Carola Fiocco - Gabriella Gherardi, in Il lavoro ceramico, 1998, pp. 258-273.
La ceramica umbra è presente in quantità notevole nelle collezioni sia pubbliche che private, a riprova
di una produzione di eccezionale abbondanza, ma
anche di qualità tale da aver costituito, in ogni
momento, un motivo di richiamo per gli ama tori. Infatti, i
nuclei principali dei grandi musei hanno il più delle volte alla
loro origine lasciti di privati, o acquisti da collezioni in procinto di essere
disperse sul mercato antiquario.
Inoltre, nel secolo scorso
noti collezionisti figuravano quali consiglieri nei
principali musei, e ne condizionavano
pesantemente gli acquisti, come avvenne nel caso
del Fortnum e del South Kensington di Londra, divenuto poi
il grande Victoria andAlbert
Museum (1).
Questo legame col collezionismo privato comporta una
selezione a priori del prodotto di pregio,
degno di essere conservato e di ben figurare,
a scapito di tutta una produzione ceramica di più
basso livello e di valore esclusivamente
documentario, che ne costituisce quasi il tessuto connettvo, e che solo
in tempi recenti ha cominciato ad essere conservata e studiata,
nonché acquistata ad integrazione dei nuclei originari.
Per il
Fortnurn, ad esempio, il periodo aureo
della maiolica italiana iniziava
con la fine del xv secolo e non andava
oltre la metà del XVI, con poche
eccezioni, e tale orientamento è rispecchiato dalla sua
collezione di maioliche, che ancora oggi
costituisce l'asse portante,
per quel che riguarda questo settore, dell'
Ashmolean Museum di Oxford. Il profilo della ceramica umbra che
ne esce è dunque limitato alla fascia alta, quella
decorata, che già ai suoi tempi veniva considerata
costosa e non alla portata di tutti. La stessa
maiolica due-trecentesca, che pure iniziò ad essere
apprezzata soltanto alla fine del secolo scorso, in coincidenza con alcuni ritrovamenti così eccezionali da non permettere di
ignorarla ulteriormente, e col diffondersi del gusto del primitivo, appartiene a questa fascia ristretta, recando spesso stemmi ed emblemi signorili.
Quelli che invece incontrarono sempre un'ammirazione incondizionata, acquistati anche a caro prezzo, furono i lustri che, col loro aspetto prezioso, colpirono immediatamente l'attenzione dei collezionisti: in particolare, i grandi piatti da pompa derutesi e il vasellame della bottega eugubina di maestro Giorgio Andreoli divennero i protagonisti di tutte le maggiori collezioni. Di conseguenza, questo può essere soltanto un rapido excursus che non ha assolutamente la pretesa di essere esauriente, poiché non lo consentono l'eccessiva vasti tà dell' argomento e la mancanza di catalogazioni sistematiche. Cercheremo invece di cogliere, ove possibile, la fisionomia delle principali collezioni, soffermandoci soltanto sui pezzi più significativi, quelli che da sempre hanno attirato l'attenzione degli studiosi per la qualità superiore alla norma o perché costituiscono pietre miliari nell' evoluzione delle tipologie o per il riconoscimento dei principali artefici. Benché sia soprattutto all'estero che bisogna rivolgere l'attenzione, cominceremo da quei musei italiani che vantano la più cospicua rappresentanza di materiale umbro, di cui quattro sono particolarmente forniti: il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, il Museo Civico di Pesaro, il Museo Regionale della Ceramica Umbra, il Museo dell'Opera del Duomo di Orvieto.
La collezione di quest'ultimo è interamente dedicata alla produzione medievale locale, trovata in massima parte nei butti e nei pozzi che attraversano la rupe tufacea su cui sorge la città, che vennero esplorati e spesso saccheggiati a partire dagli inizi del secolo (2). Si tratta di boccali, ciotole e catini a invetriatura monocroma, oppure smaltati e decorati mediante l'uso di verde di rame e bruno di manganese con motivi gotici, generalmente interpretati in maniera piuttosto semplificata. La loro scoperta portò alla rivalutazione del vasellame tardo-medievale, fino ad allora scarsamente considerato, ma diede contemporaneamente origine a dispersioni e ad episodi di falsificazione. Per fortuna, una parte fu depositata nei locali dell'Opera del Duomo, costituendo il primo nucleo, poi successivamente ampliato, di una raccolta che trae la sua importanza proprio dal fatto di essere costituita interamente da materiale di provenienza nota, e quindi attribuibile con sicurezza (3).
Il Museo Regionale della Ceramica, di recente inaugurato, comprende le collezioni Pecchioli e Magnini-Grazia. Il materiale in esse contenuto non appare costituito da esemplari di eccezione, bensì di medio livello, utilissimi per documentare compiutamente l'evolversi della ceramica derutese spesso attraverso tipologie poco conosciute, come ad esempio quelle settecentesche. Vi è poi la recente acquisizione di un buon numero di piatti da pompa del Cinquecento provenienti dal mercato antiquariale.
Del Museo Regionale fa parte anche il materiale un tempo nel Museo Municipale di Deruta, fondato nel 1904, in un periodo in cui si cercava in ogni modo di vivificare l'artigianato, proponendo l'esempio del passato; esso ebbe quale primo direttore un ricercatore e storico della ceramica, Alpinolo Magnini.
La gemma del museo è costituita dal pavimento un tempo nella chiesa di San Francesco, probabilmente l'unica testimonianza di altissimo pregio rimasta nella città di origine, poiché la produzione derutese era destinata interamente all' esportazione. Il pavimento è stato di recente restaurato e la sua completa esposizione costituisce un vero polo di attrazione per chiunque si interessi di ceramica. Per il resto, il museo conserva anche vasellame frammentario, ma assai importante per gli studiosi perché proveniente per intero dal sottosuolo della città, e quindi sicuramente prodotto sul posto; di conseguenza fornisce le massime garanzie per la definizione delle tipologie derutesi. Vi è poi un certo numero di maioliche del "revival", che a Deruta cominciò abbastanza tardi, nei primi decenni del nostro secolo, e di cui furono protagonisti, oltre al Magnini, Ubaldo Grazia e Davide Zipirovic.
