Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in Keramos 186, ottobre 2004, pp.9-34
»Ouesto medesimo si fa per la Romagnia, come a dir Faenza, che tiene il primo luogo per conto dei vasi, Furlì, Ravenna, Rimini ... «.Questa frase del Piccolpasso (1) a proposito del modo di raccogliere la terra, che è simile in Romagna e nell'area metaurense, ricorda come a Forlì, ai tempi suoi, si lavorasse la ceramica. Forlì è una città lungo la via Emilia, a circa 15 chilometri da Faenza, in direzione del mare. Già nel Medioevo la ceramica vi era così abbondante che la città veniva anche chiamata »Figline« (2). Per quel che riguarda la produzione del XVI secolo, i frammenti di scavo ritrovati, sia in passato che di recente, e la presenza in vari musei di oggetti che recano la scritta »Forfl« indicano che si trattava di maiolica finemente decorata, e di notevole pregio; tuttavia, poiché Faenza »tiene il primo luogo per conto dei vasi«, la maiolica forlivese è stata sempre oscurata da quella della città vicina. Per di più essa appare effettivamente modellata sulle tipologie faentine: le decorazioni accessorie sono spesso simili, con rari elementi di specificità, ed è comune ad entrambi i centri l'uso dei fondi azzurrati (berettim). Di conseguenza, lo studio della maiolica forlivese del' 500 presenta molte difficoltà; tuttavia, si preannuncia importante. Esso prende le mosse da tre tipi di fonti: a) le maioliche di sicura attribuzione, che recano scritto il nome della città, e quelle ad esse strettamente collegate; b) la grande quantità di frammenti di scavo locale conservati in parte nei depositi del Museo Civico di Forlì, in parte presso la Soprintendenza; c) la documentazione di archivio trascritta dal Grigioni.
Per quanto riguarda il primo punto, riportiamo in appendice un elenco degli esemplari a noi noti. Se si tiene conto di quanto sia scarsa la percentuale di pezzi
contrassegnati col nome del luogo di produzione anche per i centri più famosi (Faenza, Casteldurante, Urbino), quella forlivese rientra nella norma,
e costituisce probabilmente la parte visibile, perché immediatamente identificabile, di un sommerso ben più vasto. Il caso di Forlì somiglia un po' a quello di
Casteldurante, la cui produzione è in fase di revisione fra enormi difficoltà, perché in gran parte indistinguibile da quella urbinate e
pesarese. E' necessario quindi, come per la città metaurense, ripartire dagli esemplari sicuri perché contrassegnati.
La differenza è che la produzione forlivese non ha mai goduto, nemmeno lontanamente, della enorme fama di cui ha invece beneficiato quella
durantina; di conseguenza è più difficile oggi un'apertura di credito.
La fisionomia faentina, gli scambi di artefici fra le due città e non ultima la noncuranza del Piccolpasso ne hanno fin qui ostacolato la valutazione. Inoltre i
frammenti di scavo non sono mai stati completamente esaminati né pubblicati, e sono ancora in fase di catalogazione. Abbiamo avuto accesso ad alcuni di quelli conservati
nel museo di Forlì, grazie alla gentilezza della direttrice Dr.ssa Prati, ma senza poter compiere una ricognizione esaustiva e soddisfacente. Speriamo dunque che, per il
prossimo futuro, essa possa trovare attuazione, magari nell'ambito di un progetto che comprenda anche l'esame completo delle mattonelle
Lombardini. Alcuni elementi sono comunque evidenti, oltre la già rilevata affinità faentina: ad esempio, la peculiare tipologia dei
trofei, spesso profilati in blu sul fondo dello stesso colore, e la frequenza con cui ricorre lo smalto azzurrato,
»berettino« (fig.1).
Per la documentazione di archivio, sono a disposizione degli studiosi le trascrizioni manoscritte lasciate da Carlo Grigioni al comune di Forlì, conservate nella biblioteca. Per lo più inedite (3), esse rappresentano il frutto di un gigantesco lavoro di spoglio compiuto negli archivi forllvesi (4), con attenzione particolare ad artisti, ceramisti e artigiani in genere. Le informazioni che se ne ricavano sono di interesse eccezionale, e mostrano come a Forlì l'arte della maiolica avesse una estensione insospettata. Abbondano infatti i »flquli. e gli »orcellari«, quasi sempre chiamati maestri (5); fra quelli che vengono più di frequente nominati, ricordiamo Maestro Pietro di Domenico Garavini da Faenza (vedi appendice n. 2), Maestro Carlo di Tommaso Garavini da Modiqliana (6), Maestro Coralio di Alessandro da Modigliana, Maestro Antonio da Modigliana, Maestro Pietro Antonio di Giovanni Masi da Dovadola (7), Francesco Masini da Rivalta, Giovanni Battista »a Ternplo«, Maestro Giovanni Maria Menzocchi e, naturalmente, Berto Solombrino, padre del più famoso Leocadio.
In questa sede ci limiteremo a parlare di »Petrus«, l'autore del pavimento Lombardini. Ci sembra infatti giunto il momento di farlo uscire dall'isolamento, e porlo a buon diritto al centro di un discreto numero di opere, già attribuite a »Pietro dal castel«, al »pittore »P« nella bottega di Francesco Torelli«, al »Master of the Taft Orpheus«, al »Pittore del trionfo della luna di Marciqny«.
Non intendiamo dunque fare una storia della ceramica forlivese della prima metà del' 500, né prenderne in considerazione ogni aspetto; sarebbe, almeno in questa fase, del tutto prematuro. Lo è sicuramente, ad esempio,
affrontare di nuovo l'enigmatico e famosissimo piatto con »Gesù fra i dottori«
conservato nel Victoria and Albert Museum di Londra, che porta sul retro la scritta »ln la bottega d m" iero da
forli« (8). Dal punto di vista stilistico esso ci appare fortemente influenzato da un classicismo
eccentrico, vicino alla cultura d'oltr'Alpe. Visti i dubbi che hanno sempre
riguardato il suo luogo di produzione, malgrado la scritta (9), ci limiteremo ad osservare che sono estremamente forlivesi il gusto per
i trofei bizzarri, fuori dal comune, e quello per la monocromia blu. Non ci sembra che il piatto abbia molto a che fare con
il gruppo della »Resurrezione« (10), ma che rappresenti piuttosto l'opera di un artista attivo negli
anni fra il 1525 e il '35, vicino al gusto dei taccuini dell'Aspertini e influenzato anche
dai modi di Girolamo Genga.
Quanto poi al Maestro "Jero", non vi sono sufficienti appigli né documentari né stilistici per
un'identificazione plausibile. Nella prima metà del' 500, quando il piatto presumibilmente fu fatto, è
attivo a Forlì un maestro Girolamo pittore, figlio dell'orefice Bartolomeo, cui vengono attribuiti gli
affreschi nel convento di San Domenico. Non si può escludere che il piatto sia stato eseguito nell'ambito di questa
bottega, ma l'ipotesi non poggia su nessun particolare sostegno. Sono inoltre numerosi, a
Forlì, i maestri ceramisti di nome Girolamo (né potrebbe essere diversamente, trattandosi di un nome all'epoca estremamente comune): nel
1509, ad esempio, è menzionato Girolamo, figlio di maestro Lodovico Morelli
(11); nel 1524-1525 il maestro Girolamo Gazze (12): nel 1528 un
»rnaqister hieronimus fiqulus« prende in affitto una botteqa (13): si tratta forse di Girolamo di Giovanni Montanari
(14), oppure di Girolamo di Giovanni Battista Sordi di Forlì, chiamato anche
Brandino, menzionato in documenti che vanno dal 1534 al 1546 (15); senza contare
»rnaestro Hieronimo alias rizzardo figulo de surdis« (16), Fornire un'identità a Girolamo,
dunque, è impossibile per eccesso di materia prima.
Un altro maestro con tangenze forlivesi, che richiede con urgenza un riesame, è il »Pittore della coppa
Bergantini«.
Questo è innanzitutto un argomento faentino: a Faenza infatti, nella
bottega di Pietro Bergantini, egli eseguì il suo capolavoro, la coppa con il Sacrificio di Marco Curzio da cui viene
denominato, datata» 1529«, né è mai stato messo in dubbio che alcuna sua opera fosse stata
eseguita altrove. Con una sola eccezione, una coppa del Victoria and Albert Museum di
Londra con una scena di uccisione (Davide e Golia?), dietro la quale è la scritta
»FATTA IN FORLI« (17). La coppa è dipinta su smalto azzurrato,e
sulla sua autografia non dovrebbero esserci dubbi: le fisionomie corrispondono a quelle del pittore Bergantini, con alcune sproporzioni
tra le figure presenti anche altrove, e che qui sarebbero particolarmente giustificate qualora la scena rappresentasse
davvero l'uccisione del gigantesco Golia. Il pittore stilizza e ombreggia come suo
solito, e saltano agli occhi, oltre alle espressive teste calve di origine
leonardesco-aspertiniana, i caratteristici cavalli dalla testa alzata, con i muscoli del collo ben evidenti. AI Victoria and Albert Museum è conservata un'altra coppa, con Muzio Scevola davanti a Porsenna (18), in policromia su fondo bianco, a nostro avviso dello stesso autore, anche se il Rackham la giudicava di qualità inferiore: i modi di rappresentare sono infatti estremamente simili (è significativo, ad esempio, il raffronto fra le teste e i colli dei cavalli, che corrispondono esattamente, e sono assai simili nella coppa Bergantini). Il pittore riguarda dunque anche la storia della maiolica forlivese, benché sia difficile determinare in quale misura. Si tratta forse di un pittore forlivese che si è trasferito a Faenza, o viceversa di un faentino che ha operato anche a Forlì? E che durata avrebbe avuto la trasferta dall'una all'altra città? Ovviamente è impossibile rispondere". Rimangono aperte alcune interessanti possibilità, in attesa però di verifica.
Altre opere rientrano nel repertorio della maiolica forlivese della prima metà del' 500: ad esempio, la coppa con il Parnaso del Museo Nazionale di Ravenna, datata 1545 (20), il piatto con il Trionfo di Scipione dello stesso rnuseo (21), eseguito probabilmente attorno al 1540, e quello con la Strage degli Innocenti del Louvre (1542) (22), forse della bottega dei Solombrino. Questi oggetti si affiancano alla documentazione del Grigioni riguardante i ceramisti forlivesi, cui è però estremamente difficile, come quasi sempre accade, accostare materialmente le opere.
"EGO PI(N)GIT PETRVS. INMAGINA(M). SVA(M) ET IN(M)AGINE.
CA(N)CELERIS. SVE. DIONISI. BERTINO.RIO.
1513«. Questa scritta si trova su una mattonella dello splendido
pavimento in maiolica, proveniente dalla cappella Lombardini, un tempo nella chiesa di San Francesco in Forlì
(fig. 2). La cappella prendeva il nome da un medico ai suoi tempi famoso, Bartolomeo Lombardini
(1430-1512), che aveva ottenuto il
permesso di erigerla 1'8 giugno 1496.
Il 5 ottobre
1511 Bartolomeo fece testamento, destinando 1000 ducati
per la realizzazione degli affreschi, dell'ancona e del sepolcro
marmoreo. Morì l'anno successivo, e le sue volontà
furono attuate dai Monsignani, suoi eredi, uno dei quali ne aveva sposato la figlia
Giovanna. Il progetto è tradizionalmente attribuito
al pittore forlivese Marco Palmezzano, la realizzazione forse fu di Bernardino Guiritti. Il
monumento funebre e la recinzione, in pietra d'lstria, furono eseguiti dal faentino Pietro
Barilotto negli anni 1516-1518 (23).
Nel 1518 giunse da Urbino Girolamo Genga, che ne
compì la decorazione assieme ai
pittori Timoteo Viti e
Francesco Menzocchi.
Il pavimento copriva una superficie di circa 40 metri quadrati, ed era ancora in loco nel 1793 (figg.
3, 4, 5, 9). Fu smontato per volere dei Monsignani, che avevano ereditato dal Lombardini anche il giuspatronato della cappella.
Essi lo fecero trasferire nell'oratorio della loro villa di Pieve Quinta, a sua volta demolito nel 1862. Le
mattonelle si trovarono così sul mercato: il Fortnum ne acquistò la maggior parte, che finì al Victoria and Albert Museum, dove ancora
oggi è conservata. Alcune furono comprate dal Museo internazionale delle ceramiche di Faenza, altre da Antonio Santarelli per il museo di
Forlì.
La mattonella firmata da Petrus è una di quelle del Victoria and Albert Museum di Londra. Il nome indica l'autore della decorazione'", Sopra e sotto la scritta sono effigiati due volti maschili, il primo affiancato dalla lettere »DO" sormontate dal segno di abbreviazione (Dionisius) e il secondo dalle lettere "PR" (Petrus). Il pittore si è dunque voluto ritrarre assieme a Dionigi, che definisce »il suo cancelliere« e che proveniva da Bertinoro, una piccola città nelle vicinanze di Forlì; anzi, ha dato maggior risalto all'immagine di costui che alla propria. Il termine "cancelliere", nel '500, alludeva in genere a un burocrate, un segretario addetto alla registrazione degli atti. Non è chiaro perché Pietro ritenga di unire al proprio il ritratto di Dionigi, né in quale senso lo chiami "suo". Era forse colui che sovrintendeva all'opera? O gli era legato da vincolo di parentela, gratitudine o amicizia? Per risolvere il mistero bisognerebbe conoscere qualcosa di più sull'identità storica e sulle funzioni dei due personaggi, i[ che finora non è stato possibile.
