e tre bande concentriche gialle.
Il piatto allude a un episodio della contesa fra N ettuno e Atena per il possesso dell' Attica: il dio offre in dono il cavallo, ma Cecrope gli preferisce l'ulivo di Atena perché più utile. Il motto è tratto dagli Emblemata di Andrea Alciati (Venezia 1534) e completo suona "AsTRA REGUNT HOMINES, SAPIENS DOMINABITUR ASTRIs, ET POTERIT NOTIS CAUTIOR ESSE MALIS". Il soggetto, con diversa iconografia, appare su un piatto con identico stemma pubblicato da T. Hausmann (Majoltka und Fayence, Vermachtnis Rolf Labr, Berlino 1986, n. 23, pp. 37-39), alla cui scheda rimandiamo per un elenco degli esemplari noti del servizio, ai quali vanno aggiunti quello pubblicato in Christie's, Roma, Importanti maiolicbe e porcellane ... , 25-27 maggio 1983, con la contesa fra Apollo e Marsia, e un altro, in collezione privata, con la scritta "Venera e Cupido" (G. Asioli Martini, Una marca, una data, un capolavoro, Faenza 1992, pp. 14-15). Due piatti del servizio recano la data" 1551": il primo, con il sacrificio di Marco Curzio, si trova al Museo Civico Medievale di Bologna (C. Ravanelli Guidotti, Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna, Bologna 1985, n. 93); l'altro, col sacrificio di Isacco, si trova a Brescia (v. id., Le ceramiche delle collezioni rinascimentali, in C. Stella, Ceramiche nelle Civiche Collezioni Bresciane, Bologna 1988, n. 14 B, p. 128). Il pittore, che traccia le sue figure in modo rapido e un po' corsivo, è stato da J ohanna Lessmann identificato con Andrea da Negroponte, il cui nome compare sul retro di una crespina nel Museo di Arezzo con la gara di Apollo e Marsia (C.D. Fuchs, Maioliche istoriate rinascimentali del Museo statale d'arte medioevale e moderna di Arezzo, Arezzo 1993, n. 217, p. 233) e che è anche autore di una serie di albarelli che ne attestano la provenienza durantina (v. scheda seguente).
CASTELDURANTE,ANDREA DA NEGROPONTE, CIRCA 1550
Maiolica
H. cm 24; diamo cm 12; diamo
orlo cm 10
Colori: blu, verde,
giallo, giallo arancio, bruno
Cons.: buona
L'albarello ha spalle
angolate, accentuata
rastremazione centrale, piede a disco e
orlo estroflesso. Nella parte anteriore è
raffigurata una divinità marina femminile e tre
delfini (Galatea?), e in basso un
cartiglio con la scritta
"HIERA. PRIGRA.
GALIENI". Nella parte posteriore è
invece uno stemma sorretto da due
putti, con un bue davanti a una torre, il tutto
attraversato da una banda rossa. A ttorno al
collo sono raffigurati a
mezzo busto una divinità e due cavalli
marini, circondati da frutta, e attorno
alla base un mascherone e dei trofei.
La Hiera (in greco "santa") era un elettuario purgante. La Hiera contenuta in questo albarello è "picra", cioè amara, per l'aggiunta di aloe in doppio peso rispetto a ciascuno degli altri otto ingredienti, e la sua ricetta veniva fatta risalire al medico Galeno (A. Corradi, Le prime farmacopee italiane, Milano 1887, p. XI). L'albarello appartiene a un corredo da farmacia che comprende anche numerosi vasi a balaustra, tutti contrassegnati dallo stesso stemma, per il quale è stata proposta l'associazione con le famiglie romagnole Della Torre e Torelli (G. Gardelli, A gran fuoco, Urbino 1987, p. 24). Alcuni esemplari del corredo sono ornati a grottesche e trofei, altri recano storie dipinte nello stile di Andrea da Negroponte (v. scheda precedente). Sono datati" 1563" un vaso a balaustra e un albarello del Museo Civico di Pesaro (M. Mancini Della Chiara, Mazòliche del Museo Civico di Pesaro, Regione Marche, Comune di Pesaro 1979, nn. 236 e238), mentre la data "1541" riportata dalla Giacomotti per un albarello del Louvre (inv. OA 1892, J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Parigi 1974, n. 792) è stata messa in questione dal Mallet, che la legge invece" 1562" o "63" (R. Drey, Pots de pbarmacie du duché d'Urbino à décor dit "istoriato", in "Revue d'Histoire de la Pharmacie", n. 32, 1985, p. 12). Timothy Wilson ci comunica che, su un albarello dello stesso corredo nella collezione Bayer è scritto il nome di Ludovico Picchi, menzionato nei documenti assieme a Ubaldo della Murcia e Simone da Colonnello per grosse ordinazioni di vasellame da farmacia da esportarsi forse in Palermo (A. Ragona, Maiolicbe casteldurantine del sec. XVI per un committente siculo-genovese, in "Faenza", LXII,5-6, 1976, pp. 106-109). L'albarello in esame è dunque con ogni probabilità da attribuirsi a una di queste botteghe.