Vicino a Deruta è l'affascinante Museo del Vino di Torgiano, le cui ceramiche sono tutte in qualche modo legate al tema dominante del vino, o iconograficamente o perché esso, fornito di virtù medicinali, entra nella composizione dei farmaci un tempo contenuti negli innumerevoli vasi da farmacia qui esposti. L'esemplare più prezioso è costituito da un piatto a lustro oro e rubino con un satiro ubriaco e un fanciullo, eseguito nel 1528 nella bottega di maestro Giorgio Andreoli da Gubbio. Altrettanto prezioso è, nel Museo di Palazzo dei Consoli di Gubbio, un piatto con la Caduta di Fetonte che reca la data 1527, di recente acquisito dal Comune col contributo di privati affinché nel museo cittadino fosse custodita almeno un'opera importante del maestro. È questa di Gubbio una raccolta non vastissima ma interessante, soprattutto per la presenza di un gruppo di vasi provenienti da farmacie locali, che costituiscono la testimonianza di una produzione eugubina cinque e secentesca oscurata dalla fama di maestro Giorgio.
Tutti gli studi si sono infatti appuntati sulla sua personalità, trascurando completamente il contesto. Anche nel Museo di Palazzo dei Consoli sono conservati esempi del "revival" eugubino, iniziato a metà circa del secolo scorso, testimonianza particolarmente sontuosa, con i suoi rutilanti lustri rossi, del gusto storicistico e dell'abilità tecnica di quegli artefici che riscoprirono, dopo tanti anni di oblio, i segreti dei maestri del Cinquecento (4).
La presenza di un alto numero di ceramiche umbre nel Museo Civico di Pesaro è probabilmente il risultato della diversa conformazione politica del territorio nel Rinascimento, per la quale Gubbio faceva parte del Ducato di Urbino, e forse anche di un errore attributivo. Infatti, mentre il prodotto eugubino a lustro venne riconosciuto subito, essendo il più delle volte siglato, quello derutese ebbe storicamente un diverso destino. La grande produzione a lustro rinascimentale non fu all'inizio attribuita correttamente, poiché, quando il collezionismo e il conseguente interesse storico per la ceramica cominciarono ad affermarsi, a partire cioè dalla metà circa del XVIII secolo, Deruta si trovava in piena recessione e appariva improbabile che una località così piccola potesse essere stata all'origine di vasellame così prezioso. L'attenzione si focalizzò dunque su Pesaro, dove a giudizio del Passeri i piatti da pompa erano stati eseguiti (5), e l'equivoco perdurò piuttosto a lungo se ancora nel secolo successivo, malgrado ritrovamenti e documenti, molti studiosi trovavano difficile spostare l'attribuzione dalla città marchigiana a quella umbra, in apparenza così irrilevante, malgrado l'esplicito elogio che Leandro Alberti ne aveva fatto (6).
Questo atteggiamento
sembra riflettersi nelle scelte del
cavaliere Domenico Mazza,
nobile pesarese la cui
collezione costituisce ancora
oggi il nucleo principale
della raccolta del Museo Civico di
Pesaro. Ritiratosi a vita
privata
dopo un'intensa carriera, a
partire dal 1827 fino al
1847, anno della morte,
riuscì a mettere insieme un numero
straordinario di maioliche di alto rango,
che per fortuite vicende non
vennero mai disperse (7).
Nel 1857 la collezione fu
acquistata dal Comune e nel
1936 sistemata
definitivamente nel
palazzo Toschi Mosca, sede
attuale. La raccolta Mazza
comprende ben 368
ceramiche, cui vanno aggiun-
te altre provenienti dal lascito
della marchesa Vittoria
Toschi Mosca e da donazioni
successive. A un esame
generale è facile constatare che, a parte un piccolo
nucleo di Castelli
d'Abruzzo, che si
discosta dal filone principale e
rappresenta quasi una concessione a un
gusto particolare del
collezionista, la raccolta
Mazza privilegia
costantemente la
produzione marchigiana:
gli istoriati di Pesaro, Urbino e
Castel durante (Urbania) vi
sono rappresentati in
maniera esauriente, come pure
gli esemplari di Gubbio, che il
cavaliere considerava legati al
Ducato di Urbino, e quindi
perfettamente al loro posto.
Potrebbe dunque destare stupore la massiccia
presenza del vasellame derutese, se
non fosse per quanto abbiamo detto sopra,
e cioè che per la maggior parte esso veniva
creduto, ai tempi del Mazza, pesarese,
secondo le indicazioni del Passeri, che proprio a Pesaro aveva trascorso la maggior parte della vita, e che veniva annoverato fra i più autorevoli studiosi locali.
Doveva apparire una conferma autorevole, fra i numerosi esemplari da pompa della raccolta, la presenza di quello che possiamo considerare il più famoso e il più bello, ornato con un busto di donna di profilo, tracciato con eccezionale finezza, che fa da supporto allo scudo dei Montefeltro, mentre sulla sinistra si svolge un cartiglio con la scritta "VIVA VIVA E(L) DVCHA DVRBINO" (8). Il piatto testimonia l'eccezionale qualità raggiunta dai maiolicari derutesi agli inizi del XVI secolo, e la loro predilezione per immagini femminili di grande dolcezza e armonia, legate ai modelli del Perugino e del Pinturicchio. Vi sono poi numerosi altri piatti da pompa sia a lustro che policromi, con immagini femminili e maschili, cavalieri, scene religiose (San Francesco che riceve le stimmate, Incredulità di san Tommaso, San Girolamo penitente), semplici arabeschi o occhi di penna di pavone, né mancano piattelli, vassoi e vasi di ogni genere (9).
Per la produzione di Gubbio abbondano le coppe a rilievo, eseguite nella bottega a partire dal 1530 circa (10), e i piattelli a trofei, fogliame e palmette (11). Fra gli istoriati arricchiti dal lustro, emergono un piatto dipinto da Francesco Urbini con Enea alle foci del Tevere, datato 1533 e un tagliere con una danza di putti (12).
Se il museo di Pesaro ha fin dagli inizi una vocazione locale, quello di Faenza si propone invece di essere "internazionale", e di non escludere alcun tipo di ceramica. Infatti, anche se il nucleo faentino è certo il più organico,
2. Coppa compendiaria con
Piramo e
Tisbe entro
ghirlanda
stilizzata,
Deruta,
fine
del XVI secolo.
Deruta, Museo Regionale della
Ceramica.
vi sono documentate le produzioni europee, dell'Estremo Oriente,
precolombiane e africane, ed esso può senz'altro essere annoverato fra i maggiori musei del mondo dedicati
esclusivamente alla ceramica. La data di nascita è quella dell 'Esposizione Torricelliana del 1908, che ne costituì il primo nucleo
grazie all'attività e al carisma di Gaetano Ballardini. Questi spese la vita nel tentativo di restituire a
Faenza l'antica posizione di preminenza nel campo della ceramica e di renderla un punto di riferimento per gli studi del settore.