E' problernatica anche la data »1513«, dal momento che ne è presente un'altra, »1523«. Come vedremo, quest'ultima si adatterebbe molto meglio alla figura pittorica di »Petrus«, che qui tenteremo di delineare. Si è ipotizzato che la prima data indichi l'inizio dei lavori, oppure che sia celebratlva, ma di che cosa non sapremmo. Non del giuspatronato, che risaliva all'anno 1496, né della morte del Lombardini, avvenuta nel 1512.
In mancanza di documentazione specifica, si è anche discusso se il pavimento fosse di produzione forlivese, o non piuttosto faentina o marchigiana 25. Un'opera così complessa e qualitatlvarnente alta ha portato molti a crederla faentina, quasi che a Forlì non esistessero artefici in grado di esequirla, La stessa vicinanza fra i due centri ha giocato a favore dell'ipotesi di una importazione da Faenza, che tuttavia non può vantare un'opera paragonabile. Infatti, dopo il pavimento Vaselli in S. Petronio di Boloqna, non vi sono esempi superstiti di pavimentazioni del primo quarto del Cinquecento.
Petrus è un artefice di eccezionale qualità e distinzione. Pur potendoci basare, per ora, sull'esame
di un numero ristretto di mattonelle, ci sembra che egli superi i confini della decorazione, e che possa a pieno titolo essere definito
pittore. La maniera in cui rende i volumi, a tratteggio, denota familiarità con la tecnica del disegno. Anche il gusto per la
monocromia, per il quale le figure emergono dal fondo alternativamente giallo e ocraceo mediante un tenue segno rossiccio, quasi di sanguigna, e vibranti lumeggiature
bianche, indica un artefice decisamente a suo agio con la
matita in mano.
Su Petrus si è scritto molto in passato, facendo ipotesi di ogni genere. Purtroppo lo spoglio dei
documenti negli archivi forlivesi, fatto dal Grigioni, sulla sua identità storica non fornisce elementi decisivi. Non
rimane che concentrarsi sulle sue parentele pittoriche. In proposito, uno dei contributi più illuminanti risale a Giuseppe
Liverani, secondo direttore del Museo delle Ceramiche di Faenza. In un articolo pubblicato nel 1957 sul bollettino
del Muse026, basato sul testo di una comunicazione da lui tenuta l'anno precedente al Kunsthistorisches lnstitut di
Firenze, egli affrontava l'argomento -Petrus- prendendo le mosse da un frammento di piatto
all'epoca in collezione privata inglese (oggi nel museo di Faenza) su cui è rappresentata l'Incredulità di San
Tommaso (fig. 6). Il santo si
inginocchia protendendo la mano per toccare la ferita sul costato del Cristo, che alza la sua in un gesto benedicente.
Ai due lati sei apostoli, divisi in due gruppi, assistono sconvolti all'evento. Lo sfondo è
costituito da un edificio di tipo rinascirnentale, con un'arcata e un'apertura rotonda sopra di essa, inquadrata da due corpi
laterali che sporgono in avanti. I colori sono eccezionalmente sobri: turchino per i contorni, con tratteggi e graticcio, rialzato da tocchi di
qiallo, arancio e bianco. Sul retro, la scritta in blu »FATE. IN
FAENZA. IN LA BUTEGA DE MAESTRO. FRANCSCHO. TORELO. 1522. P.F.«
L'officina di Francesc;o Toreìli non ha finora trovato riscontri
nella documentazione faentina, dove pure i[ nome Torelli è presente. Il Liveraqi sottolinea che essa era sconosciuta al
Frati, al Malaqola, all'Argnani, a Ballardini, al Grigioni.
Grazie alle ricerche di quest'ultimo negli archivi faentini, egli è
in grado di tracciare una genealogia dei Torelli oriundi di Barbiano, paese nei pressi di Cotignola e non lontano da Faenza: questa famiglia ha
originato notai e
pittori, manon c'è traccia di un Francesco ceramista. Forse la bottega è durata poco tempo a Faenza, oppure si tratta di un maestro maiolicaro formatosi altrove e morto poco dopo il trasferimento a Faenza" (27). Impossibile trarre conclusioni sicure, non trovandosene traccia nei documenti faentini (28) né, per il momento, su altre maioliche. La sigla "P. F", che conclude la frase del retro, indica con ogni probabilità l'esecutore della scena dipinta, il cui nome doveva cominciare con la "P". La "F" invece dovrebbe essere l'iniziale della parola »fece«.
Dopo aver esaminato il piatto dal punto di vista documentario, il Liverani passa allo stile e alla ricerca di altri oggetti affini. Ebbene, l'analisi della maniera di questo "P" apre prospettive molto interessanti. Innanzitutto, con l'assenso del Rackham, egli riconosce la stessa mano in una targa del Victoria and Albert Museum con la Lavanda dei piedi, siglata "PO" (29). Vi è effigiata in monocromia blu la scena evangelica, sullo sfondo di un edificio rinascimentale con arcata centrale. Cristo lava i piedi a Pietro, mentre gli Apostoli assistono divisi in tre gruppi. Per evidenziare il significato della scena la gamba e il piede lavato emergono grandissimi in primo piano, sospesi sulla bacinella, con un risalto un po' fuori dalle proporzioni. La sigla è tracciata in alto a sinistra, sormontata da una corona (allude, a nostro avviso, innanzitutto all'Apostolo protagonista, secondariamente al nome dell'autore, che ha in Pietro il suo santo eponimo).
Dopo aver enucleato due opere eseguite da "P", ecco che il Liverani allarga la prospettiva, sottolineando l'evidente nesso stilistico fra le due targhe e un famoso piatto stemmato del Museo Civico Medievale di Bologna (30) firmato "Pietro dal Castel" (fig. 7). Questo grande platto (31) reca al centro uno stemma incorniciato da nastri, con 10 gigli d'oro su fondo blu disposti 4,3,2,1, disposizione che ha fatto pensare alle armi dei Farnese, sia pure a colori invertiti (32). Lo affiancano le iniziali »F« e »M«, graffite sul blu di fondo. Lo stemma gigliato si sovrappone a un altro, ancora visibile attraverso lo strato di colore che lo ricopre, su cui figurano due spade incrociate con un elemento indecifrabile in alto, fra le punte. E' nostra opinione che si tratti di una stella, e che lo stemma ricoperto sia quello degli Zampeschi di Forlì, signori di Forlimpopoli (d'azzurro, a due spade d'argento, guarnite d'oro, passate in croce di Sant'Andrea, accompagnate in capo da una stella di otto raggi d'oro). Tutt'attorno alla parete si svolge una complessa fascia a trofei blu su fondo bianco, mentre sulla tesa è una candelabra con putti, mostri, l'immagine di
Giuditta che regge la testa di Oloferne affiancata dalla sua ancella, e quella di Leda col cigno. La candelabra è interrotta da quattro medaglioni con tre ritratti maschili di profilo (Belisario, Cesare Augusto e Carlo Magno) e uno femminile (Viva la divina Giulia). Su un cartiglio è la scritta »pietro Dal/Castel! fecie! G.o«, su un altro »VEI / CAP.A«.
Il collegamento fra le targhe e il piatto coinvolge però inevitabilmente il pavimento Lombardini, cui il piatto si associa con immediatezza. I profili nei medaglioni sono estremamente simili a quelli sulle mattonelle, ben riconoscibili non solo nelle fisionomie, ma anche nel modo di ombreggiare, nel tratto nervoso, nei capelli ricciuti, nella foggia degli abiti e degli elmi. La coincidenza del nome dell'autore è soltanto la conferma della validità dei raffronti basati innanzitutto sullo stile: l'aulico "Petrus" era dunque chiamato, nella accezione comune, »Pletro dal castel«.
Infine, il Liverani accetta e ripropone l'accostamento stilistico, già fatto dagli
inglesi Fortnum e Rackham, con la coppa del cosiddetto monogrammista "C
1" (o piuttosto »GI«), conservata nel museo
dell'Ermitage di San Pietroburgo (fig. 8) (33). In
quest'ultima è rappresentata, in quella monocromia blu e aranciata su fondo ocraceo così
tipica del pavimento Lombardini, una scena non ancora individuata: quindici personaggi in piedi,
in eleganti abiti rinascimentali, circondano in atteggiamento desolato una giovane donna in primo piano, seduta
su un seggio basso, davanti alla quale un soldato sta deponendo il corpo di un uomo, ferito o ucciso. La dama è
raffigurata nell'atto di' accoglierne la testa in grembo. Sullo sfondo sono profilati alcuni edifici in stile rinascimentale. Davanti
alla dama e al caduto è una mattonella con sopra la sigla, che viene
ripetuta sul retro, sotto il piede, in arancio sul fondo giallo.
Nella sua evidenza e ripetizione potrebbe appartenere non tanto
all'autore, quanto al personaggio effigiato o al committente
(34).
Con questo articolo, che condividiamo senza riserve e che giudichiamo ammirevole per sensibilità stilistica e capacità di"veoere" la ceramica, il Liverani ha inserito "Petrus" in un contesto. Lo ha messo al centro di un piccolo corpus di opere, e ha suggerito che egli venisse comunemente chiamato "Pietro dal castel", poiché così si firma nel piatto di Boloqna (35).
Ulteriori informazioni si possono ricavare, a nostro avviso, da un grande piatto conservato nella Pinacoteca di Forlì, su cui è raffigurata Giuditta che esce dalla tenda di Oloferne, e ne ripone la testa in un sacco sorretto dall'ancella (fig. 10). Dietro la tenda di Oloferne fanno da spettatori due gruppi di armati; sullo sfondo si intravedono edifici e castelli, e una catena montuosa con punte aguzze dietro cui sorge un'aurora color del croco. La scena è incorniciata da un raffinato motivo cordonato; attorno alla parete corre un tralcio »alla porcellana«, attorno alla tesa è una complessa fascia a trofei eseguiti in monocromia blu su fondo blu intenso. Quello che rende il piatto di importanza fondamentale non è tanto la sua squisita fattura, quanto la scritta sul retro, »FA(TA) I(N) FOR(L)I«(36): l'esemplare è dichiaratamente eseguito nella città dove aveva sede il pavimento Lombardini. Assieme a molti altri che recano il nome di Forlì, esso testimonia concretamente la presenza di manifatture di alto livello, in grado di eseguire istoriati. Ma, soprattutto, il piatto condivide pienamente i caratteri stilistici degli esemplari
raggruppati dal Liverani, e delle figure nello stesso pavimento: i profili nervosi sormontati dal casco ricciuto, i volti ovali, il modo di ombreggiare, la tipologia delle vesti e degli elmi piumati.
Particolarmente evidenti sono qui i legami con il piatto del museo di Bologna firmato da "Pietro dal Castel", sia per le figure che per le decorazioni di contorno. Su
quest'ultimo, nella candelabra della tesa, spicca una Giuditta che regge la testa di Oloferne, in tutto simile a quella che figura al centro del piatto di For1ì
(37). Anche tenendo conto della diversità di dimensioni e di importanza nell'economia decorativa dell'insieme, nonché del fatto che, sul piatto di Bologna, la
figura è tracciata in monocromia blu su un fondo di un arancio intenso, mentre su quello di Forlì è policroma su fondo
bianco, è facile rendersi conto che le proporzioni, i caratteri anatomici, i panneggi e le fisionomie sono gli stessi. Altrettanto puntuale ci sembra il
confronto fra i visi dei tre putti alati raffigurati subito sotto, e quelli dei soldati che affiancano la tenda di Oloferne. Ma è nei trofei che le somiglianze risaltano
maggiormente: tracciati in entrambi i casi in monocromia su fondo blu, e ombreggiati in diversi toni dello stesso colore, essi presentano caratteristiche incredibilmente
simili: tamburi, scudi ovali allungati, gambali (fig. 11). Il pittore ha un modo tipico di fare gli elmi, con un collarino
doppio smerlato alla base, e una piccola cresta sulla sommità, da cui partono talvolta piume ricurve (fig. 12). Essi si
ripetono pressoché uguali nel pavimento, nel quale ricorrono anche quelli più bassi e
allungati orizzontalmente, frequenti fra i trofei del piatto bolognese (fig. 13). Spiccano in entrambi gli esemplari, frammiste ai trofei, alcune
presenze incongrue, inserite quasi per gioco dall'artefice (una grande mano dipinta in maniera realistica nel piatto di Bologna, una lumaca
altrettanto realistica in quello di Forlì (fig. 14).
E' interessante osservare che trofei simili sono anche in una fiasca conservata nelle collezioni del Castello Sforzesco di Milano, a nostro avviso databile attorno al
1520, recante le armi prelatizie di Ottaviano Maria Sforza Visconti (38).
Anche qui troviamo in monocromia azzurra gli elmi di due tipi, i tamburi, i gambali. Troviamo anche il motivo "alla porcellana" presente nell'esemplare forlivese (fig.