CASTELDURANTE,
LUDOVICO PICCHI O SIMONE DA
CO-
LONNELLO, CIRCA 1563
Maiolica
Diam. cm 22; h. cm 2
Colori: blu, grisaglia,
bruno
Cons.: buona
Il piatto reca al centro, entro un tondo, un profilo maschile, alcuni trofei e un cartiglio sul quale è scritta la data "1541". Tutt'intorno alla tesa si dispongono trofei d'arme fra cui spiccano scudi, un elmo, una spada, un guanto. Il retro è privo di decorazione.
Questo esemplare, di
notevole finezza
esecutiva, sembra
essere molti vicino ai
modi di un piatto con profilo
femminile e tesa a
grottesche e trofei
del Museo
Internazionale
delle Ceramiche di
Faenza (inv. 24935,
in C. Ravanelli
Guidotti, La
Donazione
Angiolo Fanfani, Faenza
1990, n. 116, pp.
210-211),
cronologicamente
collocato attorno al 1525
circa per analogie con
altri piatti simili
datati" 1526" o "1528"
(cfr. ad esempio il piatto
della
Wallace Collectionin
A.V.B. Norman,
Catalogue of
Ceramics l, Londra
1976, n. C42).
L'attribuzione
tradizionale di
questi piatti a
Casteldurante
seguiva quella a
NicolòPellipario
(v., ad esempio, G.
Polidori, Niccolò
Pellipario e le
Belle di
Pesaro e di
altrove, in
Studi
Artistici
Urbinati, vol. II,
1956, pp.
57-70).
Attualmente si
tende a lasciarli
a Casteldurante perché
trofei e grottesche
simili sono testimoniati da
qualche frammento
di scavo locale.
Interessante poi
l'ipotesi di affinità
stilistica con il Pittore
"In Casteldurante",
e con i vasi della bottega di
Sebastiano di Marforio nell'
esecuzione dei mostri e
delle ghirlande
(R. Gresta, Ne la
botega de
Sebastiano de
Marforio:
nuove ipotesi sul
Pittore "In
Castel
Durante", in
"CeramicAntica", a. 5, n.
7,1995, pp. 33-53).
Conferma a nostro avviso
l'attribuzione
durantina il trovare
analogie con opere a
lustro eseguite presso
la bottega di maestro
Giorgio da Gubbio,
che si serviva di
decoratori
durantini (ad
esempio il
piatto con"
Silvia" del Petit
Palais datato"
1531" ,in C. Join
Dieterle,
Catalogue des
ceramiques
I, Parigi 1984,
n. 44, p. 146, o quello
del Museo di Arezzo
con "Rugiere"
datato" 1531", in
C.D. Fuchs,
Maiollche istoriate
rinascimentali del Museo statale d'arte
medioevale e moderna di Arezzo, Arezzo 1993, n. 27 6).
Particolarmente importante è, nel piatto in esame, la data" 1541", che prolunga verso la metà del secolo questo gruppo di opere. Tipologie simili sono state eseguite in ambito veneziano, probabilmente da vasai provenienti dalle Marche (v. il gruppo col retro "alla porcellana", in J. Lessmann, Heriog Anton Ulrich Museum Braunscbuieig, ltalieniscbe Majollka, Katalog der Sammlung, Brunswick 1979, nn. 549-554).
CASTELDURANTE, 1541
Maiolica
Diam. cm 23,5; h. cm 3,2
Colori: blu, grisaglia, giallo,
graffiture sul blu
Cons.: incrinatura sulla
tesa
Il piatto non ha dislivello fra
tesa e cavetto (tagliere).