Nelle sue intenzioni, un fine primario era anche la riqualificazione della produzione artigianale, secondo una preoccupazione
assai diffusa che nel secolo precedente aveva portato alla formazione di alcuni dei massimi musei di arti applicate. Il "Modern Style" all'epoca imperante contribuì certo
all'idea di internazionalità ed alla considerazione per un'arte troppo spesso definita minore.
La seconda guerra mondiale causò un disastro, perché la maggior parte delle collezioni fu distrutta dai bombardamenti. Con un impegno quasi eroico il Ballardini riuscì a
ricostituirle, e l'opera fu continuata e portata a termine dal successore Giuseppe Liverani.
Collezionisti, antiquari e studiosi di tutto il mondo contribuirono con donazioni spesso cospicue: per l'Umbria, la contessa Radicati di Brozolo donò
una grande quantità di vasellame due e trecentesco proveniente da scavi di Orvietohe, assieme a quanto rimasto del lascito
pre-bellico di Pericle Perali, costituisce il nucleo più ragguardevole di ceramica medievale orvietana conservato fuori dalla città di origine e tuttavia di
accerata provenienza locale.
A parte alcuni piattelli "Petalback", un grande piatto da pompa con San Geralamo, un frammento di vassoio del "Frate" su cui è illustrata una scena dell' Orlando furioso (13) e poco altro, la ceramica derutese è stata fino a tempi recenti in prevalenza rappresentata da oggetti secenteschi di vario tipo, come coppe, vassoi e saliere, con ornati "compendiari", a "raffaellesche "o "calligrafici", molti dei quali usciti dalla bottega del Maestro degli Atteoni, cui va aggiunta una rara alzatina a cineserie firmata da Gregorio Caselli (1772 o 1775) (14). Le donazioni di Galeazzo Cora (1979) e Angiolo Fanfani (1989) hanno però arricchito il settore rinascimentale, e oggi il museo faentino può esporre alcuni piatti da pompa veramente eccezionali, fra cui uno con la raffigurazione di Giuda Maccabeo a cavallo (15), e un altro con due vecchi che si abbracciano (16), di un tipo che potremmo definire grottesco, e che curiosamente coesiste a Deruta con i soavissimi personaggi perugineschi e pinturicchieschi, i santi, le Madonne, le "Belle". Anche maestro Giorgio da Gubbio è ora meglio rappresentato, poiché all' alzata con Sant' Ubaldo e a quella con una testina angelica (17) se ne è aggiunta un'altra con stemma (18) e un piattello con putto e tesa a grottesche (19).
Le collezioni Cora e Fanfani hanno inoltre portato una serie di albarelli biansati con manici a torciglioni e decorazioni gotiche che, un tempo attribuiti alla Toscana, vengono ormai generalmente annessi alla produzione quattrocentesca di Deruta, rivelatasi insospettabilmente ricca (20), Infine, è da menzionare l'acquisto di un bacile con una duplice immagine di Nemesi, iconografia insolita tratta da una delle incisioni dell' opera del Cartari. Il bacile, assieme a un grande piatto con scena di incerto significato già presente da tempo nel museo (21), appartiene alla mano di uno dei più curiosi decoratori derutesi, vissuto a cavallo fra XVII e XVIII secolo, comunemente denominato Maestro del Reggimento, riconoscibile dal modo estroso e libero di esprimersi e dai colori vivaci che esaltano il giallo; il vassoio col Reggimento che gli ha dato il nome si trova nel Museo Regionale della Ceramica Umbra, assieme a un grande piatto con la raffigurazione del dio Imeneo, mentre un piatto con una divertente scena di teatro in piazza appartiene al Museo di Montelupo, donata forse per una certa somiglianza con i famosi "bravacci" montelupini. Fra le collezioni toscane, di particolare interesse è la raccolta del Museo Nazionale del Bargello a Firenze, il cui nucleo più antico proviene dai beni medicei, legati alla città nel 1737 dall'ultima dei Medici, Anna Maria Luisa moglie dell' Elettore Palatino (22). Da essi proviene una grande quantità di istoriati marchigiani, ma anche il grande rinfrescatoio con scene mitologiche eseguito nel 1549 a Montebagnolo presso Perugia da Francesco Durantino, il quale tenta in un certo senso di trapiantare in Umbria una tipologia urbinate, con effimero successo (23). I successivi arricchimenti, e in particolare il lascito testamentario di Louis Claude Carrand nel 1888, portarono alcuni splendidi esemplari derutesi, fra cui un piatto da pompa con il profilo maschile armato di Scipione l'Africano, probabile opera del Painter of the Diruta Plate (24), e un piattello con medaglioni e trofei, in delicata bicromia a lustro e turchino, da ascriversi al Maestro del Pavimento di San Francesco (25).
Di minor rilievo i lavori di maestro Giorgio, fra i quali è una coppa con una corona di delfini a rilievo e al centrol'emblema amoroso delle mani che si stringono sopra un fuoco acceso, mentre in alto si libra un cuore trafitto, lustrata dal Maestro "N", probabilmente Vincenzo Andreoli (26).
Anche il Museo Statale d'Arte Medievale e Moderna di Arezzo possiede esemplari ammirevoli a lustro e policromi di Deruta; questa volta è però su Gubbio che deve appuntarsi l'interesse, grazie ad alcuni istoriati a lustro fra cui una famosa coppa con Ercole e Dejanira firmata nel 1528 dal Maestro dell'ypsilon-fi, ovvero dall' Avelli nella sua prima fase, e da maestro Giorgio (27).
Altri musei che possiedono maioliche umbre sono il Nazionale di Ravenna, dove è possibile vedere un grande piatto da pompa con la Crocifissione al centro e Scene della Passione tutt'attorno (28); il Correr di Venezia, il Castello Sforzesco di Milano (dove fra l'altro si conserva un vaso della "Domus Misericordiae", l'antico ospedale di Perugia, datato 1565) (29); il Civico di Brescia, il Civico Medievale di Bologna, il Museo di Palazzo Venezia a Roma il Duca di Martina e Capodimonte a Napoli, e l'elenco potrebbe allungarsi quasi all'infinito.
Nel secolo scorso le arti applicate italiane venivano ricercate soprattutto dai grandi collezionisti stranieri, mentre in patria erano meno valorizzate. Di conseguenza, le più ricche collezioni di maioliche italiane si trovano all'estero.