15). Ottaviano era figlio, illegittimo ma riconosciuto, di Galeazzo Maria Sforza e di Lucia Marliani, alla quale era stato concesso di fregiarsi delle insegne
della famiglia Visconti. Nel 1497 egli divenne vescovo di Lodi(39). Non sapremmo trovare un motivo per cui Petrus potrebbe aver eseguito la
fiasca, e nemmeno un collegamento fra il vescovo e Forlì, a parte l'essere egli fratellastro di Caterina Sforza, la cui signoria sulla città, ai tempi dell'esecuzione del pavimento
Lombardini, era però già da tempo cessata per l'invasione di Cesare Borgia.
L'analisi del piatto con Giuditta e l'acquisita familiarità con gli stilerni del pittore ci hanno permesso di raccogliere attorno a lui un altro piccolo gruppo di opere, la cui attribuzione ci sembra sicura: un piatto con Adamo ed Eva presso l'albero del Bene e del Male, nel museo dell'Ermitage di San Pietroburço(40): un piatto con una scena non ben
identificata, dove un personaggio anziano consegna a un guerriero il modello di un edificio, nel museo del Louvre a Parigi (fig. 16)(41); una coppa con Orazio Coclite che difende il ponte Sublicio dai nemici Etruschi, in collezione privata, dipinta su smalto berettino, recante in alto lo stemma della famiglia Mazzolani di Faenza (fig. 17). Su segnalazione di John Mallet, abbiamo constatato l'appartenenza al gruppo di due esemplari in musei americani, un piatto con il Parnaso nel Taft Museum di Cincinnati e una coppa con scena non individuata nella William Rockhill Nelson Gallery of Art di Kansas (42). Abbiamo in seguito appreso che Jessie McNab, catalogando le ceramiche del Taft Museum, aveva già tentato un raggruppamento collegando al »Master of the Taft Orpheus«, come viene da lei chiamato il nostro autore a partire dal piatto del suo museo, diverse opere fra cui alcune di quelle già citate: la coppa della Nelson Gallery, il piatto del Louvre, l'Adamo ed Eva di San Pietroburgo e un grande piatto del British Museum con il profilo di »Diva Lucia Bella« e tesa scompartita a fogliame, datato 1524 e analizzato poi in maniera approfondita da Dora Thornton(43). Quest'ultimo fornisce un prezioso punto di riferimento cronologico, compatibile con la seconda data presente sul pavimento Lombardini, oltre a testimoniare nuovamente l'eccezionalità dell'artista. La squisita bellezza del volto, accuratamente ombreggiato, e l'elaborazione insolita delle grottesche di contorno hanno infatti in passato dato adito addirittura a dubbi di autenticità, fugati fortunatamente dalla storia specifica del pezzo(44).
Concordiamo col Mallet che faccia parte del gruppo anche un piatto con l'infanzia di Enea nella collezione Rothschild di Waddesdon Manor (Aylesbury, Inghilterra), scena derivata forse direttamente da un affresco michelangiolesco della Sistlna(45). E' interessante notare che il retro di questo piatto richiama i motivi decorativi che ricorrono su alcune mattonelle del pavimento Lombardini.
Qualche tempo fa, quando già ci apparivano chiari i termini
della questione, ci è capitata l'occasione di vedere le malollche conservate nel Musée de la Tour du
Moulin, a Marcigny, in Francia, in massima parte provenienti da un
lascito di Charles Darniron (46), e di trovarvi
un'opera inedita dell'artista, fra le
più belle (fig.18). Si tratta di uno splendido piatto recante al centro l'enigmatica
raffigurazione del Trionfo della Luna, complessa allegoria tratta da un'incisione del
monogrammista PP (47). La tesa è stata ritagliata, e tutt'attorno
alla parete si svolge una decorazione a grottesche su fondo blu scuro di tipo faentino, con
mascheroni, tralci vegetali e fiori rotondi simmetricamente disposti.
Sul
retro, lievemente fuso durante la cottura, un trofeo
d'armi circondato da due fasce di motivi »alla porcellana«, il
tutto tracciato in blu sul fondo bianco della maiolica.
Fin dal primo momento in cui il piatto ci fu mostrato dal gentilissimo Sig. Perrot, conservatore del museo, ci apparve chiaro che apparteneva al gruppo »Petrus«, con esso concludiamo dunque, per il momento, il corpus dell'autore, che ci auguriamo ancora provvisorio. E' comunque più che sufficiente ad analizzare la sua maniera, nel complesso piuttosto riconoscibile.
Non è facile descriverne a parole i tratti caratteristici, senza contare che il pittore opera a diversi livelli, risultando più o meno accurato a seconda delle dimensioni dell'opera, del numero di figure che vi compaiono e della sua committenza e destinazione. Inviteremmo a osservare innanzitutto le fisionomie, alcune delle quali hanno il viso largo e piatto, quasi a seme di melone, sormontato da una acconciatura a pagnotta, mentre altre appaiono più scolpite e particolareggiate. I profili sono aguzzi, spesso volti verso l'alto con un caratteristico movimento, sormontati dal casco ricciuto dei capelli. Talvolta, come nella coppa con Orazio Coclite, l'autore indulge a un gusto grafico che rende i riccioli, le nuvole e le onde simili a veri e propri ricami, e si sofferma a cesellare i contorni; talaltra appare invece più morbido e pittorico. Frequenti sono i vecchi con la lunga barba, compatta o bipartita. Le membra sono tozze ma nervose e ben delineate, l'anatomia del tronco spesso sottolineata dall'armatura, il ventre leggermente prominente. Gli abiti appartengono al tipo classico: le armature si rifanno a quelle degli antichi romani, mentre le figure sono avvolte da tuniche e abbondanti drappeggi, le cui pieghe sono nitidamente segnate, spesso con tratteggi di spessore diseguale che le fanno apparire puntinate. Gli edifici sullo sfondo sono rinascimentali, profilati in maniera semplice, con arcate a tutto sesto, colonnati, cornici e aperture rotonde. I paesaggi recano in lontananza un fondale di montagne azzurre irte di punte, dietro le quali sorge un'aurora color croco. Cespugli rotondeggianti, dai contorni spesso dentati, formati come da ventagli sovrapposti, graduano lo spazio avanzando dal fondo fino al primo piano. Anche le fronde degli alberi sono divise in elementi lobati a ventaglio, e talvolta dai tronchi nodosi e tutt'attorno si levano dritti arbusti sottili solcati orizzontalmente da infiorescenze sovrapposte color arancio. Il più delle volte il pittore opera su fondo bianco, ma non rifugge dal »berettino«, scegliendo il fondo azzurrato per la coppa con l'Orazio. Coclite e lo stemma Mazzolani.
Gli ornati accessori e quelli sui retri mostrano qualità e fantasia. La tipica grottesca faentina, con cornucopie e mascheroni su fondo blu, circonda il piatto di Marcigny e quello del Louvre. Le due fasce di grottesche concentriche attorno al piatto dell'Ermitage e a quello con Orfeo del Taft Museum, rispettivamente su fondo arancio e blu, sono invece del tutto eccezionali, recando infiorescenze di grande effetto, busti femminili alati, stupendi mascheroni da cui si partono tralci. Sul retro del piatto dell'Ermitage è sommariamente tracciato un profilo maschile, forse uno scherzoso ritratto dell'autore. Motivi "alla porcellana" ornano invece i retri dei piatti con la Bella del British Museum e con il trionfo della Luna di Marcigny.
Un'altra caratteristica del gruppo è la presenza di iconografie difficili, spesso non risolte. In proposito, riteniamo
possibile che alcune siano ispirate alle cronache forlivesi del recente passato, forse più
glorioso e tormentato degli anni in cui »Petrus- operava, nei quali Forlì era ormai
rientrata definitivamente nello Stato della Chiesa. La coppa »GI« potrebbe rappresentare,
romanzandolo, l'episodio della morte di Giacomo Feo o di Giovanni dei Medici,
entrambe idealmente avvenute fra le braccia di Caterina Storza'". Quanto
al piatto del Louvre, sul quale un vecchio inginocchiato offre a un condottiero il modello di un edificio, ci
colpisce la somiglianza fra quest'ultimo e il santuario di Santa Maria delle Grazie di Fornò, nei pressi di
Forlì, quale doveva apparire nel suo aspetto cinquecentesco.
Il nucleo originario fu donato nel 1451 alla comunità forlivese dall'eremita di origine albanese ed ex
pirata Pietro Bianco di Durazzo, che potrebbe essere il personaggio inginocchiato, raffigurato
nell'atto di donare la chiesa a Pino Ordelaffi, signore della città (49). Lo stemma che uno
del seguito sorregge potrebbe appartenere alla famiglia di colui che commissionò il piatto.
Concludendo, se accettiamo un'esecuzione unitaria dei pezzi sopra menzionati, e li consideriamo come un unico gruppo, il piatto Torelli del Museo internazionale di Faenza e quello con la »Lucia Diva« del British Museum forniscono due precisi riferimenti cronologici (1522 e 1524 ). Queste date si accordano perfettamente col il »1523« che compare nel pavimento Lombardini. Come abbiamo visto, però, vi compare anche »1513«, che non sapremmo giustificare in termini celebrativi. Prima di poter dire che si tratta dell'anno di inizio dei lavori, occorrerebbe una analisi accurata di tutte le mattonelle disponibili, per verificare la presenza di mutamenti nello stile tali da giustificare un lasso di tempo lungo dieci anni. Anche altri elementi all'interno del gruppo indicano un periodo a cavallo degli anni venti: ad esempio, l'uso dello smalto »berettino«, che in Romagna ha la sua massima diffusione all'incirca dal 1520 al 1540.
Il piatto con Giuditta della Pinacoteca di Forlì e quello Torelli del Museo di Faenza forniscono poi l'indicazione di due luoghi di esecuzione (Forlì e Faenza). Tuttavia la presenza nell'apparato decorativo di »trofei« estranei al panorama faentino, mentre le grottesche e i motivi "alla porcellana" vi trovano invece riscontri precisi, ci fa pensare a un artefice forlivese che mantenesse contatti con Faenza, magari tornandovi all'occorrenza. Non c'è da stupirsi, vista la vicinanza fra i due centri: anche con i mezzi di allora, il trasferimento era del tutto facile e frequente, e richiedeva ben poco tempo. Erano molti i ceramisti che risiedevano stabilmente a Forlì pur provenendo da Faenza: oltre a Pietro Garavini, su cui torneremo fra breve, dalle trascrizioni del Grigioni risultano ad esempio Maestro Achllle (50), Francesco di Luciano dei Laganlni 851), Bartolomeo Sclavo (52), Guidone di Giovanni (53), Sebastiano Tini (54), Nicolò di Biagio Biagini (55), Francesco di Ludovlco (56), Nicola di Sebastiano Rizi (57).
Circa l'identità anagrafica di Pietro, come abbiamo detto
all'inizio, non esistono certezze. Nemmeno il Grigioni,
con il suo spoglio sistematico, ha potuto dare risposte sicure. Oltretutto, si tratta di un nome estremamente
comune.
"Piro alias Pirino de castello orcellario", che è testimone a un atto del notaio forlivese Giacomo Numai il 14 gennaio 1534
(58), è sicuramente il nome più interessante, in quanto corrisponde esattamente alla firma sul piatto di
Bologna;»Piro« è infatti la versione romagnola del nome »Pletro«, Purtroppo
questo è l'unica occasione in cui il ceramista compare, perlomeno nei documenti esaminati dal
Grigioni, ed è impossibile valutarne l'importanza e la reputazione.
Può essere quindi azzardato, in mancanza di altri riscontri, identificarlo col nostro pittore, malgrado la precisa coincidenza del nome. AI di
là di un possibile riferimento generico a uno dei tanti siti fortificati che circondavano Forlì, il »castello«
era ed è tuttora una zona della città stessa; esisteva anche, un tempo, la chiesa di
San Martino detta "incastello", Un "Petrus Evangeliste Salomonis de
lrnola", residente a Forlì, il 22 maggio 1500 fa società "ad artem
et exercitium orcellarie per quinque annos" con il Maestro Alessandro di Cristoforo Grassi da
Modigliana, anch'egli residente a For1ì (59). Anche nel suo caso, però, la menzione
rimane isolata.
Un vero protagonista è invece il maestro Pietro di Domenico Garavini da Faenza, residente a Forlì (vedi
appendice n. 2). Il 27 agosto 1527 Pietro è citato quale marito di Maria,
figlia di un maestro Carlo figulo. Essendo dunque già sposato e in attività, benché in questo documento egli non venga
chiamato »rnaestro«, come sempre avverrà nei successivi, si può supporre
che fosse nato entro i primi dieci anni del secolo. Nel 1531 contrae »societatern in arte et exercitio
orcelarie« per tre anni, rinnovabile, con altri due ceramisti forlivesi, Cristoforo di Giovanni dei Montanari e Giovanni Battista di
maestro Nicola "a templo", Il 25 settembre compra una casa "in contrada campi albaresij".