La
decorazione consiste in
trofei d'arme, che si
dispongono attorno a un trofeo
centrale.
Questa versione dell'
ornato "a trofei",
con ornbreggiature in
"grisaille"
rialzate da tocchi di un giallo
vivace, e con
arabeschi grafici quasi
cornpendiari sul fondo blu intenso,
movimentato dai riccioli
graffiti fino a scoprire il bianco della maiolica
sottostante, è comunemente attribuita alle
botteghe durantine. Solitamente i
trofei con questa stilizzazione recano date
attorno alla metà del
secolo (v. ad esempio la fiasca
datata "1541", in C.D.
Fuchs, Maioliche
istoriate
rinascimentali
del Museo
statale d'arte
medioevale e
moderna
diArezzo, Arezzo
1993, n. 257, o il piattello
con amorino al centro del British
Museum di Londra,
datato "1540", in T.
Wilson, Ceramic
Art 01 the
ltalian
Renaissance, Londra
1987, n. 123, p. 121).
CASTELDURANTE, CIRCA 1540-1560
Maiolica
Diam. cm 21; h. cm 2,8
Colori: blu, giallo,
bruno, graffiture sul blu
Cons.: buona
Il piatto ha minimo dislivello fra tesa e cavetto (tagliere). L'ornato consiste in una serie di trofei d'arme che si dispongono attorno a un trofeo centrale. Il retro è privo di decorazioni.
La somiglianza della forma, 1'ottima fattura e la notevole freschezza nel1' esecuzione pittorica, in particolare degli scudi mistilinei, fa propendere per una datazione molto vicina a quella del piatto n. 10, alle cui note rimandiamo.
CASTELDURANTE, CIRCA 1540-1550
Maiolica
Diam. cm 21; h. cm 6,4
Colori: blu, giallo,
giallo-bruno, bruno,
graffiture
sul blu
Cons.: buona
La coppa, su basso piede, ha la parete baccellata (crespina). Al centro, entro un tondo, è un trofeo d'arme.
Tutt' attorno si dispongono altri trofei fra cui spiccano scudi, flauti, tamburi, elmi, conchiglie e un cartello con le iniziali "SPQR". Retro privo di decorazione.
La stilizzazione dell' ornato, particolarmente grafica e insistita, in cui la grisaille vira in intensi toni di giallo, e l'esecuzione ancora molto accurata nonostante gli elementi si infittiscano in una sorta di "horror vacui", fanno propendere per una data più tarda rispetto agli esemplari a trofei delle schede precedenti. Non è però ancora acquisita la caratteristica sfumatura rossiccia, che i trofei assumono verso il 1570.
Bibl.: Christie, Manson & Woods, Londra, Fine Continental pottery and Italian maiolica, 24 novembre 1980, n. 191, p. 40.
CASTELDURANTE, CIRCA 1555-1560
Maiolica
Diam. cm 23,5; h. cm 4
Colori: blu, verde,
giallo, giallo
arancio, bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona
Il piatto reca al centro, entro
un tondo, un putto che cammina
su un prato fra due arboscelli
privi di foglie,
reggendo sul capo
un cesto carico di frutti.
Tutt'attorno si
dispongono trofei d'arme
fra cui scudi, elmi e
tamburi. Il retro è
privo di decorazione.
Putti su fondo giallo
intenso si trovano
su frammenti di scavo da
Casteldurante, ma con tutta
probabilità furono prodotti
anche a Urbino e in altri centri
del ducato. L'esemplare in
esame ci sembra avere
caratteri durantini per
la tipologia dei
trofei, che compaiono
simili anche su un
piattello con al centro
lo stemma di Niccolò
Agostini da Fabriano datato
"1530" (Musée
Lyonnais des Arts
Decoratifs, inv.
1996). Anche i cespugli
neri privi di foglie e il
motivo del cesto di frutti
compaiono nei
frammenti durantini. Per
un ulteriore
riferimento
cronologico, cfr. i
piattelli con putti molto
simili datati" 1540" del
Kunstgewerbemuseum
di Berlino, in T.
Hausmann, Majolzka,
Berlino 1972, nn. 184
e 185, pp. 251-253.