A Londra il Victoria and Albert Museum, fondato col nome di South Kensington, fa parte di quei grandi musei di arti applicate sorti in alcune capitali europee alla metà circa. del secolo scorso. Il settore della ceramica italiana fu catalogato da due studiosi di gran fama, il Fortnum (1873) e il Rackham (1940). Il primo, in particolare, ebbe un ruolo importante nella formazione stessa della collezione, poiché venne incaricato dalla direzione di consulenza e collaborazione agli acquisti, per la maggior parte da collezioni precedenti disperse sul mercato antiquario in seguito alla morte o al tracollo finanziario dei proprietari.
Per quel che riguarda il materiale umbro ivi raccolto, esso proviene in gran parte dalle collezioni Soulages, Salting e Castellani, e si presenta di grande rilievo. Vi figura quello che è a tutt'oggi il più antico lustro datato, una targa del 1501 con l'immagine di San Sebastiano, nella quale i tocchi di rosso hanno spesso suscitato il dubbio se si tratti di produzione eugubina o derutese (30)".
Fra gli innumerevoli piatti, piattelli, vasi e vassoi a lustro e policromi, in quantità tale da rappresentare in maniera coerente tutte le principali tipologie cinquecentesche sia nelle forme che negli ornati, si trovano esemplari che costituiscono vere e proprie pietre miliari nella storia della ceramica umbra: basti pensare al piatto di data purtroppo incerta (1515 o 1525), ornato a grottesche in grisaille su fondo blu, il cui autore fu dal Rackham, con riferimento proprio a questa opera, denominato "Painter of the Diruta Plate"(31). I profili dei due mostri addossati mostrano una durezza e un nitore di tratto riconoscibili anche su altri oggetti contemporanei.
Al Victoria and Albert si trovano opere del Maestro del Pavimento di San Francesco, fra cui una mattonella a forma di stella con un pastore, un piatto con un busto femminile di profilo, uno con la Madonna di Foligno da Raffaello tramite la stampa del Raimondi, un terzo con Danae addormentata, attorno alla quale si svolge una scena di caccia con cani, un cervo e un lupo (32).
A Giacomo Mancini, il "Frate" da Deruta, competono un vassoio e un piatto da pompa con scene dell' Orlando furioso: il vassoio, a lustro, è firmato e datato sul retro 1545 (33). Passando ad epoca successiva, è da ricordare una coppa con la Sacra Famiglia datata 1691, unica testimonianza sicura dell'attività di un Silvestro d'Angelo Trinci derutese, che la eseguì però in Bagnoregio (34).
Fa capo alla bottega di maestro Giorgio da Gubbio un numero grandissimo di oggetti
sia con decorazioni puramente ornamentali che con storie vere e proprie, alcune delle quali
eseguite in botteghe urbinati; tutti sono
caratterizzati dal lustro rosso rubino, per il quale la
bottega andava famosa.
Vi si trova anche quello che viene considerato il più antico esemplare di sicura attribuzione, un piattello a
grottesche datato 1515 e contrassegnato sul retro da una mano
che stringe un alabarda (35).
Di particolare interesse è
infine un gruppo di vasi e coppe più problematici,
anch'essi arricchiti da un bel lustro
rosso, spesso accostato a un verde
squillante, vicini per decorazione ai modelli
derutesi con qualche contaminazione metaurense, e
senz'altro precedenti di data, poiché una coppa reca lo
stemma del papa Giulio II Della
Rovere, morto nel 1513 (36). Il Fortnum e il Rackham ritennero di poterli
attribuire a una fase precoce delle officine eugubine, sicuramente atte
stata dai documenti, ma difficile da individuare, forse perché comunemente confusa con la
produzione derutese. Poiché questa fase sembra raccogliere sempre
più conferme d'archivio, i vasi del Victoria
and Albert
Museum potrebbero occupare un posto di grande importanza nell'evoluzione della ceramica eugubina.
La collezione del British Museum di Londra, una delle più ricche e interessanti, è anche fra le più antiche: il suo primo nucleo fu infatti la famosa collezione Sloane, di cui era stato conservatore, da giovane, Horace Walpole; acquistata dallo Stato nel 1753, anno di fondazione del museo stesso, fra le numerose uriosità comprendeva anche un buon numero di maioliche dal XVI al XVII secolo (37). In seguito si aggiunsero acquisti e lasciti da altre collezioni, fra cui quella di James Hamilton, che includeva ben 12 pezzi di maestro Giorgio, quella dell' architetto Pugin e soprattutto quella di John Henderson nel 1878, particolarmente ricca di maioliche.
Vista la provenienza, è dunque comprensibile la netta preponderanza numerica di esemplari di "alta epoca", rinascimentali e esteticamente rilevanti, fra cui una grande quantità di istoriati, mentre è scarsa la rappresentanza medievale, che comprende un gruppo di boccali orvietani, acquistati nel 1910 tramite Domenico Fuschini (38).
Ben più numerosa la produzione derutese, che contiene, oltre ai più comuni piatti da pompa, esemplari che occupano posizioni in certo senso nevralgiche nell'ambito della storia della ceramica: vi si trovano, ad esempio, un albarello e due brocchette del famoso corredo detto "Testa di moro", dall'emblema che vi è effigiato (39); l' albarello è fra i più precoci esempi di decorazione istoriata a Deruta, mentre le due brocchette, uscite dallo stesso stampo, una a lustro e l'altra soltanto policroma, ma con i tipici colori "Petal-back", servirono al Rackham per legare a Deruta l'intera tipologia correlata (40).
Allo stesso periodo si può ascrivere il piatto con scena di battaglia (41), opera forse dello stesso maestro che eseguì anche il già citato piatto da pompa con Scene della Passione del Museo Nazionale di Ravenna. Altro esemplare "storico" è il piatto con lo stemma di papa Giulio II (1503-1513), uno dei pochi lustri databili con sicurezza agli inizi del XVI secolo (42), mentre un altro con lo stemma di papa Adriano VI da Utrecht permette di focalizzare attorno al periodo del suo brevissimo pontificato (1522-23) la particolare stilizzazione a scomparti che ne orna la tesa (43).
Nel British Museum è possibile vedere un piatto del servizio Vitelli-Della Staffa, eseguito nel 1527 da maestro Giorgio da Gubbio per il signore di Città di Castello e sua moglie, e soprattutto alcuni esemplari di un servizio che Giorgio eseguì nel 1524-25 per un committente il cui emblema è costituito da una "s" all'interno di un cerchio tripartito sormontato da una croce (44). Essi presentano al centro putti alati circondati da trofei; su uno di questi, tuttavia, è rappresentato un cavaliere che regge uno stendardo, sullo sfondo di un paesaggio collinare.