Continua
poi a comparire negli atti notarili con cadenza
regolare, più che altro in qualità di testimone per contratti che riguardano altri, ma anche in
circostanze più interessanti. Ad esempio, nel 1532 è registrata la promessa di
un rifornimento di 1000 libbre di piombo destinato alla ceramica per lui e per Giovanni Battista di maestro Nicola "a templo". Vi sono poi atti di
acquisto e vendita di case, attestati di debito. Pietro risulta associato con maestro Berto Solombrino, ceramista e padre di
Leocadio, e con un tale maestro Nardo del Conte Fenuccio. Nel 1543 è coinvolto, con altri
vasai forlivesi, in una causa legale per escludere
l'importazione a Forlì di vasi forestieri, e nel tentativo di promuovere una legge
protezionistica in proposito. Gli altri vasai menzionati sono, oltre a Carlo di Tommaso
Garavini, Marco »Frandino« (presente anche a nome di maestro
Girolamo suo fratello e di Sante »Monis«); maestro Coralio da
Modigliana, maestro Paolo "a ternplo", maestro Giovanni da
... , maestro Matteo alias la Morte dei Romagnoli, maestro Giovanni Battista da Imola,
maestro Giovanni Maria Menzocchi. Alla fine dello stesso anno, il 24 dicembre, acquista insieme a Carlo Garavini una casa con
laboratorio per fare ceramica, che finiscono di pagare soltanto nel 1548. Questo appare un periodo felice per
Pietro, che è menzionato nuovamente per l'acquisto di una casa nel 1545, nella stessa
contrada. Nel 1570, invece, si trova in
prigione per un debito, che i figli promettono di pagare. Il 27 ottobre 1573, persistendo i
debiti e volendo evitare il carcere, chiede assieme al figlio
Giacomo di poter cedere dei beni a saldo. Nel 1576 è già morto, poiché il figlio Antonio Maria, rendendo testimonianza, viene
chiamato »quondarn Magistri Petri Garavlni«.
Pietro Garavini di Domenico da Faenza, residente in Forlì, è dunque una presenza davvero importante nel panorama forlivese. Ha avuto una vita e una carriera insolitamente lunghe, con alterne vicende. La sua famiglia era originaria di Faenza, con cui ha certo mantenuto contatti. Potrebbe essere il nostro »Petrus«, qualora le date del pavimento Lombardini e delle opere ad esso connesse si aggirino intorno agli anni venti. Nel 1513 sarebbe stato con ogni probabilità troppo giovane. Non risulta inoltre in alcun documento che venisse chiamato con l'appellativo "dal castello", anche se una delle sue case confinava con il monastero di Santa Caterina, proprio vicino alla zona del Castello (60).
In conclusione, se è dunque prematuro voler attribuire a »Petrus« una identità anagrafica, non lo
è affatto per quel che riguarda l'identità pittorica, che è invece ben
definita. Particolarmente interessanti sono le relazioni stilistiche con due pittori famosi, Amico Aspertini e Girolamo Genga. Per quel
che riguarda l'Aspertini, abbiamo già segnalato come gran parte della ceramica
romagnola della prima metà del' 500 ne subisca l'influenza. Nel piatto di
Pietro dal Castel vi è addirittura una derivazione piuttosto puntuale delle grottesche
da alcuni disegni del codice di Parma (61). A Girolamo Genga risale con ogni probabilità il complesso ed elaborato disegno
con cui si dispongono le mattonelle.
Anche il particolare gusto cromatico del disegno rialzato da tocchi di bianco sul fondo giallo, che
si riscontra nel pavimento e nella coppa "GI" dell'Ermitage di San Pietroburgo, richiama due
pannelli da predella del Genga eseguiti in Romagna, forse contemporaneamente alla pala di Cesena o alla cappella
Lombardini, attualmente ad Urbino nella Galleria nazionale delle Marche(62). Come abbiamo già
sottolineato, il pittore è eccellente, e particolarmente
abile nel disegno. E' significativo che ben di rado si siano reperite le stampe all'origine delle sue opere, e che in uncaso (il piatto di Waddesdon Manor) egli sembri essersi ispirato direttamente agli affreschi michelangioleschi, oabbia avuto accesso a disegni, denotando così una personalità originale e attenta ai fatti dell'arte contemporanea.
Rimandiamo ad altra sede tutta la problematica relativa alla seconda metà del' 500, in particolare quanto riguardoLeocadio Solombrino (figg. 20, 21) e la possibile attribuzione di maioliche alla bottega di Francesco e Pier Paolo Menzocchì (63), che per la sua complessità ci proponiamo di riprendere in un futuro lavoro. Si tratta di argomenti stimolanti, perché sottolineano la contiguità professionale esistente fra pittori e decoratori di maiolica, nel caso del Solombrino ampiamente dimostrata. Non stiamo solo parlando dell'uso di taccuini o di disegni appositamente forniti ai maiolicari, pratica relativamente diffusa e di cui sono notissimi alcuni esempi specie in ambito urbinate, ma di pittori che dipingono personalmente su maiolica, rifacendosi a stampe e a disegni propri o altrui. Così agisce Leocadio Solombrino, che firma maioliche ed esegue comunemente, come risulta dai documenti, commissioni pittoriche di vari livelli, dalle ancone agli stemmi per occasioni ufficiali. E' vero che questa attività sembra limitata agli anni giovanili, come annota anche il Grigioni, ma denota comunque una familiarità con la tecnica che non doveva necessariamente limitarsi a lui. In zone di alta rinomanza ceramica, come la Romagna e le Marche, la pittura su maiolica doveva costituire un'utile alternativa a quella su tela, tavola o muro, e non solo per chi, come il Solombrino, era figlio di un maiolicaro. E' importante ricordare che, verso la fine del' 400, proprio in ambito romagnolo, la stessa cosa faceva il faentino maestro Gentile Fornarini, pittore a contratto, di cui è stato recuperato il libro dei conti col relativo tariffario. Da esso risulta che Gentile era solito decorare maioliche per svariate botteghe (comprese decorazioni non figurative, ad esempio quelle »alla damaschina«), ma dipingeva contestualmente anche cassoni, ìmpannate (64) e figure di santi per le chiese (65).
I casi documentati del Solombrino e del Fornarini vanno tenuti presenti quando ci si imbatte in maioliche le cui decorazioni, pur tenendo conto del diverso effetto dovuto al materiale, rispecchiano in maniera puntuale lo stile di pittori la cui attività è però nota soltanto nel campo delle tele e degli affreschi. E' questo il caso di Francesco e Pier Paolo Menzocchi, la cui bottega
fu una delle più importanti di Forlì, e che riteniamo possa avere avuto un secondo ambito di attività nella rnaiolica (66).
Francesco, che collaborò con Genga alla decorazione della cappella Lombardini, abitava accanto a uno dei più importanti maiolicari
forlivesi, il maestro Giovanni Battista alias bragha di Nicola »a Ternplo«. In un
atto riguardante la moglie, redatto nella sua casa, figura come testimone un altro maiolicaro importante, Girolamo di
Giovanni Battista Sordi (67), Nel 1543 un membro della famiglia, Giovanni Maria Menzocchi, è menzionato
fra i maiolicari che affrontano assieme una causa civile per impedire l'importazione a Forlì di vasi forestieri (68).
Del resto fin dalla fine del '400 la famiglia Menzocchi ha contato ceramisti fra i suoi membri: nel 1491 si trova nei documenti
un"Maqister Menzochius m(agis) ant(oni)i Menzochii
orcellarlus (69), nonché lo stesso Maestro Antonio Menzocchi (70). Tornando al pittore Francesco, apprendiamo
che egli era proprietario di un »fornasotto«, cioè di una piccola fornace, in
località Villafranca, e che il 17 agosto 1556 si accorda con un socio per
dividere le spese e i profitti (71) relativi alla produzione di mattoni e »altre cose«. Questa
contiguità ceramica, come già sottolineammo a proposito del figlio di Francesco, Pier Paolo, potrebbe dare ragione
delle relazioni stilistiche che ne legano l'opera ad alcune maioliche forlivesi, ad esempio il Giudizio di Paride del museo Correr, il Supplizio di Crasso del
Louvre (fig. 19) e Diogene
e Alessandro del Museo Nazionale di Ravenna. Nel recente catalogo della mostra su Francesco Menzocchi, Annalisa Bistrot e Matteo Ceriana sottolineano come una coppa
nella Wallace Collection con Amore e Psiche dormiente derivi da una delle opere eseguite da Francesco Menzocchi per Palazzo Grimani, attualmente
perduta, ma di cui rimane uno schizzo eseguito da Felice Giani (72). Come si vede, l'argomento apre
prospettive di straordinario interesse e implicazioni,
su cui stiamo lavorando e che speriamo di portare a termine per una futura pubblicazione.
Appendice 1
Elenco degli oggetti col nome Forlì scritto dietro
Piatto con Gesu' fra i dottori
(circa
1520-1530)
Diam. cm 36
Londra, Victoria and Albert Museum B. Rackham: Victoria and Albert Museum. Catalogue of ltalìan Maiolica, 2 voll. London 1940, cat. n. 272
Sul piatto è rappresentata la scena evangelica di Gesù che, ancora fanciullo, predica ai dottori nel tempio. Sul retro è la scritta: In la bottega d m° iero da forli
Piatto con Giuditta e Oloferne (circa
1520-1530)
Diam. cm
41
Forlì, Pinacoteca Civica
Vi è raffigurata la scena biblica di Giuditta che depone la testa di Oloferne in un sacco sorretto dalla sua ancella, incorniciata da motivi "alla porcellana": attorno alla tesa, fascia di trofei. Sul retro, entro un cartiglio, è la scritta FA(7TA). I(N). FOR(LI'), circondata da girali e da una ghirlanda di elementi circolari concentrici in blu.
Coppa con scena di battaglia: Davide e Golia? (circa 1525-1530)
Diam. cm 27
Londra, Victoria and Albert Museum Rackham 1940, cat. n. 806
In primo piano un giovane sta per decapitare un soldato prono. Dietro, due gruppi di cavalieri si combattono, sullo sfondo di alberi e rocce. Sul retro zig zag radiali alternati a cerchi tagliati in croce e, sotto il piede, la scritta FATA IN FORLI.
Coppa con il supplizio di Crasso (circa 1535-1540)
Diam.
cm 24,5
Parigi, Louvre (in
deposito al Musée national de
céramique
Sèvres)
J. Giacomotti : Catalogue des majoliques des musées nationaux. Musées du Louvre et de Cluny, Musée national de céramique à Sèvres, Musée Adrien-Dubouché à Limoges. Parigi 1974, cat. n. 908
Vi è rappresentato il re dei parti, Orode, con due personaggi, in atto di colare l'oro fuso nella bocca di Crasso. Sul retro è la scritta FATA IN 1 FORLI entro un cartiglio sovrapposto a un trofeo d'armi; sotto la tesa è una fascia "alla porcellana".
Coppa con il Parnaso (1545)
Diam. cm 25,8
Ravenna, Museo Nazionale
F. Liverani e G.
Reggi: Le maioliche
del Museo Nazionale di
Ravenna. Modena 1976,
fig. 24 pp. 36-39
Vi è rappresentato il Parnaso secondo
l'iconografia raffaelle-
sca,
tratta dalla stampa di
Marcantonio Raimondi. Sul
retro
1545/ fumo
del terenl mondo 1
fata in forli.
Piatto con il trionfo di Scipione (circa
1540)
Diam.
cm 43,6
Ravenna, Museo Nazionale
F.Liverani-G.Reggi 1976 (wie Anm. 20), fig. 25 pp. 42
Nel cavetto è raffigurato il Trionfo di Scipione, dall'incisione del maestro B nel Dado, entro tesa a grottesche. Sul retro è la scritta FU FATE 1 EN 1 FORLI, attorno alla quale sono circoli policromi concentrici.
Coppa con Alessandro e Diogene (circa
1545-1550)
Diam.
cm 26,4
Ravenna, Museo Nazionale
Liverani-Reggi 1976 (wie Anm. 20), fig. 23 p. 35
Vi è rappresentato Alessandro a colloquio con Diogene (Plutarco, Vite Parallele, XXXIII, 14); fonte grafica non rilevata. Sul retro: FATO IN 1 FORLI, tutt'attorno decorazioni ad archetti che si intersecano.
Coppa con il Giudizio di Paride (circa
1540-1550)
Diam. cm 25,5
Venezia, Civico Museo Correr
Vi è rappresentata la scena del Giudizio di Paride, che porge la mela d'oro alla più bella delle dee, Afrodite. Sul retro sono le iniziali F FO (Fatto in Forlì)
Piatto con la Strage degli Innocenti (1542)
Diam. cm
42,5
Parigi, Louvre
Giacomotti 1974, cat. n. 907
Vi è rappresentata la strage degli Innocenti secondo la stampa di Marco Dente, da Baccio Bandinelli. Nel retro, al centro, è la scritta in blu 1542/ va vedere in un chore dilete e tedio 1 or guarda e mira e vede il fere crude 1 cha more e chrudelta lia poste acidie 1 fata in Forli. Tutt'attorno, fasce e filetti concentrici gialli e bruni.
Piatto con Alessandro e Rossana
(1555?)
Diam. cm 39,8
Parigi, Louvre
Giacomotti 1974, cat. n. 908bis
Vi è rappresentato l'incontro di Alessandro con Rossana, secondo la stampa del Caraglio. Sul retro, entro bande e filetti, è la scritta LEOCHADIVS. SOLO 1 BRINVS. PICSIT 1 FVORO-LlVIOM 1 ECE 1 MDLV, racchiusa entro un cartello rettangolare circondato da cartocci sormontati da un mascherone da grottesca.
Coppa con Cristo deriso (1563)
Diam. cm
26,5
Ravenna, Museo Nazionale
Liverani-Reggi 1976,
fig. 33 p. 48-52
Vi è rappresentato Cristo deriso, da un'incisione di Luca di Leida. In alto a sinistra, entro un cartello, è la scrittaAVE REX 1 IUDEORUM 1 FORUM 1 LlV" 1563. Nella parte posteriore, sotto al piede, entro un cartiglio, è la scritta FORLLI 1 Luchadio. Tutt'attorno, fasce e filetti concentrici.