CASTELDURANTE O URBINO, CIRCA 1530-1550
Maiolica
Diam. cm 21; h. cm 2
Colori: blu, verde, giallo,
giallo arancio, bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona
Il piatto reca al centro, entro un tondo, un putto in piedi su un prato, con un uccello nero in una mano e una lancia nell' altra. Davanti a lui è un arbusto privo di foglie. Tutt'attorno si dispongono trofei d'arme, fra cui tamburi, faretre, scudi e un cartello con la data "1559". Retro privo di decorazione.
La tipologia decorativa è riferibile a quella della scheda precedente, anche se qui l'esecuzione è più rapida e il putto ancora delineato ma quasi compendiario. Trofei in stilizzazione molto simile, con le stesse linee a spirale attorno alle faretre, compaiono in un piatto dell'Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig (Inv. n. 1.3, in J. Lessmann,Italienische Majolika, Braunschweig 1979, n. 100, p. 147).
CASTELDURANTE, 1559
Maiolica
Diam. cm 22; h. cm 2,7
Colori: blu, verde,
giallo, giallo-bruno,
bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona
Il piatto reca al centro,
entro un tondo, un putto alato che
saltella su un prato, con una
freccia in mano. Tutt'attorno si
dispongono trofei d'arme, fra cui
tamburi, elmi, scudi e un cartello
con la data "1578". Il retro
è privo di decorazione.
L'evoluzione del tratto e
della pennellata
portano ormai verso uno stile
parallelo al compendiario. I trofei
assumono un tono decisamente
marrone rossiccio, privo di
sfumature grisaille,
in sintonia con quanto
avviene in esemplari
coevi (v. ad esempio il
corredo con la Fortuna,
schede 18-23).
Con questa colorazione essi
compaiono su frammenti di scavo
provenienti sia da
Castel durante che da
Pesaro (cfr. quelli
della donazione Carlo
Federico Bonini del Museo internazionale
delle ceramiche di
Faenza).
CASTELDURANTE, 1578
Maiolica
Diam. cm 22,5; h. cm 3,2
Colori: blu, verde,
giallo, giallo-bruno,
graffiture sul
blu
Cons.: buona
Il piatto reca al centro,
entro un tondo, un putto alato che
saltella su un prato, con un'asta in
mano.
Tutt' attorno si
dispongono trofei d'arrne,
fra cui armature, elmi, scudi.
li retro è privo di
decorazione.
Il piattello appare della stessa mano
del precedente, forse
di qualche anno più tardo. La forma e
le ombreggiature dei trofei sono
infatti meno compatte, e anche il
putto è delimitato da una
linea schizzata e poco
definita. Cfr. il
piattello, assai simile,
del museo Herzog Anton
Ulrich di Braunschweig (in].
Lessmann,
Italienische
Majolika,
Braunschweig 1979,n.
131,p. 161).
CASTELDURANTE, CIRCA 1580-1630
Maiolica
H. cm 19; diamo cm 12,4;
diamo orlo cm 9,5
Colori: blu, verde,
giallo, giallo arancio,
bruno,
tocchi di bianco,
graffiture sul blu
Cons.: buona
L'albarello ha spalle arrotondate, rastremazione centrale, piede svasato, breve collo. La raffigurazione principale consiste nell'allegoria della Fortuna, rappresentata come una donna nuda dai lunghi capelli, in piedi sopra un delfino, in atto di reggere una vela. Sotto di lei è un cartiglio con la scritta "DIA. CVRCVMA". Il resto della superficie è occupato da trofei d'arrne, fra i quali è un cartello con la data" 1579".
L'albarello appartiene a
uno dei più
importanti corredi farmaceutici
cinquecenteschi, formato
anche da bottiglie,
vasi e versatori, la cui committenza non è
stata individuata.
L'iconografia deriva
probabilmente da stampe cinquecentesche di
Baccio Baldini o di
Nicoletto da Modena, e ricorre
simile anche su un piatto del
Royal Scottish Museum
di Edimburgo che reca
dietro la scritta
"Fuortuna". Le date
che vi ricorrono sono il
1579 e il 1580,
l'attribuzione radizionale
è a Casteldurante, benché
frammenti con l'identica
stilizzazione dei trofei
siano stati ritrovati anche nel
sottosuolo di Pesaro.