Il pittore "FR", identificabile con l'Avelli nella sua prima fase, si avvalse forse del lustro di Gubbio: se l'attribuzione è corretta, nel British questo aspetto della sua opera è rappresentato da un piatto con una divinità fluviale adagiata sotto gli alberi presso un corso d'acqua (1524)(45), e da un altro sul quale la stessa figura, questa volta in veste di Paride, fronteggia le tre dee tenendo in mano la mela d'oro (46). Non mancano poi opere dell' Avelli nella sua fase matura (ad esempio, un piatto del 1532 con Venere e Marte, e un altro con Romo lo, Remo e la lupa"(47), quando con ogni probabilità si rivolgeva, per l'applicazione del lustro, alla bottega di Vincenzo Andreoli a Urbino.
Sempre a Londra è di grande interesse, anche se numericamente limitata, la raccolta umbra della Wallace Collection, che comprende fra l'altro due albarelli quattrocenteschi derutesi dai manici a cresta ornati con una ghirlanda graffita sul fondo manganese, di una tipologia assai rara (48), e un famoso piatto con Venere e Cupido a lustro rosso e oro, eseguito e firmato nel 1557 dal maestro eugubino Prestino, la cui produzione è a tutt'oggi da esaminare (49). Inutile dire che questi non sono gli unici musei inglesi ad esibire ceramiche umbre di grande qualità: ne sono forni ti l' Ashmolean di Oxford, dove confluì per intero la collezione privata del Fortnum, il Fitzwilliam di Cambridge, il Museo Nazionale Scozzese di Edimburgo, e molti altri ancora (50).
In Francia, la principale raccolta è quella del Louvre, di cui fanno parte un centinaio di pezzi di fattura derutese provenienti dalla collezione Campana (76 a lustro), e una trentina di fattura eugubina, che comprende piattelli con tesa a palmette, a fogliame o scomparti con al centro putti in vari atteggiamenti, stemmi, iniziali, e un gran numero di coppe su basso piede con tesa a rilievo (51). Vi sono poi esempi di forme interessanti perché insolite, come una fiasca a doppia conchiglia (52), una notevol quantità di istoriati a lustro firmati dall' Avelli, uno dei quali siglato dal maestro "N"(53), e una targa con Madonna con il Bambino datata 1536 la cui scritta può essere letta come la firma del Prestino (54). Due mattonelle provenienti dalla
4. Piatto a
grottesche disposte a
"candelieri",
Deruta, Painter
of the
Diruta
Plate, 1515 o 1525.
Londra, Victoria and Albert Museum.
5. Piatto con divinità
fluviale e paesaggio,
Gubbio,
bottega di
maestro Giorgio
Andreoli, 1524.
Londra, British Museum.
facciata della chiesa della Madonna del Piano di Gualdo Tadino costituiscono invece un possibile esempio di lustro rosso ivi prodotto (55). Di incerta collocazione, probabilmente eugubina, è il grande piatto da pompa con una giovane donna di nome Antonia appesa a testa in giù, come specifica il cartiglio, per non avere avuto fiducia nell'innamorato; il piatto è datato 1510, e sulla tesa reca dipinti medaglioni alternati a trofei (56).
La collezione derutese, aumentata in seguito tramite acquisti e successive donazioni, si distingue per la presenza di uno splendido piatto del Maestro del Pavimento di San Francesco, su cui è dipinto un profilo femminile armato tratto da un'incisione di "IB dall'Uccello" (57), e di alcune opere del "Frate", una delle quali firmata (58); apparteneva al Louvre, anche se attualmente in deposito al Museo di Calais, la coppa firmata e datata 1545 con Isabella rapita dall'eremita, tratta dall'Orlando furioso. Importantissima è anche una serie di bottiglie con allegorie di Virtù e personaggi del mito greco (59).
Gran parte delle ceramiche rinascimentali un
tempo al Musée des Thermes et de l 'Hotel
de Cluny sono attualmente
visibili nel castello di Ecouen,
nei pressi di Parigi, dove
è stato allestito il Musée
de la Renaissance Française.
La collezione fu
iniziata ai primi dell'Ottocento da Alexandre
Du Sommerard, che dapprima affittò l'Hotel
de Cluny, poi dal 1843 lo acquistò
e lo donò alla città di Parigi. Ne
divenne direttore il figlio Edmond,
illustre studioso, che completò
con altri acquisti la collezione, che
attualmente contiene circa trecento
pezzi di maiolica italiana.
Fra i numerosi piatti da pompa esposti se ne distinguono alcuni
datati, cosa rarissima per questa
tipologia, o databili con una
certa precisione sulla base
degli stemmi che vi
sono effigiati: ad
esempio, un piatto con stemma
papale mediceo e tesa a girali fioriti,
datato 1531 (60), o un altro che reca
al centro lo stemma di alleanza di Cosimo dei
Medici ed Eleonora di Toledo, il
cui matrimonio avvenne nel
1539 (61). Al Maestro del
Pavimento di San Francesco
appartengono con ogni
probabilità la coppa con
Atteone
trasformato in cervo (62)
e due piatti
rispettivamente con un lupo al centro
entro medaglioni ed
elementi floreali, e un profilo entro
grottesche e girali (63).
Vi è
poi un insolito piatto da pompa con embricazioni
attorno alla tesa, e con al centro la testa di profilo di un moro (64), simile
a quella effigiata sul pavimento di San
Francesco.
Per la tipologia "Petal-back", è particolarmente rappresentativo un grande piatto da pompa con rosone al centro e decorazione floreale e geometrica disposta a fasce concentriche (65).
Anche il Musée National de la Céramique di Sèvres sorge nella cintura parigina, ed è interamente dedicato alla ceramica, con particolare riferimento alla porcellana prodotta dalla manifattura omonima. Comprende però anche un nutrito gruppo di maioliche italiane, fra le quali, per quel che riguarda Gubbio, vorremmo segnalare alcuni piatti da famosi servizi eseguiti da maestro Giorgio negli anni venti del Cinquecento, quali quello Vitelli-Della Staffa (66) e quello per la famiglia Saracinelli di Orvieto (67), nonché due albarelli privi di lustro, firmati dal ceramista eugubino Mariotto e datati l541 (68).