Coppa con Gesù in casa di Simone fariseo (1564)
Diam.
cm 23,6
Bologna, Museo Civico Medievale
C. Ravanelli Guidotti Carmen: Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna. Bologna 1985, cat. n. 79 p. 102-103
Vi è rappresentato Cristo a cena in casa
di Simone fariseo a Naim, mentre
la Maddalena gli versa sui
piedi
l'unguento (Luca
7,11), da
un'incisione di Bernard
Salomon, Lione 1554.
Nella parte posteriore,
tutt'attorno alla parete
sono dipinti putti e mostri marini
che si slanciano nelle
onde. Sotto al piede è graffita
sul blu la scritta
Luchadius 1
solobrinus 1
Pinchsyt 1 M. D. 64
lA. N. D.
Piatto con la Caduta di Fetonte (1565)
Collezione privata
Vi è rappresentata la caduta di Fetonte per mano di Zeus,
mentre in basso le sue sorelle, le Eliadi, assistono piangenti alla scena; accanto a loro è la personificazione del fiume Eridano. La scena è tratta da une stampa del Beatrizet, devi rata a sua volta da un disegno di Michelangelo. Nella parte posteriore, sotto al piede, entro un cartiglio, è la scritta LEOCHAOIVS SOLO(M)/BRINVS PIGEBAT / FORLIVIENSIS / .M.O.L.x. V. Tutt'attorno, fasce concentriche.
Appendice 2
Maestro Pietro di Domenico Garavini da Faenza ceramista, residente a Forlì
I documenti qui riportati sono conservati nell'Archivio di Stato di Forlì, notarile, salvo indicazione contraria; la trascrizione è tratta dai quaderni 'che Carlo Grigioni ha lasciato alla città di Forlì, e che sono conservati nella Biblioteca Comunale.
1527, 27 agosto: Pietro risulta sposato con Maria, figlia di Carlo ceramista di Forlì: »Dornina Maria quondam magistri caroli figuli de forlio et uxor petri quondam dominici de garavinis figuli de forllo« (Atti di Andrea Baldi, vol. 502-XVI, fol58r)
1531, 20 marzo: Pietro fa società per produrre
ceramiche, per la durata di
tre anni, con Cristoforo di Giovanni
dei Montanari e Giovanni
Battista »a Ternplo«: Venerabilis
Dominus Christoforus quondam Johannis de
montanarijs de Forlivio presens
... ex una parte et Johannes Baptista quondam
magistri nicolai a tempio etiam de Forlivio ex alia parte et
Petrus quondam dominici de garavinis de Faventia habitator
Forlivij etiam ex altera et
pro altera parte ... fecerunt Insimul et
contraxerunt societatem in
arte et exercitio orcelarie duraturam per tres
annos et deinde ad beneplacitum partium que
quidam societas Incepit et Incipisse
dixerunt dicte partes die decimaquinta presentis
mensis etc. In qua quidam societate prosua
sorte et capitali dictus Dominus Christoforus posuit atque contulit diversa rerum et
bonorum genera videlicet Inte (?)
laboreria cocta et non cocta et
ordignia a dicto exercitio colores
cuiuscumque generis plumbum staneum et ligna
ac unam equam et alia facientia et
spectantia ad dictum
exercitium In totum pretij et
comune extimationis librarum
septingentarum videlicet L 700 bononiensium
(atti Vincenzo Valeri,
voI. 1740-111.1531,70 v)
1531,25 settembre: »rnaqister petrus quondam
dominici de
garavinis » acquista una casa «
in contrata campi
albaresij » (atti
di Giorgio Rasi, voI.
1435-VII, anno 1531,
fol. 81)
1532, 29 luglio: Maestro Giovanni Antonio di Pariano de Renna (Ravenna?) promette di fornire a maestro Giovanni Battista di maestro Nicola a Tempio e a Pietro di Domenico Garavini mille libbre di piombo ad uso ceramico : »Maqister joannes antonius quondam parianj de Renna presens ... promissit. .. magistro joani baptista quondam magistri nicolai a tempio et petro quondam duminicj de garavinis ibidem presentibus ... quod eisdem magistro joani b. et petro dabit et consignabit in Civitate Ravenne libras mille plonbj ad usum et exercitium orcelarie ... (Francesco Merenda, voI. 1499-11-1538, 53v)
1532,30 agosto: testimone a un
contratto: » ... presente
magistro petro quondam dominici de
garavinis de faventia
figulo
abitatore Forlivio« (atti
di Bonamente Torelli, voi
430-XII, carte 280r)
1533, 9 agosto: testimone a un contratto: »presente magistro petro quondam dominici de garavinis fiqulo-iatti di Giorgio Rasi voi 1437-IX, fo1126v)
1533,17 ottobre: testimone a un contratto: »presentibus domino Christophoro antonio quondam magistri cor ... figuli de
forlivio et petro quondam dominici de garavinis de forlivio figulo (atti di Andrea Baldi, voi 508-XXII, fol. 73v)
1535, 11 maggio: testimone a un contratto: »presente magi-
stro petro quondam dominici de
garavinis fiqulo« (atti di Gior-
gio
Rasi, voI. 1440-XII,
fol. 77r)
1537, 10 gennaio: »rnaqister Petrus quondam
dominicj de
garavinis figulus de
forlivio presens« fa una
dichiarazione di
debito (atti di Pellegrino Maseri, vol.
1040-X, fol. 5v)
1539, 15 aprile: »Noi maestro Carolo da mediana: Maestro
Francesco da maccino, et maestro Guido del
schiavo orzelarij da forlì Arbitrj et
Arbitratorij Ellecti Assumptj et nominatj da
le infrascritte parte e
cioe Da maestro Nardo del conte
Fenuccio da una parte, da maestro
pietro garavino dall'altra, Et
da maestro Berto solumbrino da un'altra parte ... Et
visto e considerato il tempo che sono stati in compagnia al traphico et Exercitio della
orzellaria in la bottega sotto la loggia delle sartarie
(pronunciano il lodo) (atti di Francesco
Merenda, vol. 1506-IX,
55v)
1539, 16 aprile: attestato di
credito per »rnaqister petrus
quondam dominici de
garavinis fiqulus«
(atti di Francesco
Merenda,
voI. 1506-IX, fol.37v)
1539, 5 agosto: Magister Petrus Garavinus figulus
(Archivio
comunale di Forlì, libri di
amministrazione,
Instantiae, anni
1539-'40, fol. 54r)
1539,2 ottobre: Magister petrus orcellarius (ibidem)
1539,3 novembre: »maqister Nardus quondam Nicolai comitatus finutij de Forlivio constituit paulum filium Johannis baptiste a tempio de Forlivio presentem et acceptantem suum verum produratorem specialiter ad consequendum recipien dum et habendum a magistro Petro quondam dominici garavinj et a magistro Berto quondam Antonimi solumbrinj ambobus phigulis de Forlivio laboreria phigularie per dictum magistrum Petrum et Bertum debita ... «(atti di Pellegrino Maseri, voI. 1 040-XVIII, fol. 292v)
1539,5 novembre: »Maqister Nardus comittis Fenutij de Forlivio presens per se etc. sponte ad instantiam magistri petrj garavinj figuli et magistri bertj de solumbrinis de forlivio presentium pro se etc. dixit et confessus fuit se habuisse et recepisse ac sibi consignatam fuisse omnem quantitatem laborerij ad usum orcellarie Existentem in civitate Forlivij prout tenebatur virtute laudi« (atti di Francesco Merenda, voI.1506-IX, fol. 89r)
1542,8 marzo: »Maqister Petrus quondam Dominici gravoni (sic) de forlivio figulus» fa una quietanza (atti di Lattanzio Biondini, vol. 923-11, fol. 24v)
1542,26 agosto: »Maqister Petrus quondam dominici garavini fiqulus« fa un pagamento (atti di Francesco Merenda, vol 1509-XII)
1542,26 agosto: testimonia a un atto assieme a Maestro Antonio, anch'egli ceramista »presentibus magistro petro garavino figulo Et magistro Antonio etiam fiqulo« (atti di Francesco Merenda, vol 1503-XII, fol.49r)
1543, 26 aprile: Partecipa a un tentativo di impedire legalmente l'importazione a Forlì di vasi forestieri, per il quale viene delegato maestro Coralio da Modigliana: »Coadunati et congregati infrascripti figuli de forlivio ... videlicet magister Marchus frandinus pro se et nomine et vice magistri Hieromini eius fratris et santis monis absentum ... magister Coralius de motiliana habitator forlivio et magister Paulus a tempio magister joannes de jmola magister Matheus alias la morte de romagnolis magister joannes baptista de imola magister ioannes maria menzochius et magister petrus garavini pro se et nomine magistri caroli eius socij omnes presentes et supra convenerunt ad infrascriptum pactum transactionem unus alteri et alter alteri et nimiter stare et pervenire ad quasdam
expensas et tam in lucro quam in damno in effendendam quandam litem quia voluerun conducere quedam vasa fictilia forensia ... et dederunt auctoritatem magistro corali o presenti et acceptanti defendendi comparendi et deffendendi et sirniliter constuendi procuratorem et Advocatum in dieta causa ... cum dominico menzocchio " (atti di Lattanzio Biondini, voI. 923-11, fol. 31 r) 1543, 4 luglio: Un'eccezione al divieto di trafficare con vasi forestieri viene fatta, col consenso di Pietro Garavini e altri,
per Ludovico di Girolamo "de rnurosijs" di Forlì: "Curn sit et fuerit quod alias per magnificos Dominos Conservatores Civitatis Forlivij concessum fuerit orcellarijs dicte Civitatis virtute partiti tam in consilio secreto quam magno dicte Civitatis quod nullis tam de Civitate predicta quam forensibus liceret portare nec vendere in dicta Civitate Forlivio aliqua vasa flctilia orcelarie subtilia picta et vitreata et Cuiuscumque generis vasorum forensium e prout latius in sententi a lata per dictos dominos Conservatores ac Banno in executione dicte sententi e commisso manu Ser Georgij de rasis notarij publici Forlivio et tunc temporis Cancelarij dictorum Dominorum Conservatorum et prout de partito etiam latius commisso manuSer Bernardini de minghis olim cancelarij predictorum Dominorum Conservatorum ad que omnia relationem habere voluerunt infrascritte partes et cum ludovicus quondam Hieronimi de murosijs de Forlivio cupiat portare et vendere conducete et conduci facere in dieta Civitate Comitatu districtu dicte Civitatis dicta vas a forensia et etiam in dieta Civitate confecta ad usum orcellarie et volentes magister Petrus de garavinis Marcus swedi et Paulus quondam magistri Joannis baptiste a Tempio omnes figuli dicte Civitatis mo ... ? Cavere(?) dicto ludovico ad hoc ut possit facere et traficari et aliquod lucrari capropter dicti Magister petrus Marcus et Paulus presentes per se et suos heredes sponte et nominibus et vice aliorum figulorum videlicet pro magistro Carolo de garavinis et Hieronimo di fratre dicti Marci" (atti di Pier Paolo Raffini, vo. 1143-11, foll.101 r-117r)
1543,15 settembre: Testimonia a un
contratto: "presente
magistro petro qaravino" (atti di Francesco
Merenda, vol.
1509-XII, fol.147r)
1543,24 dicembre: Pietro e Carlo Garavini
acquistano insieme una
casa con officina per fare
ceramica: »rnaqister petrus
quondam Dominicj Et magister
carolus quondam thome de
garavinibus figuli
presentes« acquistano una casa
"curn apoteca, ad usum et
exercitium fiqularie" posta in Forlì "in
contrata Sancti Antonij"per lire 400
(atti di Francesco
Merenda, voI. 1509-XII
vol.14)
1544: "Maqister petrus quondam dominici garavinj de Faventia habitator Forlivij figulus" (atti di Francesco Merenda, voI.1501 O-XIII, fol. 164r)
1544, 23 settembre: Testimonia a un
contratto: »prssente
mro
petro quondam dominici gravini fiqulo« (atti di G.
Battista
Dalle Selle voI.
841-X, fol. 124r)
1545,20 febbraio: testimonia a un contratto: "presente magistro petro quondam Dominicj de garavinis figulo de forlivio" (atti di Pier Paolo Raffaini, voI. 1144-111, fol 172v)
15452 giugno: "Maqister Petrus quondam
Dominici garavini de
faventia figulus habitator
forlivij presente" riceve
parte del
prezzo per una casa
venduta ... (atti di Bonamente
Torelli, voi
442-XXIV, carte 122r)
1545,30 ottobre: "Maçister petrus quondam dominicj garavinj de faventia habitator Forlivio figulus presente" acquista una casa situata "in contrada campi Albaregij iuxta iura fratrum Sancti Auqustini" (atti di Francesco Merenda, vol.151 O-XIII, tol.1)
1546, 19 luglio: "rnaqistrus Petrus figulus de garavinis" paga
il residuo di una casa (atti di Francesco Merenda, voI.1511-XIV, fol. 41 v)
1546,31 ottobre: testimonia a un contratto: "presente magistro Petro quondam Dominicj garavinj figulo foroliviensis" (atti di Federico Vitali, voI. 628-V, fol. 189r)
1546, 17 dicembre: testimonia a un contratto: » ...
presentibus ... et magistro
petro de faventia figulo
quondam dominici
garavinj«
(atti di Pellegrino Maseri,
voi 1 043-XXI, fol. 100v)
1547,4 gennaio: testimonia a un contratto:
»presente magistro Petro de
garavinis figulo de
forlivio« (atti di Pier
Paolo Raffaini, vol.