Per altri esemplari
dello stesso corredo, v.].
Giacomotti,
Catalogue des
majoliques des musées
nationaux,
Paris 1974, nn. 979-992.
Per un possibile collegamento con la città di
Fano, V. nota n. 31. La
"Curcuma longa", di cui è fatto
il medicamento contenuto
nell' albarello, è una pianta comune
nell' Asia
meridionale' chiamata anche
"zafferano d'India",
usata come aromatico, eccitante e
diuretico.
Cfr. Disegni, fonti,
ricerche per la
maiolica rinascimentale di
Casteldurante, a cura
di G. C. Bojani e J.
T. Spike, Ancona,
Il Lavoro Editoriale
1997, p. 107 e sgg.
L'albarello ha
spalle arrotondate,
rastremazione
centrale, piede
svasato, breve
collo. La
raffigurazione principale
consiste nell'allegoria
della Fortuna,
rappresentata come una donna nuda dai lunghi
capelli, in piedi sopra un
delfino e che regge una
vela. Sotto di
essa è un
cartiglio con la scritta "V. DE.
CONTESSA". Il resto della superficie è occupato da trofei d'arrne, fra i quali è un cartello con la data "1579".
L'albarello appartiene allo
stesso corredo di quello alla
scheda precedente, alle cui note
rimandiamo.
L"'Unguento della
contessa", che prende il
nome dalla Contessa di Vadra
(XV secolo), aveva
proprie-
tà astringenti, in
quanto composto di polvere
di cortecce di ghiande, querce,
galle, ecc. Si faceva risalire a
Gugliemo di Varignana,
dello Studio
di Bologna, autore
diSecreta
sublimiaad
varios curandos
morbos.
CASTELDURANTE, 1579
Maiolica
H. cm 22; diamo cm 16; diamo orlo cm 8
Colori: blu, verde, giallo,
giallo arancio, bruno,
tocchi di bianco, graffiture sul blu
Cons.: buona
La bottiglia ha corpo globulare,
piede svasato, alto collo
con orlo svasato. La
raffigurazione
principale consiste
nell'allegoria della Fortuna,
rappresentata come
una donna nuda dai lunghi
capelli, in piedi sopra un
delfino e che regge una vela. Sotto di
essa è un cartiglio con la
scritta" A. DE.
BETHONICA". Il resto
della superficie è occupato da
trofei d'arme. Per il
corredo cui la bottiglia
appartiene, V. scheda n. 18. Il
contenuto eral' Acqua di
Betonica (Betonica
officinalis), pianta erbacea
comune con
proprietà starnutatorie.
CASTELDURANTE,1579-1580
Maiolica
H. cm 29 (con coperchio);
diamo base cm 9,5
Colori: blu, verde, giallo,
giallo arancio, bruno,
tocchi di bianco, graffiture sul blu
Cons.: buona
Il versatore ha corpo ovoidale, piede svasato, collo cilindrico con coperchio a cupoletta, becco a tubetto e ansa a nastro verticale ad esso contrapposta. La raffigurazione principale, che occupa l'ansa e la parte posteriore, consiste nell' allegoria della F ortuna, rappresentata come una donna nuda dai lunghi capelli, in piedi sopra un delfino e che regge una vela. Sotto di essa è un cartiglio con la scritta "O. CANBVCINO". Il resto della superficie è occupato da trofei fra i quali, sul piede, è un cartello con la data "1579".
Per il corredo cui il versatore appartiene, V. scheda n. 18. Il contenuto era probabilmente l'Olio sambucino o sambuchino, ottenuto dai fiori del "Sambucus nigra", con proprietà diaforetiche, lassative e diuretiche.
CASTELDURANTE, 1579
Maiolica
H. cm41 (con coperchio);
diamo basecm 12,5; diamo
orlo cm 11,2
Colori: blu, verde,
giallo, giallo arancio, bruno,
tocchi di bianco, graffiture sul blu
Cons.: lacuna al piede,
pomello del coperchio
riattaccato
Il vaso ha corpo ovoidale, piede svasato, collo cilindrico con coperchio a cupoletta, due anse a nastro verticali contrapposte. La raffigurazione principale consiste nell' allegoria della Fortuna, rappresentata come una donna nuda dai lunghi capelli, in piedi sopra un delfino e che regge una vela. Sotto di essa è un cartiglio con la scritta "SY. DE. Crcon". Il resto della superficie è occupato da trofei fra i quali, sul piede, è un cartello con la data "1579". Per il corredo cui il vaso appartiene, V. scheda n. 18. Il contenuto era lo Sciroppo di cicoria, o Giulebbe di iccolò Fiorentino, ottenuto dal "Cichorium intybus", con proprietà depurative e toniche.