Un esemplare veramente di eccezione è conservato nel Petit Palais, dove confluì la collezione dei fratelli Dutuit: si tratta di un piatto con la scena del Giudizio di Paride, datato 1520, sul retro del quale la firma di maestro Giorgio è tracciata non col lustro rosso, come normalmente avviene, ma col blu (69). Questo fatto indica che l'intera decorazione è stata eseguita nella bottega Andreoli, dove operavano maestranze in grado di dipingere anche istoriati, e non soltanto di applicarvi sopra il lustro, come un tempo era convinzione diffusa. Molto ricco di ceramica in Francia il Musée des Arts Decoratifs di Lione, le cui maioliche provengono quasi totalmente dalla collezione Paul Gillet, donata nel 1955 e nel 1960. La collezione fu catalogata dal Damiron nel 1943 e nel 1956, e comprende una bellissima serie di piatti da pompa, sia a lustro che policromi, di cui tre recano lo stemma dei Baglioni, signori di Perugia (70); vi sono poi alcuni albarelli "caricaturali" e a profili degli inizi del XVI secolo, di fattura derutese, e alcuni "Petal-back". Un piatto da pompa con un giovane guerriero davanti al quale è sospesa la lettera "N" è attribuibile al Maestro del Pavimento di San Francesco (71), alla cui bottega rimanda, per la gamma cromatica e per alcuni elementi decorativi, anche un piattello ornato a grottesche e teste di putto, su cui compare lo stemma della famiglia Montesperelli di Perugia (72). Esso presenta analogie significative anche con l'opera del Frate, di cui non è escluso che costituisca una prova precoce. La produzione eugubina è anch'essa significativa e comprende un certo numero di coppe a rilievo e di istoriati a lustro, alcuni di mano dell' Avelli.
Ceramiche umbre sono conservate nel Museo Adrien Dubouchè di Limoges (è da segnalare un vassoio proveniente dalla collezione Gasnault, firmato da Gregorio Caselli di Deruta nel 1771, ornato a cineserie sul tipo dell'alzatina del Museo di Faenza) e nei Musei di Douai, Calais, Saint Omer (73). A Rouen è possibile trovarne nel Musée des Beaux Arts e nel Musée des Antiquités (74). Infine, nel Musée des Arts Decoratifs di Strasburgo, che possiede anch'esso un certo numero di maioliche italiane assieme a una ricca documentazione dell' affascinante produzione settecentesca locale, è conservato un piatto firmato nel 1545 dal "Frate", con la scena della Nascita di Esculapio e del bisticcio fra il corvo e la cornacchia (75).
La stessa scena fu dipinta dal pittore Francesco Urbini durante la sua permanenza a Gubbio, e arricchita dal lustro di maestro Giorgio, su un piatto che costituisce uno fra gli esemplari più interessanti della ricca collezione del Boyman van Beuningen di Rotterdam; vi è infatti scritto sul retro il nome di Gubbio in blu anziché in lustro, e questo concorre, assieme al piatto col Giudizio di Paride Dutuit, a rafforzare l'opinione che nella bottega di maestro Giorgio si eseguissero istoriati. Le collezioni olandesi non sono ancora state catalogate, e sono di conseguenza poco note, salvo alcuni esemplari nel Rijksmuseum di Amsterdam e nel Geementemuseum di Den Haag. Lo stesso può dirsi per le collezioni austriache e svizzere, a proposito delle quali menzioneremo soltanto due esemplari di eccezione: un piatto da pompa derutese dell' Ariana di Ginevra con lo stemma di papa Pio IV Medici di Marignano (15591565)(76) e un vassoio del "Frate" con la raffigurazione del Parnaso, datato 1564, nel Museo AlexisForel di Morges, testimonianza dello stile maturo del maestro (77).
Dopo Londra e Vienna, il terzo grande Museo di arti applicate fu il Kunstgewerbemuseum di Berlino, fondato nel 1867 con la consueta finalità di fornire esempi per gli artigiani, affinché si ispirassero a modelli esteticamente validi. Il primo direttore fu Julius Lessing, che curò gli acquisti e la graduale trasformazione da istituzione a scopo educativo a Museo di Belle Arti, nel quale confluì nel 1876 la "Kunstkammer" della casa reale prussiana; passarono in questa occasione al museo ben 674 maioliche, acquistate per la maggior parte dal console prussiano a Roma Bartholdi, che aveva privilegiato gli istoriati del Cinquecento. Fu soltanto nel primo quarto del xx secolo che, in sintonia con quanto accadeva altrove, si risvegliò l'interesse per la produzione medievale, e gli apporti in questo campo furono pilotati dal von Falke, divenuto direttore dopo la morte del Lessing nel 1906, e da Wilhelm von Bode, che ricopriva la carica di direttore generale dei musei berlinesi. Quest'ultimo donò un numero cospicuo di maioliche "arcaiche" italiane, contribuendo a colmare una grave e diffusa lacuna. Gli eventi belli ci segnarono pesantemente la collezione di maioliche berlinese, raccolta da Otto von Falke nello Schlossmuseum e considerata, con i suoi 850 esemplari circa, una fra le più belle d'Europa; infatti una bomba esplose nel 1944 nelle sale dove erano raccolte maioliche e vetri, causando distruzioni terribili (78). Attualmente sopravvive solo una parte delle dotazioni originarie, cui vanno aggiunte alcune acquisizioni postbelliche.
Oltre ad alcuni boccali tardomedievali orvietani, è di notevole interesse il vasellame derutese quattrocentesco e degli inizi del Cinquecento: un paio di albarelli
7. Piatto
con due
sibille e
segni
dello
Zodiaco,
Deruta, Maestro
del pavimento
di San Francesco, prima metà
del XVI
secolo.
San Pietroburgo, Museo dell'Hermitage.
8. Piatto da pompa con lo scudo
dei
Baglioni sormontato da tiara
vescovile (di
Ercole Baglioni?), Deruta,
1511-1520.
New York, Metropolitan
Museum.
di cui uno biansato e uno ornato con spirali in manganese graffito (79), alcuni "Petal-back" e alcune bellissime fiasche (80). Vi sono poi piatti da pompa, un piattello con un putto che gioca attribuibile al Maestro del Pavimento di San Francesco (81), alcuni piatti eugubini a grottesche fra cui due datati 1519 (82), e moltissimi istoriati, di cui uno con scena di combattimento eseguito nel 1534 da Francesco Urbini (83).
Il Kunstgewerbemuseum der Stadt di Colonia vanta anch'esso il possesso di
esemplari umbri sia pure in piccola quantità, fra i quali spiccano piatti da pompa
derutesi, vasi e piattelli, uno dei quali, di tipologia
eugubina, lustrato dal maestro "N" (84). Tuttavia, dopo Berlino,
la seconda collezione tedesca per numero di maioliche umbre è quella del Museum fur
Kunstund Gewerbe di Amburgo, essendone scarsamente fornita la pur enorme
raccolta dell 'Herzog Anton Ulrich di Braunschweig (85).