1146-V, fol. 7v)
1547,12 gennaio: testimonia a un contratto: "presente magistro Petro quondam dominici de garavinis figuli forlivlo« (atti di Pier Paolo Raffaini, voI. 1146-V, fol. 15r)
1547,27 maggio: viene redatto un contratto nella casa di Oliviero Tachioni, in contrada Campi Albaresij, vicino a Maestro Pietro da Faenza figulo in Forlì, presso le mura del monastero di Santa Caterina: »Acturn forlivio in domo domini oliverij tachioni (?) posita in contrata campi albaresij iuxta magistrum petrum de faventia figulum in civitate Forlivio mura monialium Sancte catharine viam comunis etc« (atti di Giovan Francesco Olivieri, voi 1487-X, fol.78v)
1548,30 giugno: Pietro e Carlo Garavini terminano di pagare la casa con laboratorio ceramico acquistata in comune: "magister petrus quondam dominici Et magister carolus quondam Thome de garavinis figuli presentes" versano lire 70 quale ultimo residuo del pagamento di una casa e di una bottega (atti di Francesco Merenda, vol. 1511-XIV, foI.225r)
1548,9 ottobre: »Mr Petrus quondam dominici garavinj
figulus ... « fa una
quietanza (atti di Lattanzio Biondini,
vol. 927-VI, fol. 501v)
1548,12 gennaio: "Maqister Petrus quondam dominicj garavinj flqulus" fa quietanza (atti Lattanzio Biondini, voi 927-VI, fol. 501v)
1549, 15 marzo: testimone a un contratto: "presente magistro petro fiqulo", (atti di Giovanni Sassi, voI. 729-V, fol. 21v)
1549,28 marzo: è menzionato in un testamento
(atti di Federico Vitali,
voI. 631-VIII, fol. 192r)
1549, 5 aprile: testimonia a un contratto: "presente mro petro garavino fiqulo" (atti di Francesco Merenda, voI. 1512-XV, fol.54v)
1549, 23 settembre: testimonia a un contratto: "presente mro pietro garavino de forlio" (atti di Francesco Merenda, vol.1512-XV, fol.11 Or)
1550,15 gennaio: Pietro e Carlo Garavini
testimoniano a un
contratto:
»presentlbus magistro
petro quondam dominici
Garavinis, magistro Carolo
quondam thome qaravinis« (atti
di
Lattanzio Biondini vol. 929-VIII,
fol 29v)
1551, 1 luglio: testimonia a un
contratto: "presente magistro
Petro figulo de
forlio" (atti di Pier Paolo
Raffaini, voI. 1150-IX,
fo1247r)
1551, 25 settembre: »Maqister Petrus
garavinis figulus de
forolivii. .. ec
(atti di Agostino
bolognesi, voI. 527-1,
fol. 265r)
1551, 16 dicembre: fa una
fideiussione: »Mr Petrus de faventia
orzolarius fideiussit« (atti di
Silvio Della Nave,vol.1
050-11, fol. 81r)
1552, 13 luglio: testimonia a un contratto: "presente magistro Petro q. dominici garavini fiqulo" (atti di Lattanzio Biondini, vol. 931-X, fol. 494v)
1552, 23 dicembre: Pietro Garavini, maestro
Coralio, Marco
Antonio Surdi, maestro Berto Solombrino e maestro
Sante Monj, tutti
ceramisti di Forlì,
devono denunciare la
loro produzione e i loro
prezzi, eleggendo un
responsabile (atti di Lattanzio
Biondini vol. 931-X, fol. 930v).
1553,8 marzo: testimonia a un contratto: "presente magistro
petro garavinis figulo de forlio« (atti di Lattanzio Biondini vol. 932-XI, fol. 234v).
1554,3 aprile: »Maqister Petrus de Garavenis figulus de forolivio detto da Faenza presens« fa una dichiarazione di debito (atti di Agostino bolognesi, voI. 528-1, anni 1555, fol. 178r)
1555,3
gennaio: Pietro e Carlo
Garavini sembrano dividersi
dettagliatamente una
casa, presente "hieronirno alias
birichino" (atti di Francesco
Merenda, voI.
1515-XVIII, fol.
3v,4r)
1555, 4
febbraio:
»rnaqister Petrus q.
Dominici de garavinis
de Forlio fiqulus« vende una casa (atti di
Gian Battista Dandi, voI.
1204-1, fol. 49r)
1555, 5 ottobre: »Petrus quondam dominici Garavini« presenta una garanzia per un suo debito, e attesta che la sua bottega era posta "in orte Sti Antonij de ravaldino iuxta rnururn« (atti di Federico Vitali, voI. 638-XV, anno 1556, fol. 227v).
.
1556,2 marzo: E' menzionata Livia, moglie di Giacomo figlio di Pietro: "Domina Livia f(ilia)quondam Xpofori biondi de forlivio et uxor adpresens Jac. Filius magistri Petri orcelari de forlivio« (Taddeo Numai, voi 1077-111-1556, 22r)
1556,2
marzo:
testimone a un contratto: " ... presente
magi-
stro Petro
fìqulo" (Taddeo
Numai, voi 1077-111-1556, 82r)
1558,10
giugno: testimonia a un
contratto: " presente magi-
stro Petro garavino figulo de
Forlio" (atti di Pier
Antonio Benzio, voI. 1177-11,
fol. 100v)
1560, 16
dicembre:
testimone a un contratto:
"presente ma-
gistro Petro q. Dominici
Garavinis" (atti di Lattanzio
Biondini voI. 939-XVIII,
fol. 460v)
1562,31 agosto: testimonia a un contratto: "presente magistro Petro figulo de garavinis« (atti Pier Antonio Benzio, voI. 1179-LV, fol. 92v)
1564, 31
gennaio:
testimone a un contratto: " ...
presente
magistro petro quondam Dominici garavini figulo (atti
di Federico Vitali, voi 642-XIX,
fo1.64)
1565,3 gennaio: testimonia a un contratto: "presente magistro petro garavino figulo de forlio« (atti di Lattanzio Biondini voI. 944-XXIII, fol. 15r)
1568,16 giugno: testimonia a un contratto: "presente magistro petro garavino fiqulo« (atti di Lattanzio Biondini voI. 947-XXVI, fol. 200v)
1570, 13-18 luglio:
Pietro Garavini "figulus de
torllo« risulta in
prigione per un debito che i figli promettono di pagare
(Quaderno unico Archivio Comunale di Forlì, Instantiae).
1572, 17 marzo: Maestro Pietro di Domenico Garavini consegna al figlio un terreno in cambio della dote della nuora (atti di Checco Paulucci voI. 55-X, anno 1572, fol. 95r)
1573,27
ottobre:
Pietro Garavini e il
figlio Giacomo, volendo
evitare il carcere, chiedono di poter
pagare i debiti cedendo dei
beni: " Cum sit quod magister Petrus
Garavinis et Jacobus eius filius
fuerint et sint debitores ambo ...
Domino Georgio Marchesio in et de
libris centium et sex bon ...
volentes ... carceres evitare et
ab eis liberari petierint amitti
ad cessionem bonorum quorum etc", (atti di Giacomo
Oliva, vol. 1328-IV,
foI.244r-245v9)
1576,7 aprile: Pietro Garavini è
morto. Il figlio Antonio Maria
testimonia a un contratto, ed è definito figlio del defunto
maestro Pietro: "Presente
Antonio Maria q(ondam) mri Petri
Garavinl«, (atti di
Antonello Agostini, voI. 571,
XI, fol.60r)
Anmerkungen
Cipriano Piccolpasso: I Tre Libri dell'Arte del Vasaio, hgg. von Ronald Lightbown und Alan Caiger-Smith, 2 volI., Londra 1980, Bd. 1: Libro I, 2, fol. 1.
2: Archivio di San Mercuriale, Libro Biscia (1092, 1114, 1116), " ... in hac civitate liviensi que vocatur fiqline", in: G. Susini, »Forurn Livi, comune rornano«, in: Forlì Società e cultura, Forlì 1976, p. 35s.
3: Su Forlì ci risulta che il Grigioni abbia pubblicato i documenti su Leocadio Solombrino, in un saggio per il bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza; vedi Carlo Grigioni: Eleucadio o Leocadio Solombrino da Forlì, secondo documenti inediti. In: Faenza XXXII, 1946, Il pp. 35-42; III-VI, pp. 88-89.
4: Ma anche in quelli faentini, di Cesena, di Pesaro, di Urbino, di Ripatransone, e di altre località minori delle Marche e di Romagna.
5: I termini »orcellario« e
»fiqulo« sono usati
indifferentemente, nei documenti
forlivesi, per designare i
maiolicari, come annota altrove
lo stesso Grigioni. A riprova,
riportando la vastissima
documentazione sulla fabbrica
Fagioli di Faenza, egli
sottolinea infatti come, in due
rogiti successivi, Guido di Simone Fagioli sia
chiamato dapprima "figulo", poi
»orcellario« (Archivio notarile
di Faenza, Nicola Torelli,
volume del 1540, 111
quadrimestre, fol.
334r cartolazione nuova, 1442
vecchia). Questo avviene
anche per Pietro Garavini e per
gli altri principali
maiolicari.
6: Modigliana è una piccola città non lontano da Faenza, verso l'Appennino, lungo la valle del fiume Marzeno.
7: Dovadola è una piccola
città non lontano da Forlì, verso
l'Appennino, lungo la valle del fiume
Montone.
8: B. Rackham: Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, 2 voll. London 1940, n. 272.
9: Come annotava il Rackham, ci sono esempi di
denominazioni con il prefisso »da« che
indicano un allontanamento dell'autore
dal luogo d'origine
(Francesco Xanto Avelli da
Rovigo) ma ce ne sono altre che al contrario
sono usate per indicare la sede operativa (Nicola da
Urbino, Giorgio da Gubbio etc).
Non è quindi possibile speculare su una presunta
lontananza di Girolamo da
Forlì.
Anzi, l'ipotesi più semplice (e quindi da
preferirsi, vista anche la forte presenza ceramica
nella città) è che Forlì sia il luogo in cui era
collocata la bottega e in cui fu
eseguito il piatto.
10: Bernard Rackham: "The
Master of the Resurrection Pa-
nel" an Italian
Maiolica-Painter. In:
Anzeiger des Landesmuseums
Troppau 2, 1930 (Festschrift E. W.
Braun), pp. 70-84.
11: "Presente Jeronimo filio olim Magistri lodovicj morellj phigulo de Forlivio" (Atti di Bernardino Menghi, voI. 556, XXI, cartolazione mancante).
12: 1524, 18 agosto
»Hleronirnus q.o gazi et
Sebastianus Laschj presentes« fanno
società "in figularie seu orzelarie ad
invicem ... ad tres annos cum dimidio proxime
venturos incipiendos a die 1 Julij
proxime presente annj" Girolamo ci
mette "pro suo capitali laborerium orzelarie emptum ab
illis morelli pro libris 207 bon. Et
dictus Sebastianus laborerium
orzelarie pro alijs
libris 207 bononorum" (Atti di Pier Andrea
Raffini, vol. 1 003-VIII, anno 1524,
fol.166r ); »1525 .... presente
..... et hieronimo gazze figulo«
(ibid.,
fol. 1 v).
13: 1528, 18 dicembre, "rnaqister
hieronimus fiqulus" (Atti di
Giorgio Rasi, voI. 1432-IV, fol. 139r).
14: 1528, 20 settembre, testimone a un atto: "presente magistro hieronimo quondam Joannis montanario figulo" (Atti di Pier Andrea Raffaini, voI. 1 001-VI, fol. 39r).
15: 1534, 2 marzo, "presente hieronimo quondam
magistri
Johannis baptiste figuli de forlivio" (Atti di
Pellegrino Maseri, vol.
1038-XVI, fol. 48r);
1536,9 ottobre
"presente magistro
hieronimo quondam ... de surdis de
Forlivio alias
brandino fiqulo« (Atti di Vincenzo Valeri,
vol.1746-IX, fol. 8v);
1545, 12 ottobre, "Hieronimus quondam Johannis
baptiste surdi phigulus de
torlivio« compra un terreno (Atti di
Pellegrino Maseri, voi
1043-XXI, fol.27r);
1546, 2 gennaio "Petrus
Paulus quondam Tiberti de
Fabris phigulus de forlivio
presente" si dichiara pagato del prezzo di un terreno da
parte di » magister Hieronimus quondam magistri
Johannis Baptiste surdi de
forlivio presens« (Atti Pellegrino
Maseri, vol 1 043-XXI, fol.
43r).
16: 1548, 2 gennaio, "presente magistro Hieronimo alias rizzardo figulo de surdis", (Atti di Giovanni Sassi, vol. 728-IV, fol. 1 v).
17: Rackham 1940 (vedi nota 8),
cat. n. 806.
18: Rackham 1940 (vedi nota 8),
cat. n. 805.