CASTELDURANTE, 1579
Maiolica
H. cm 40 (con coperchio);
diamo base cm 13 ,3; diamo
orlo cm 11,7
Colori: blu, verde, giallo,
giallo arancio, bruno,
tocchi
di bianco, graffiture sul
blu
Cons.: coperchio
frammentato e ricomposto con
reintegrazioni
Il vaso ha corpo ovoidale, piede svasato, collo cilindrico con coperchio a cupoletta, due anse a nastro verticali contrapposte. La raffigurazione principale consiste nell' allegoria della Fortuna, rappresentata come una donna nuda dai lunghi capelli, in piedi sopra un delfino e che regge una vela. Sotto di essa è un cartiglio con la scritta "NOCE. CONF". Il resto della superficie è occupato da trofei.
Per il corredo cui il vaso
appartiene, V. scheda n.
18.
Quanto al
contenuto, si tratta
probabilmente
di confezione di noci.
L'Auda, fra le
"confettioni nostrane
frequenti", cita infatti le
Noci verdi condite, cui
venivano aggiunti chiodi
di garofano e miele,
e che erano buone per lo
stomaco (F,D. Auda,
Pratica de'
spetiali, Venezia 1670, pp. 269-270).
C ASTELDURANTE , 1579-1580
Maiolica
H. cm 24; diamo base cm 10,5;
diamo orlo cm 10,1
Colori: blu, giallo,
giallo-bruno, bruno,
graffiture
sul blu
Cons.: buona, il beccuccio è tagliato
Il versatore ha corpo globulare, alto piede svasato, collo cilindrico ad orlo estroflesso, becco a tubetto e ansa a nastro verticale ad esso contrapposta. La raffigurazione principale, che occupa l'ansa e la parte posteriore, consiste in un angelo in piedi, aureolato, con un globo crucifero in mano e un' asta nell' altra. Sotto di essa è un cartiglio con la scritta "O. DE. AMANDO. D", sotto ancora un segno di fondaco tripartito con all'interno suddivise le lettere "c. R. D.". Il resto della superficie è occupato da trofei d'arme.
Il versatore appartiene a un
corredo caratterizzato da
identico emblema, la
cui committenza non è
stata identificata. Per
quel che concerne la
cronologia, sono
noti esemplari datati
"1614", che
forniscono un preciso
punto di riferimento a
tutto il gruppo.
Uno di essi si trova nel
Museo internazionale
delle ceramiche in
Faenza (Inv. 21930, in
Bojani,
Ravanelli,
Fanfani, La
donazione
Galeazzo Cora,
Milano 1985, n.
317, p. 132). La
collocazione del
cartiglio nella parte
posteriore rende più
agevole allo
speziale l'uso
dell'oggetto. Il contenuto era
l'Olio di mandorle
dolci, usato come
emolliente.
CASTELDURANTE, PROBABILMENTE 1614
Maiolica
H. cm 23; diam. base cm 10
Colori: blu, verde,
giallo, giallo-bruno,
bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona
Il versatore ha corpo ovoidale, piede svasato, collo cilindrico, becco a tubetto e ansa a nastro verticale ad esso contrapposta. La raffigurazione principale, che occupa l'ansa e la parte posteriore, consiste in uno stemma miniato sormontato da un elmo, affiancato dalle lettere "P" e "G". Sotto di essa è un cartiglio con la scritta "OÀ'IML. Zvc. No". Il resto della superficie è occupato da trofei d'arme.
Il versato re appartiene a un corredo di cui sono noti anche bottiglie e albarelli, e il cui stemma non è stato identificato.