Vi sono coppe e boccali provenienti dai pozzi di Orvieto, per
lo più trecenteschi (86); una ciotola e due boccali sono però del pieno Quattrocento, quando la
produzione continuò ad essere abbondante, pur perdendo
gradualmente importanza a fronte delle importazioni
derutesi (87). A Deruta appartengono un piatto
"Petal-back"(88), un boccale "caricaturale" con
una scena grottesca di fustigazione (89) e alcuni piatti da pompa di cui
uno reca lo stemma di papa Giulio III, e databile di conseguenza fra
il 1550 e il 1555 (90); una coppa con una
Laura Bella (91) e un piatto
dell'Avelli con la Morte di
Cleopatra (92)testimoniano infine l' eccellenza dei
lustri eugubini.
Nei paesi dell'Est, l'Umbria è presente nei Musei di Arti Applicate di Budapest, Praga, Cracovia (Museo Czartorisky); nessuno di
questi può tuttavia reggere il confronto con le collezioni dell'Ermitage di San Pietroburgo (93), che traggono in parte origine dagli oggetti che ornavano le sale del palazzo
d'inverno nel XVIII secolo; tuttavia la maggior quantità di maiolica, circa 110 pezzi, fu acquisita nel 1884
alla morte del nobile H.P. Basilevsky, che trascorreva la maggior parte della sua vita a Parigi. Il Basilevsky a sua volta aveva
fatto i propri acquisti quando sul mercato erano state disperse altre famose collezioni, soprattutto la Castellani, la Cajani, la Pourtales, e si era avvalso della consulenza del
conservatore del Louvre Alfred Darcel.
Seguì poi nel 1917 la collezione Botkine, di ben 280 pezzi, e varie altre, che hanno
reso l'Ermitage il più ricco museo di maiolica italiana dell'est europeo. Fra gli esemplari derutesi ricorderemo il piatto quattrocentesco con profilo maschile
accompagnato dalla scritta amorosa "AMOR ME PORTA", in cui i motivi di riempimento sono graffiti sul manganese secondo una tipica
tecnica derutese, e il cui retro è rivestito da una semplice invetriatura trasparente (94); vi sono poi un albarello "caricaturale" datato 1507, alcune opere del
"Frate", fra cui un versatore da farmacia con l'emblema del sole, a nostro avviso eseguito nella sua bottega dopo il 1550, benché nella forma richiami da
vicino le brocchette degli inizi del secolo (95).
Nell'ambito della produzione eugubina, si trovano all'Ermitage una coppa a lustro con una Camilla Bella, che reca unite la sigla di maestro
Giorgio e quella di "N", testimoniando il loro stretto collegamento; un piatto con la Caduta di
Fetonte, datato 1522, e un altro con scena di rapimento, datato 1541, la cui firma,
scarsamente
leggibile, è stata talora interpretata come "Gileo", forse un emulo di Giorgio (96).
Ricchi collezionisti, rivelatisi poi mecenati, non mancarono nemmeno oltre oceano. Nel prestigioso Metropolitan Museum of Art di New York, la collezione di Robert Lehman occupa un posto importantissimo; morto nel 1969, la sua può essere considerata la più importante raccolta di maiolica italiana attualmente negli Stati Uniti. I principi sui quali si basa sono due: da un lato la volontà di documentare ampiamente la maiolica, dall' altro il fascino degli esemplari di eccezione, di altissimo livello (97). Al primo sono dovute le testimonianze del Quattrocento derutese, con tre vasi biansati, fra cui uno con manici a torciglioni e stemma Orsini, e un altro con anse a drago e stemma Baglioni, e tre taglieri "Petalback" con al centro profili (98). Al secondo è invece dovuto il gusto per il lustro, con alcuni fra i più affascinanti esemplari di piatti da pompa: ad esempio quelli con le Fatiche di Ercole provenienti dalla collezione Pringhsheim e basati su stampe pollaiolesche, e quello con lo stemma vescovile di Ercole Baglioni, che ebbe questa carica ad Orvieto dal 1511 al 1520, e che di conseguenza è facilmente databile (99). Ma la parte più interessante riunisce un gruppo di vassoi da acquereccia con grottesche a rilievo attorno alla parete, tutti simili per forma e rilievi, attribuibli alla bottega del Maestro del Pavimento di San Francesco. Essi testimoniano una continuità fra questa e la bottega del "Frate", cui verosimilmente appartiene un analogo esemplare del Louvre datato 1546 (100).
Per quel che riguarda maestro Giorgio, numerosissimi sono gli esemplari che recano la sua sigla e il suo lustro, e spesso anche la data: piattelli ornati a trofei, grot tesche, palmette e fogliame, nonché coppe a rilievo su basso piede. Di grande pregio sono però gli istoriati a lustro, fra cui uno di soggetto tipicamente eugubino, col Sepolcro di sant 'Ubaldo, datato 1521 e 1522 (la seconda data si riferisce esclusivamente all' applicazione del lustro, non necessariamente contemporanea all' esecuzione decorativa) (101). Qui il lustro occupa spazi appositamente lasciati vuoti dal decoratore, e quindi è molto probabile che anche la decorazione istoriata sia stata eseguita nella stessa bottega.
Questo è probabilmente vero anche per un gruppo stilisticamente omogeneo che presenta affinità con il Giudizio
di Paride del Petit Palais, e viene pertanto da questo denominato, e che
comprende, nella Lehman, l' Ercole che uccide il centauro Nesso, datato 1525, e il Figliol
prodigo (102), A Washington, la Corcoran Gallery of Art ospita la collezione Clark, di recente catalogata, che
contiene un discreto numero di ceramiche umbre, come pure il Paul Getty Museum di Malibu e la raccolta del Museo Nazionale di Washington, riccha di pezzi
eugubini (103). A Baltimora, nel Maryland, vi è poi la Walters Art Gallery, frutto del mecenatismo di Henry
Walters.