19: Oltretutto le due
città cominciano entrambe con la
stessa
lettera, e quindi le due F che compaiono dietro
alcune opere del pittore, e che vengono spesso
interpretate come "Fece a Faenza", non
contribuiscono a risolvere il problema.
20: Francesco Liverani e Giovanni L. Reggi: Le maioliche del Museo Nazionale di Ravenna. Modena 1976, fig. 24, pp. 36-39.
21: Liverani- Reggi 1976 (vedi nota 20), n. 25, p. 42.
22: Jeanne Giacomotti: Catalogue des majoliques des musées nationaux. Musées du Louvre et de Cluny, Musée national de céramique à Sèvres, Musée Adrien Dubouché à Limoges. Parigi 1974, cat. n. 907.
23: Il sepolcro è attualmente in gran parte nel museo Jacquemart-André di Parigi.
24: Non è ancora disponibile una documentazione fotografica completa del pavimento, né ci è stato possibile una ricognizione diretta sull'enorme mole di materiale. Ci basiamo dunque sull'esame delle mattonelle esposte nel Victoria and Albert Museum, e di quelle conservate nella pinacoteca di Forlì. Esse ci sembrano di un unico autore, con l'eccezione di un gruppo caratterizzato dal bordo ad ovoli, che appare leggermente più tardo e di mano probabilmente diversa.
25: Timothy Wilson: Girolamo Genga, designer for maiolica?, in: Italian Renaissance Pottery, Papers written in association with a colloquium at the British Museum, a cura di Timothy Wilson. Londra 1991, pp. 157-165. - Giuliana Gardelli: Maiolica per l'architettura. Pavimenti e rivestimenti rinascimentali di Urbino e del suo territorio. Urbino, Accademia Raffaello 1993, p. 49.
26: Giuseppe Liverani Una sconosciuta bottega maiolicara
del primo Cinquecento a Faenza. In:
Faenza XLIII, 1957,
p.3-11.
27: Liverani 1957 (vedi nota 26), p. 6.
28: Nella documentazione forlivese,
invece, i To re Il i sono citati
a proposito di un acquisto di materiale
ceramico: Bernardino figlio del fu
maestro Cristoforo ceramista di Forlì si
dichiara debitore di Pier Torelli
di Forlì per L. 50 in seguito
all'acquisto di piombo, stagno e terra
bianca. Archivio di Stato
di Forlì, notarile, atti del notaio Bonamente
Torelli, voI. 422-IV,
1524, fol. 191 v. E' dunque
possibile che Francesco Torelli fosse
un forlivese trasferitosi per
breve
tempo a Faenza. E' interessante notare
che molto
più tardi, nel 1551, un Francesco
Torelli è citato in un atto
riguardante un'ancona commissionata a
Francesco Menzocchi (Atti del notaio
Lattanzio Biondini,
voI. 930-IX, fol.
165v. e 166v).
29: Rackham 1940 (vedi nota 8),
n. 263.
30: Liverani 1957 (vedi nota
26), p. 10.
31: Carmen Ravanelli Guidotti: Ceramiche occidentali del Museo Civico Medievale di Bologna. Bologna 1985, n. 89.
32: Riteniamo ancora non identificato lo stemma, che a nostro avviso non è quello Farnese.
33: A. Darcel e A. Basilewsky: Collection Basilewsky, catalogue raisonné précedé d'un essai sur les arts industriels du ler au XVle siècle. Parigi 1874, n. 365, p. 144.
34: Nel piatto con un episodio dell'infanzia di
Enea, conservato a
Waddesdon Manor, con ogni
probabilità del nostro
pittore, sul tondo
collocato a terra davanti ai
personaggi è indicato il nome del
protagonista, Enea, non quello del
maiolicaro. Nella coppa, le cui
iniziali leggeremmo
"G 1", è probabilmente
effigiato un episodio
contemporaneo (Giacomo Feo
rappresentato, nell'immaginario
popolare, moribondo fra le braccia
di Caterina Sforza, o
Giovanni
de'Medici, morto
anch'egli tra le sue
braccia?).
35: Questo appellativo ha fatto più
volte attribuire il piatto a
Casteldurante. Il
termine »Castel«, però,
è fra i più comuni, e non può da solo dar
conto di un'attribuzione
marchigiana, quando tutti gli
elementi iconografici e di stile
rimandano
all'Emilia-Romagna.
36: Dono del conte Pietro Guarini. Diam. 41 cm.
37: Carola Fiocco e Gabriella Gherardi:
Tesori nascosti: la
collezione
di maiolica italiana del Musée de la
Tour du Moulin à Marcigny.
In: Faenza LXXXVIII,
2002, tav. Xa.
38: Carmen Ravanelli Guidotti, in: Museo
d'Arti Applicate. Le
ceramiche. Tomo I (Musei e Gallerie di
Milano). Milano 2000, pp.
435-438: Incerti, cat. n.
14a.
39: Nel 1519 Ottaviano fu trasferito dal vescovado di Lodi a quello di Arezzo, poi costretto a cedere anche questo.
40: A. N. Kube e Olga E. Michailova: Leningrad State Hermitage Collection, Italian majolica XV-XVIII centuries. Moscow 1976, cat. n. 32.
41: Giacomotti 1974, cat. n. 341.
42: Decorative Arts of the
Italian Renaissance
1400-1600,
catalogo di
mostra,The Detroit Institute of Arts,
November 18, 1958 -
January 4, 1959, cat. nn. 95 e 99
pp. 57ss.
43: Jessie Mc Nab. In: The Taft Museum, Its History and Collections, a cura di E. J. Sullivan, 2 voli., New York 1995, vol. Il, pp. 517-540, 521-525. - Dora Thornton: A bella donna from the Pasolini collection in the British Museum. In: Faenza LXXXIX, 2003, pp. 135-149. Ci scusiamo con J. McNab per non aver citato il suo contributo nel nostro articolo sulle maioliche nel museo di Marcigny, ma non ne eravamo a conoscenza.
44: Il piatto è infatti con ogni probabilità rintracciabile nel museo Pasolini di Faenza, catalogato dal Frati nel 1852, che potrebbe essere una data precoce per un falso; Luigi Frati: Del Museo Pasolini in Faenza, Descrizione. Bologna 1852, n. 124.
45: J. V. G .. Malle!: Michelangelo on Maiolica, an istoriato dish at Waddesdon. In: Apollo, aprile 1994, pp. 50-55 e fig. 1.
46: Fiocco e Gherardi 2002 (vedi nota 37), p. 73-109.
47: Per una sintesi della questione riguardante il
monogram-
mista PP,
cfr. The IIlustrated Bartsch 25,
Commentary, Early Italian Masters, by Mark
J. Zucker. New York 1984, pp. 437-451.
48: In realtà Caterina nel primo caso fuggì velocemente a rifugiarsi nella rocca, temendo una insurrezione. Nell'immaginario popolare, però, Giacomo morì al suo cospetto, se non fra le sue braccia. Anche il terzo marito, Giovanni dei Medici, morì di morte misteriosa, assistito dalla moglie, mentre si trovava a fare le cure termali a Bagno di Romagna per ristabilirsi da gravi problemi di salute.
49: M. C. Gori, in: Melozzo da Forlì, la sua città e il suo tempo, catalogo di mostra a cura di Marina Foschi e Luciana Prati. Milano 1994, scheda n. 13 p. 312.
50: 1507, "Presente Magistro Achille phigulo de faventia abitatore forlivii" (Atti di Bernardino Menghi, voI. 556, XXI, cartolazione mancante).
51: 1526,14 marzo, " Domina Jacoba uxor quondam magistri antonii de mutiliana presente dedit et concessit Francisco alias detto Fantino
de laganinis de Forlivio presenti una eius apotecam Cum omnibus Instrumentis ad usum orcelarie ad Laborandum ad dictam artem orcelarie pro uno anno" (a metà del
profitto) (Atti di Pier Antonio Paolucci, voI.1218-VI-1526, cartolazione mancante);
1526-14 settembre, "Domina
Sandra quondam Antonii de orcelarijs de Forlivio alias machagnone de una casa presente Francisco quondam Lucani (?) de Laghaninis de Faventia figulo alias dicto el
fantino" (Atti Pier Antonio Paolucci voI.
1213-1-1520-27, fol. 134
v); "Antonio da Modigliana figulo abitatore Fortivij« (già morto nel 1526, la bottega
è affittata dalla vedova a Francesco di Luciano
dei Laganini da Faenza detto il Fantino).
52: 1538, 15 ottobre, "Domina Magdalena uxor bertotij quondam bartolomei sclavij figuli de faventia ... « (Francesco Merenda, vol. 1505-VIII, fol. 66v).
53: 1537 26 febbraio, " ... presente Guidone filio Johanis de
Faventia Figulo abitatore Forlivij ... " (Atti di Bonamente Torelli, voI.
436-XVI, fol. 58v).
54: 1532, 7 febbraio, »Maqister Joannes baptista quondam magistri Cristoforj figuli de Forlivio et
magister nicolaus quondam Sebastiani tini de Faventia presens omnj meliorj modo comuniter et concorditer contraxerunt insimul societatem
orcelarie duraturam per tres annos" (Atti Mario Mattei, vol. 912-11,
24v); 1538, 2 settembre, " Presentibus magistro Nicolao quondam Sebastiani Tini de faventia et magistro petro
antonio quondam joannis masij
de dovadula ambobus figulis in civitate Forlivlo", (Atti Giovan Francesco Olivieri,
voI. 1482-V, 83r); 1543, gennaio 16, "rnagister Nicolaus quondam Sebastiani Tinj de Faventia et nunc
Forlivio figulus presente" fa una quietanza (Atti di Giovan Battista Dalle Selle, vol.
840-IX, fol.13v).
55: 1535, 25 settembre, "... presente magistro Nicolao quondam magistri blasij blasini de Faventia fiqulo" (Atti di Vincenzo Valeri, voI. 1744 -VII, 475r).
56: 1521, agosto 29, "presente Francisco quondam ludovici de Faventia Figulus abitatore forlivio" (Atti di Girolamo AIbicini, vol. 300-XIII, fol.11 v).
57: 1544, ottobre 27, "Maqistsr Nicolaus quondam sebastiani rizij de Faventia figulus habitator forlivio presentefa una quietanza" (Atti di Federico Vialetti, voI. 626-111, fol. 272r).
58: Atti di Giacomo Numai, voI. 1717-XVII, fol. 153v).
59: Archivio di San Mercuriale, Vite 1501-4 (Rogiti Giovanni
Michelini, carte 17v).
60: Cfr. documento del 27 maggio 1547 (appendice 2).
61: Biblioteca palatina, MS PARM.1535, in: M. Faietti e D.Scaglietti Kelescian: Amico Aspertini. Modena 1995, pp. 225 cat. n. 8, 36 e pago 226 cat. n. 8, pago 80.
62: Inv. 1990 D291 e inv. 1990 D 290, in: I Della Rovere, catalogo di mostra a cura di Paolo Dal Poggetto. Milano 2004, p. 312-313, n. V. 8; p. 372, n. X.1).
63: Carola Fiocco e Gabriella Gherardi: Il piatto Strozzi Sacrati con Mosè che fa scaturire l'acqua e alcune considerazioni su Maestro Pier Paolo in Faenza, in: La mai olica italiana del
Cinquecento. Capolavori di maiolica della Collezione Strozzi Sacrati, Atti del convegno di studi Museo Internazionale delle Ceramiche Faenza, 25 -
27 settembre 1998, a cura di Gian Carlo Bojani. Firenze 2001,
pp. 38-51.
64: Telaio di legno su cui è fissato un panno o un foglio di carta spessa, usato, spec. un tempo, per chiudere e oscurare le finestre; per estensione, infisso, battente di una finestra (De Mauri).
65: Melsanda Lama: Il libro dei conti di un maiolicaro del
Quattrocento. La vacchetta di M.o Gentile Fornarini, Piccola biblioteca del Museo delle Ceramiche. In: Faenza, v.5, Faenza 1939, pp.
13-15.
66: Abbiamo già proposto l'identificazione di Maestro Pier Paolo, autore di alcuni splendidi istoriati in parte eseguiti presso Virgiliotto Calamelli, con Pier Paolo Menzocchi (Fiocco e Gherardi 1998 (vedi nota 63), pp. 38-51).
67: 1533, 27 gennaio, atto che riguarda la moglie di Francesco Menzocchi, Agnese, che si dichiara pagata per una casa da lei venduta: " ... actum in domo dicti magistri Francisci situata in civitate forlivio in contrata schiavonia luxta magistrum baptistam detto braca figulum, heredes magistri bartholomei orificis viam comunis et alias "presente magistro hieronimo detto frandino q. Joannis baptiste surdi" (Atti di Giulio Tornelli, voI. 1235-11, fol. 5v).
68: 1543,20 aprile (Atti di Lattanzio Biondini, vol. 923-11, fol.31 r).
69: 1491, 14 marzo (Atti di Giacomo Moratini voI. 205-IV, fol.19v).
70: 1491, 2 giugno (ibidem, fol. 33r).