Un albarello della collezione RolfLahr datato" 1630" e una bottiglia del Victoria and Albert Museum di Londra datata "1638" forniscono un preciso riferimento cronologico (T. Hausmann, Majolzka und Fayence- Vernactuis Rolf Labr, Berlino 1986, n. 25; B. Rackham, Catalogue of Italian maiolica, Londra 1940, n. 1018), e mostrano come perduri a lungo nell' area durantina l'uso dei trofei su fondo blu con i nastri graffiti, sia pure in forme sempre meno accurate. Il contenuto era l'Ossimele zuccherino, composto di aceto forte, miele, acqua e zucchero.
CASTELDURANTE,1630-1640
Maiolica
H. cm 24; diamo base cm 9,3;
diamo orlo cm 7,4
Colori: blu, verde,
giallo, giallo-bruno,
bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona
La bottiglia ha corpo globulare, piede svasato, alto collo con orlo svasato. Vi è rappresentato uno stemma miniato, sormontato da elmo piumato e affiancato dalle lettere "P" e "G". Sotto è un cartiglio nel quale è scritto, in caratteri capitali, "A. DE. ARTEMISIA". Il resto della superficie è decorato a trofei.
Per il corredo cui la bottiglia appartiene, V. scheda precedente. L'Acqua di Artemisia era a base di "Artemisia Vulgaris", tonica, stimolante, emmenagoga.
CASTELDURANTE, 1630-1640
Maiolica
H. cm 26 (con coperchio); diamo
base cm 8,5
Colori: blu,
verde, giallo,
giallo-bruno, bruno,
graffiture sul blu
Cons.: buona; pomello del coperchio rifatto
L'albarello ha spalle
arrotondate,
rastremazione centrale,
piede a disco, breve collo con
coperchio a cupoletta. La
parte anteriore è delimitata
mediante una zona ovale
decorata ad arabesco su fondo
giallo intenso, mentre il
resto della superficie è a
trofei.
Nella parte mediana si
svolge un cartiglio
dalle estremità arricciolate
con su scritto "c. D.
VIOLE".
Si tratta anche in
questo caso di una versione
tarda dei trofei marrone-
rossiccio su fondo blu. L'
albarello era destinato a
contenere Conserva di
viole, con proprietà
emollienti.
CASTELDURANTE, INIZIO SECOLO XVII
Maiolica
H. cm 19,8; diamo orlo cm 9; diamo
base cm 9
Colori: blu, giallo,
giallo arancio,
graffiture sul blu
Cons.: buona, sbreccature
L'albarello ha spalle
angolate, lievissima
rastremazione centrale, basso
piede e breve collo
svasati.
La decorazione
consiste in trofei
d'arme e in un cartiglio
con la scritta "EL.
INDV", ed è
racchiusa entro una
ghirlanda legata da lacci e
percorsa da grandi fiori
dentati con centro
graffito. Nella
parte posteriore è
effigiato un leone
rampante con
una spada in mano e la
data" 1548".
L' albarello appartiene a un
corredo da farmacia
non identificato,
formato anche da
versatori, i cui esemplari
recano la stessa data e sono
contraddistinti dall'emblema
del leone. Sono inoltre
ornati da
una particolare versione
del motivo "alla
porcellana", con i grandi fiori di
crisantemo graffiti in vario
modo al loro
interno. Non si tratta
di produzione
di Casteldurante,
ma di qualche altro
centro meridionale
delle Marche ancora
sconosciuto, oppure
degli Abruzzi. È indubbio però
che il corredo denota
una forte influenza
durantina, manifestatasi
tramite l'esportazione
dei manufatti o degli
stessi operatori.
Per un'analisi della
questione, V. C.
Fiocco, G. Gherardi,
Alcune considerazioni
sull'Orsmi-Colonna,
zl seruizio
B, II seruizio
T e la "porcellana
colorata", in
"Faenza" LXXVIII,
1992,3-4, pp. 164-165.
ITALIA CENTRALE, 1548
Maiolica
H. cm 20,8; diamo orlo cm 9,6;
diamo base cm 9,6
Colori: blu, giallo, giallo arancio,
graffiture sul blu
Cons.: buona, sbreccature
L'albarello ha spalle angolate, lievissima
rastremazione centrale, basso piede e breve
collo svasati.
La decorazione consiste in trofei d'arme e in un cartiglio
con la scritta "DIANTHOS", ed è racchiusa entro una ghirlanda
legata da lacci e percorsa da grandi fiori dentati con
centro graffito. Nella parte posteriore
è effigiato un leone rampante con
una spada in mano e la data "1548".