Nel 1902 egli comprò a Roma la collezione Massarenti poi, per i successivi trenta anni, continuò ad arricchire quel primo nucleo attingendo a grandi collezioni in via di
dispersione, e mirando più alla qualità che alla completezza di informazione (104). Risultano quindi trascurati i manufatti medievali o del primo
Rinascimento mentre occupano un grande spazio i lustri derutesi, che annoverano esemplari di prestigio: possiamo ricordare una Bella recante un cartiglio con un motto
particolarmente elaborato, e un piatto da pompa con
un grifone, emblema di Perugia, che regge lo stemma dei Baglioni, e soprattutto l'immagine di un bellissimo cavaliere che prega a mani giunte, mentre la scritta, racchiusa entro una ghirlanda attorno alla tesa, dice "IO MA RE CHOMADO A DIO", attribuito a Giacomo Mancini (105). La bottega di maestro Giorgio è presente con una serie di piattelli a palmette e scomparti, fra cui un piatto del servizio Ciocchi Dal Monte, siglato e datato 1527, e numerose coppe con parete a rilievo recanti immagini di santi o emblemi (106).
Riteniamo di dover concludere qui questa rapida carrellata per motivi di spazio, non certo perché l'argomento sia stato esaurito; la presenza della ceramica umbra è infatti fra le più costanti, e il grande impulso che attualmente hanno le catalogazioni ne evidenzia sempre più la quantità; auguriamoci che continuino e aumentino le ricognizioni sistematiche, affinché sia finalmente possibile pervenire a una visione organica e completa di una produzione che fu senz' altro fra le più ricche e qualitativamente alte della storia della ceramica italiana.
l Mallet, 1978, pp. 396-404.
2 Satolli,
1981, pp. 34-78.
3 lvi, pp. 41-42.
4 Fiocco - Gherardi, 1995.
5 G.B. Passeri, in Calogerà, 1758, IV, pp. 25-26.
6 Alberti, 1553, foglio 85, voce "Druida
o Deruta", in cui asserisce che i vasi
derutesi erano famosi perché così ben lavorati da
sembrare d'oro.
7 Le notizie sulla formazione delle collezioni di maioliche del Museo Civico di Pesaro sono tratte da Mancini Della Chiara, 1979, La raccolta Mazza, senza indicazione di pagina.
8 Mancini Della Chiara, 1979, n. 170.
9 ivi, nn. 164-168,172,118,116,171,112,169, 163, 110-113, 115, 120-131.
10 iivi, nn. 149-151, 154-158.
11 ivi, nn. 139,
138, 143 (datato 1536).
12
ivi, nn. 140 e 144.
13 Fiocco - Gherardi, 1988,
I, nn. 165-166,
263,268.
14 lvi, n. 363.
15 lvi, n. 263.
16 Ravanelli Guidotti, 1990, n. 101.
17 Fiocco - Gherardi, 1988, I, nn.
374-375.
18 lvi,
n. 376.
19 Ravanelli Guidotti, 1990, n. 108.
20 lvi, nn. 87-90; Fiocco - Gherardi, 1988, I,nn.152-154.
21 lvi, rispettivamente, nn. 367 e 342.
22 Conti, 1971, Genesi e fortuna della raccolta, senza indicazione di pagina.
23 Fiocco - Gherardi, 1991, n. 6.
24 Fiocco-Gherardi, 1990, n. 11.
25 lvi, n. 10.
26 Fiocco - Gherardi, 1991, n. 3.
27 Fiocco - Gherardi, 1989, II, tav. L.
28 Fiocco - Gherardi, 1988, I, p. 94,
fig. 52.
291vi, I, p. 138.
30 Rackham, 1940, n. 437.
31
lvi, n. 430.
32 lvi, nn. 427, 435, 433, 492.
33 lvi,
nn. 784-785.
34 lvi, n. 1193.
35 lvi, n. 641.
36 lvi, nn. 509-518.
37 Le notizie sulla costituzione delle collezioni del British sono tratte da Wilson,1987, pp. 17-21.
38 lvi, nn. 4-8.
39 lvi, nn. 38, 139, 150.
40 Rackham, 1915, pp. 28-35.
41 Wilson, 1987, n. 153.
42 lvi, n. 197.
43 Ivi,n.199.
44 Ivi,nn.164, 166, 168.
45 lvi, n. 163
46 lvi, n. 68.
47 lvi, nn. 75-76.
48 Norman, 1976, nn. C80-C81.
49 lvi, n. C70.
50 Wilson, 1989; Rackham, 1935; Curnow, 1992; Poole, 1995.
51 Giacomotti, 1974, nn.
708-742.
52 lvi, n.
706.
53 lvi, nn. 862-866.
54 lvi,n.743.
55 lvi, n; 707.
561vi, n. 477.
57 lvi, n. 538.
58 lvi, nn. 916-918, 920-922.
59 lvi, nn. 481-187.
60 lvi, n. 488.
61 lvi, n. 498.
62 lvi, n. 541.
63 lvi, nn. 539-540.
64
Ivi, n. 558.
65 lvi, n. 451.
66 lvi, n. 671.
67
lvi, n. 675.
68 lvi, nn. 790-791.
69 Join Dieterle, 1984, I, n. 54.
70 Damiron, 1956, nn. 53-54,47.
71 Damiron, 1943, n. 63.
72 "lvi,n.l09.
73 Trésors des musées de la France ... , 1986, pp. 33-53.
74 Allinne, 1928.
75 Fiocco - Gherardi, 1988, I, p. 113, fig.74.
76 lvi, p. 75, fig. 35.
77 Mariaux, 1992, pp. 74-75, tav. XV.
78 Per le vicende delle ceramiche un tempo conservate nello Schlossmuseum, la nostra fonte è Hausmann, 1974, pp. 24-33.
79 Hausmann, 1972, nn. 84c85.
80 lvi, nn. 145-148.
81 lvi, n. 150.
82 lvi, nn. 163-164.
83
lvi, n. 203.
84 Klesse, 1966, nn. 293-306
85 Per questa collezione, cfr. Lessmann, 1979.
86 Rasmussen, 1984,
nn. 1-21.
87 lvi, nn. 22-24.
88 lvi, n. 99.
89 lvi, n. 100.
90 Ivi, n. 113.
91 lvi, n. 115.
92 lvi, n. 124.
93 Birukova, 1991, pp. 194-196.
94 Kube, 1976, p. 3.
95 lvi, pp. 33-34.
96 lvi, pp. 65-66, 90.
97 Rasmussen, 1989, p. XI.
98
lvi, nn. 7,23,34-36.
99 Ivi, nn. 37-38,40.
100 lvi, nn. 40, 42-44.
101 lvi, n. 116.
102 1vi, nn. 118-119.
103 Watson, 1986; Hess, 1988; Wilson, 1993, pp. 119-263.
104 Von Erdberg - Ross, 1952, p.
VII.
105 lvi,
nn. 16, 18, 21.
106 lvi, n. 28.