71: 1556, 17 agosto, "Maqister Franciscus de minzocchis pictor de Forlivio ... convenerunt opificere unam coctam a fornace ad medietatem in fornasotto eiusdem magistri francisci in villa francha comitatus Forlivij lapidum et aliarum rerum prout eis videbitur et conducere operarios et omnem materiam ac alia necessaria ad medietatem tam laborerij quam quorum expensarum finorum (?) et postea cocere et coctu insimul ad medietatem dividere promittens dictus Lucius pro dicto fornasotto iam conferto eidem magistro Francisco solvere et dare id quod indicatus erit per peritos" (Atti di Lattanzio Biondini, voI. 935-XIV, fol. 484r).
72: A. Bistrot e M. Ceriana: 'In Venetia ricetto di tutto il ben
humano et divino': Francesco Menzocchi e il Veneto, in:Francesco Menzocchi, Forlì 1502-1574, a cura di Anna Colombi Ferretti e
Luciana Prati, catalogo di mostra. Forlì 2003 p. 112 e fig. 75.
Reslimé
Carola Fiocco und Gabriella Gherardi
Keramik der ersten Halfte des 16. Jahrhunderts aus Forlì: »PETRUS"
Die Majoliken aus Forlì haben
immer im Schatten der Produktion von Faenza
gestanden, obwohl
Piccolpasso auch diesen Ort so wie
Ravenna und Rimini als Statte der
Majolikaherstellung
in der Romagna genannt
hat. Dazu hat sicher
auch beigetragen, daB die
fùr Forlì gesicherten oder aus
Grabungen bekannten
Keramiken den faentinischen
sowohl im Repertoire der
Dekore wie in der Verwendung der
blau gefarbten
Berrettino-Glasur sehr
ahnlich sind (Abb. 1), und
sich auch hier monochrom blaue Bemalung
sowie bizarre Trophàenrno tive
finden. Ausgangspunkt fùr
die Beschàttiqunq mit der
Majolikaproduktion von
Forlì sind: 1. Die 13 Majoliken,
deren Entstehung in Forlì
durch eine Inschrift
gesichert ist, und die in
Anhang 1
zusammengestellt
sind, sowie die damit eng
ver wandten Exemplare. 2.
Grabungsfunde aus Forlì
im Museo
Civico und bei der Soprintendenza der
Stadt. 3. Ein reiches
Archivmaterial,
dessen Transskriptionen
durch Carlo Grigioni die
Biblioteca Comunale
Forlì bewahrt, und das fOr
Forlì eine
umfangreiche
Majolikaproduktion
belegt.
Dieser Beitrag beschàftiqt sich vor allem mit dem Majolika maler "PETRUS", dessen Signatur sich auf einer Fliese aus der Cappella Lambertini in S. Francesco in Forlì findet (Abb. 2), und der bereits vier Hilfsnamen erhalten hat.
Im Folgenden
untersuchen wir diesen
Maler und sein Werk.
Der Arzt Bartolomeo
Lambertini
(1430-1512) hatte 1496
die
Erlaubnis erhalten,
die Kapelle in S. Francesco mit
einer neuen Ausstattung zu
versehen. Das Gesamtkonzept
gilt als Werk von
Marco Palmezzano aus
Forlì, die AusfOhrung lag
bei dem ebenfalls
einheimischen
KOnstler Bernardino
Gritti, wurde jedoch
nach 1518 von Girolamo Genga
gemeinsam mit Timoteo Viti
und Francesco Menzocchi
vollendet. Der
Majolikafliesenboden bedeckte etwa
40qm, wurde aber wohl nach 1793 in
die Kapelle der Villa der
Monsignani, der Erben
der Lomabardini, in Pieve di Quinta
transferiert, die 1862 zerstort wurde.
Heute befinden sich zahlreiche
Fliesen im Victoria and
Albert Museum London, einige
im Museo Internazionale
delle Ceramiche in Faenza
sowie in der Pinakothek in
Forlì (Abb. 3, 4, 5
und 9). Das "PR" signierte
und 1513 datierte Exemplar
besitzt das Victoria and
Albert Museum; es zeigt auBer dem Portrat des
"PETRUS" ein zweites Bildnis, bezeichnet
"DO" = Dionisius,
dessen Bedeutung sich
bisher nicht klàren
laBt (Abb. 1). Der
Maler "PETRUS" laBt sich
mit keinem Dokument
verbinden. Aufgrund
der hohen Oualitat seiner
Malerei ist er haufig
nach Faenza lokalisiert
worden. Um sei ne
kOnstlerische Pers6nlichkeit
zu erfassen, sollen zunachst
die Majoliken betrachtet
werden, die Giuseppe Liverani bereits
1957
Oberzeugend mit ihm verbunden
hatte: 1. Das Fragment eines
Tellers mit dem »Unçlàubiqen
Thornas«, laut
Inschrift entstanden in der
Werkstatt des Maestro
Francesco Torelli und
signiert »P. F.", im Museo
Internazionale
delle Ceramiche in Faenza
(Abb. 6). 2. Die monochrom blau
bemalte Bildfliese mitder
FuBwaschung, bezeichnet
"P. O.", im Victoria and
Albert Museum London. 3. Der
Prunkteller mit Wappen im Museo Civico
Medioevale, Bologna
(Abb. 7). 4. Schale mit
einer unbekannten
Darstellung, bemalt in
Blau und Orange,
bezeichnet »C l"
oder »GI" in der
Ermitage, St. Petersburg
(Abb. 8).
Diesem Oeuvre ist ein Teller mit Judith und Holofernes, bezeichnet "FA(TA) I(N) FOR(L)I" in der Pinakothek in Forlì (Abb. 10) hinzuzufOgen, dessen Stil den von Liverani zusammengestellten Majoliken wie auch den Lombardini-Fliesen entspricht. Besonders eng verwandt ist er der Prunkplatte in Bologna, sowohl in den Figuren wle-in den Trophaen auf der Fahne (Abb. 11). Vor allem findet sich hier die typische Wiedergabe der Helme (Abb. 12), sie wiederholen sich fast identisch auf den Bodenfliesen (Abb. 13). Auf beiden StOcken begegnen Motive, die nicht in den thematischen Kontext passen (Abb. 14). Ahnliche Trophaen zeigt auch die Flasche im Castello Sforzesco Mailand mit dem Wappen von Ottaviano Maria Sforza, aber auch eine sehr verwandte Ornamentik "alla porcellana" (Abb. 15), wie sie auch auf dem Teller in Forlì auftritt.
Demselben Maler scheint
sich eine weitere kleine
Gruppe von
Arbeiten
zuordnen zu lassen: Ein
Teller mit dem SOndenfali in
der Ermitage, St.
Petersburg, ein Teller
mit einer nicht identifizierten
Darstellung im Louvre, Paris (Abb. 16),
eine FuBschale mit Horatius
Cocles auf Berrettino-Grund in
Privatbesitz (Abb. 17) sowie je eine
FuBschale im Taft Museum Cincinnati und in der
William Rockhill Nelson Gallery
of Art in Kansas City.
Jessie McNab hat diesen
Majoliken, die sie um das
Exemplar einer Darstellung des ParnaB im
Taft Museum gruppiert hat,
den prachtvollen, 1524 datierten
Teller mit dem Idealbildnis der
-Diva Lucia Bella" des
Britischen Museums hinzugefOgt. Er laBt sich
bestens mit der zweiten
Jahresangabe auf den Lombardini-Fliesen, 1523,
verbinden. Zu diesem Komplex geh6rt auch, wie
Mallet gesehen hat, ein
Teller mit der Kindheit des
Aeneas in Waddesdon Manor, aus dessen
ROckseitendekor sich einige
Motive auf den Fliesen wiederfinden.
Das Corpus der Arbeiten des
Malers "PETRUS" wollen wir
mit einem unver6ffentlichten
prachtvollen Teller
mit .dem Triumph der Luna aus dem NachlaB
von Charles Damiron (Abb. 18)
vorlaufiç abschlieBen.
Der mit Francesco Torelli
bezeichnete Teller in
Faenza und das
Exemplar der »DIVA
LUCIA BELLA" von 1522
bzw. 1524 liefern fùr
die Tatiqkeit und den Stil des
Malers Fixpunkte und sind
mit der Datierung »1523" bzw. der
Malerei der Lornbardini-Fliesen bestens
in Verbindung zu setzen. FOr die
Entstehung des Majolikabodens
in den zwanziger Jahren
des 16.
Jahrhunderts
spricht auch die Verwendung
des BerrettinoGrundes, der
in der Romagna um
1520-1540 seine
grbBte Verbreitung
fand.
Auf zwei Majoliken der hier fur »PETRUS" zusammengestellten Gruppe ist der Ort ihrer Entstehung genannt: Forlì bzw.Faenza. Die verwendeten, jeweils fur einen der beiden Orte charakteristischen Ornamente lassen vermuten, daB der Maler aus Forlì Kontakte nach Faenza unterhielt. Dies ist im ubrigen fùr mehrere Keramiker Forlìs Oberliefert.
In Carlo Grigionis Archivalien ist der Maler nicht faBbar, zumal der Name Piero sehr haufig ist. Aber seine kOnstlerische Persbnlichkeit ist deutlich erkennbar. Besonders interessant sind seine stilistischen Beziehungen zu Amico Aspertini und Girolamo Genga. Diesem wird der Gesamtentwurf fur die Lombardini-Fliesen zugeschrieben und seinen EinfluB zeigt auch deren Farbigkeit. Die hervorragende Oualitàt des Malers unterstreicht auch sei n nur selten nachweisbarer ROckgriff auf Stiche, vielmehr laBt sich zeigen, daB er eigenstandig und aufmerksam die zeitgenbssische Kunst zur Kenntnis nahm, wenn er sich z. B. direkt an Fresken Michelangelos inspiriert hat.
Die Problematik der Majoliken Forlìs aus der 2. Hàlfte des 16.
Jahrhunderts, vor allem die Person Leocadio Solombrinis (Abb. 20 und 21), soli an anderer Stelle behandelt
werden, ebenso die Zuschreibungen an die Werkstatt von Francesco und Piero Paolo Menzocchi. Besonders interessant und
wichtig ist die Frage nach den engen Beziehungen zwischen Majolikamalern und Malern, die vielleicht -
wie es fur Leocadio Solombrini bekannt ist - selbst die Technik der Majolikamalerei beherrschten und anwandten.
Bildegenden
1 Fragmente mit Trophaencekor, Grabungsfunde aus Forlì. Pinakothek, Forli.
2 Fliese aus dem Lombardini-FuBboden mit dem Bildnis des »Petrus« und des Dionigi da Bertinoro. Victoria und Albert Museum, London.
3 Fliese aus dem Lombardini-FuBboden mit der Buste eines Mannes. Victoria und Albert Museum, London.
4 Fliese aus dem Lombardini-FuBboden mit weiblichem Profil. Victoria und Albert Museum, London.
5 Fliese aus dem Lombardini-FuBboden mit Korb, Weinrebe und geschwungenen Blàttern, Victoria und Albert Museum, London.
6 Fragment eines Tellers mit dem Unqlàuoiqen Thomas. Museo Internazionale delle Ceramiche, Faenza.
7 Wappenteller mit Trophaen, Kandelabermotiven und
Profilbildnissen in Medaillons, signiert "Pietro dal Castel«, Museo
Civico Medievale, Bologna.
8 Schale mit unbekannter Szene: Der Tod des Giacomo Feo oder Giovanni die Medici's? Bezeichnet »Gl«. Eremitage, St. Petersburg. Aquarellierte Reproduktion aus A. Darcel - A. P. Basilewski: Collection Basilewski. Paris 1874
9 Fliese aus dem Lombardini-FuBboden mit Architektur.
Victoria und Albert Museum, London.
10 Teller mit Judith mit dem Haupt des Holofernes. Pinakothek, Forlì.
11 Vergleich der Trophaen des "Pietra da Castel- signierten
Tellers im Museo Civico Medievale, Bologna, und des Tellers mit der Darstellung der Judith
in der Pinakothek, Forlì.
12 Vergleich der runden Helme des Trophaendekors auf folgenden StUcken: Teller, signiert "Pietro da Castel«, Museo Civico Medievale, Bologna; des Tellers mit Judith, Pinakothek, Forlì; Flasche mit dem Wappen von Ottaviano Maria Sforza Visconti, Castello Sforzesco, Mailand, und einer Fliese aus dem Lombardini-FuBboden, Victoria und Albert Museum, London.
13 Vergleich der lànqlichen Helme des Trophaendekors auf dem "Pietro da Castel" signierten Teller, Museo Civico Medievale, Bologna, und auf dem Lombardini-FuBboden, Victoria und Albert Museum, London.
14 Bizarre Motive im Trophaendekor: eine groBe Hand auf dem von "Pietro da Castel" signierten Teller, Museo Civico Medievale, Bologna, und eine realistisch dargestellte Schnecke auf dem Teller mit Judith, Pinakothek, Forlì.
15 Flasche mit Trophaendekor und dem Wappen des Bischofs von Lodi, Ottaviano Maria Sforza Visconti. Castello Sforzesco, Mailand.
16 Teller mit unbekannter Szene: Grundunq des Heiligtums von Fornò? Louvre, Paris.
17 Schale mit Horatius Cocles bei der Verteidigung der Brucke vor den Etruskern. Privatsammlung.
18 Teller mit dem Triumph der Luna. Musée de la Tour du Moulin, Marcigny.
19 Teller mit dem Tod des Crassus. Louvre, Paris.
20 Teller mit dem Sturz des Phaeton. Privatsammlung.
21 Ruckseite des Tellers Abb. 20, mit der Signatur von Leucadio Solimbrino.