L'albarello appartiene al corredo di cui alla
scheda precedente. Il "Dianthos" di Niccolò rientra
nella categoria degli
zuccheri, ed era composto da numerosi
elementi fra cui fiori di
rosmarino, rose, viole,
garofani, spigo,
liquerizia, legno d'aloe,
cardamomo, mescolati con
miele. Serviva per i problemi di
cuore, l' elefantiasi, il
catarro, e veniva servito con
vino a chi non aveva febbre, con acqua fredda ai
febbricitanti.
ITALIA CENTRALE, 1548
Maiolica
H. cm 23; diamo orlo cm
8,48; diamo base cm 10,8
Colori: blu, giallo, giallo
arancio, graffiture sul blu
Cons.: buona,
sbreccature
Il versatore ha ventre ovoidale su basso piede svasato, collo cilindrico ad orlo estroflesso, becco a tubetto legato al collo da un cordone intrecciato, ansa a nastro verticale contrapposta. La decorazione consiste in trofei d'arrne e in un cartiglio con la scritta "S. DI. PRASSIO", ed è racchiusa entro una ghirlanda legata da lacci e percorsa da grandi fiori dentati con il centro graffito. Sotto il beccuccio, entro uno scudo, è effigiato un leone rampante con una spada in mano. L'ansa termina con un motivo a foglia entro il quale è la data" 1548".
L'albarello appartiene al corredo di cui alla scheda n. 28. Il contenuto era lo Sciroppo di Prassio, "Marrubium vulgare", di uso popolare contro la tosse e ogni problema polmonare.
ITALIA CENTRALE, 1548
Maiolica
H. cm ; diamo cm
Colori: blu, verde,
giallo, giallo-arancio,
bruno e
violetto
Cons.: sbreccature
La coppa, su basso piede, ha la parete lievemente concava. Vi è raffigurata la Sacra Famiglia: sotto gli occhi di Giuseppe, la Vergine alza il drappo mostrando il volto del Bimbo, adagiato in una cesta, a una donna che reca in mano un dono.
I colori e lo stile dell'
esecuzione rimandano
alla bottega di
Ippolito Rombaldoni
(1619-'79),
attivo a Urbania e
menzionato anche
nella
documentazione d'archivio.
Di lui sono note alcune
opere firmate
per esteso: un vaso con
l'allegoria
dell'Innocenza e
della Discrezione,
datato 1678, conservato
nel
Museo Internazionale
dell Ceramiche di
Faenza
(G. Liverani,
Museo
Internazionale
delle
CeramicheFaenza,
selezione di
opere, in "Faenza"
,XLIX, 1963, 1- 6 pp.
37-38); una alzata su
basso piede con
il trionfo di Flora a.
Giacomotti, Les
majoliques
des musées
nationaux,
Parigi, 1974, n.
1366); una targa con la
Madonna e il Bambino
datata 1670 e
desunta dal
Barocci, nel Museo
diocesano di Urbania
(C. Leonardi,
Maiollca
metaurense
rinascimentale,
barocca e
neoclasstca,
Urbania, 1996, n.
86, p. 104).
Altre
opere, come ad esempio il
piatto con la
Carità romana del
Museo civico
medievale di
Bologna, sono
soltanto siglate. Il
Rombaldoni è un
tardo epigono del
tradizionaleistoriato,
peril quale
attinge spesso a
fonti importanti, e
di cui rende il rilievo
con un
caratteristico
tratteggio
grafico che imita
l'incisione. Le opere
di tema sacro, e questa in
particolare, sono
pervase da un senso di
religiosità
intimistica e di
affettuosa
quotidianità, quale si
ritrova
nelle incisioni di
Elisabetta Sirani e
di Lorenzo
Loli, probabilmente
ben note al
ceramista in
quanto presenti ad
Urbania (B. Cleri, F.
Paoli, Incisioni
del '600, Urbino,
1992, p. 124, n.
108). È possibile
che
l'esemplare in
esame più che al
Rombaldoni stesso sia da
attribuirsi a un suo
collaboratore,
peraltro assai
vicino, che accentua
insistentemente
alcuni effetti grafici laddove il maestro tende a sfumare con sensibilità più pittorica.
URBANIA, BOTTEGA
DI IPPOLITO
ROMBALDONI, CIRCA
1670-'79.