Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in "Faenza", bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, LXIX, 1983, 1-2, p. 91-92
La difficoltà di riferirsi a frammenti di scavo di provenienza sicura è uno dei motivi che contribuiscono a rendere tanto difficile e controversa la soluzione di alcuni problemi relativi alla ceramica derutese. Infatti i frammenti provenienti dagli scavi ottocenteschi di cui parlò il Piot e che vennero esaminati e valutati anche dal Molinier, sono oggi dispersi nei vari musei, e sono difficilmente rintracciabili (1), mentre quelli diligentemente raccolti da Alpinolo Magnini e da lui donati al museo di Deruta attendono ancora "una catalogazione e non sono, per ora, visibili che in minima parte.
Tuttavia dal sottosuolo della cittadina umbra continuano ad affiorare frammenti da scavi occasionali, per la costruzione di edifici o per lavori pubblici. Ne presentiamo qui alcuni ritrovati di recente, importanti per la loro sicura provenienza, unitamente ad altri inediti dei musei di Faenza e di Deruta, anch'essi di provenienza accertata; essi contribuiscono infatti alla definizione di due dei problemi in passato più dibattuti riguardo alla produzione rinascimentale derutese e sui quali, pur essendosi già pronunciati alcuni dei maggiori studiosi, rimane ancora un margine di incertezza; ci riferiamo cioè al gruppo cosiddetto «Petal-back» e al lustro rosso di Deruta.
La denominazione «Petal-back» fu data da Bernard Rackham a un gruppo di maioliche da lui particolarmente studiato, caratterizzato sul retro da un motivo a grossi «petali» trasversalmente striati in arancio e blu (2); alcuni esemplari però, con identiche caratteristiche di decorazione e colori, e rientranti quindi anch'essi nella tipologia, recano sul retro motivi a «cavallo di frisia» o tratteggi incrociati, semplici archettature appuntite intersecantisi fra di loro, filettature concentriche o linee radiali alternate a file di tratteggi orizzontali paralleli.
Il Rackham ha esaurientemente esposto le caratteristiche del gruppo (3), già individuato dal Falke e da altri studiosi, e i problemi attributivi che esso ha suscitato.
È nota e generalmente accettata l'attribuzione a favore di Deruta, suffragata dai numerosi ritrovarnenti umbri. Tuttavia ritrova menti isolati sono frequenti anche in altre
(1) V.E. PIOT, Collections Spitzer: la cèramique Italienne, in «Gazette des Beaux Arts» Novembre 1881, p. 392 e E. MOLINIER, La Collection Spitzer, Paris 1892, IV. p. 8.
(2) V.B. RACKHAM, A new Chapter in the history of Italian Majolica, in «Burlington Magazine», Aprile 1915, voI. XXVII, pp. 28-35; Deruta Majolica, some new observations in «Faenza» XLVI (1960) VI, pp. 133-138; Italian Majolica: some debated attributions; a follower of Signorelli, in «Burlington Magazine», Aprile 1951, p. 106. Il retro «a petali» in questione è estremamente caratteristico, e omogeneo pur nelle sue varianti; non è confondibile quindi con le numerose versioni che si trovann.ad esempio, nei retri faentini o toscani.
(3) V.E. RACKHAM, op. cit., 1915, p. 28. Oltre la decorazione del retro, peraltro variabile (ai caratteristici petali striati e ai tratteggi incrociati si aggiungono a volte filettature concentriche, archettature ogivali intersecanti si in blu, o addirittura niente) e alla frequente presenza, sotto la base, di una iniziale o monogramma paraffato, sono indicati dallo studioso inglese quali elementi caratterizzanti i colori (un blu scuro che diviene quasi nero dove è meno diluito, un giallo chiaro, un giallo arancio brunastro, e talora un verde srneraldino e un pesante viola di manganese) e la peculiare distribuzione decorativa in fasce concentriche con geometrizzazioni. Fra le ipotetiche attribuzioni precedenti l'articolo del Rackham, vi erano Cafaggiolo, Faenza, Pesaro, Forlì e soprattutto Siena (bottega di Maestro Benedetto).
località, persino tra quelle che ebbero abbondante ed autonoma produzione.
Alcuni frammenti ora al museo di Faenza sono significativi a questo proposito: accanto a quelli provenienti da: Orvieto, di cui parleremo più oltre, ne abbiamo uno da Pesaro, uno da Cesena, e uno addirittura di scavo faentino (Tav. XXII c, d).
Le argomentazioni del Rackham sono esaurienti, e i parallelismi e le analogie da lui indicati sono ancor oggi pienamente validi. Sono tuttavia scomparse per eventi bellici le prove da lui ritenute definitive, gli scarti di fornace di scavo derutese conservati un tempo nel museo di Faenza (4).
Siamo qui in grado di pubblicarne uno altrettanto significativo di quelli scomparsi, recuperato durante i lavori di scavo per le fondamenta dell'attuale Istituto d'arte di Deruta, che misero in luce i resti di un'antica fornace: esso presenta la sovrapposizione in cottura di due oggetti diversi, probabilmente due coppe, a parete sottile e con i petali striati sul retro, in versione particolarmente raffinata (5) (tav. xx a, b).
Ha la stessa provenienza il frammento riprodotto alla tav. XX c, d, recante sul retro la variante decorativa a linee radiali alternate a file di tratteggi
sovrapposti, di cui abbiamo altri esempi nel piatto rinvenuto in scavi cesenati (tav. XXI a, b) e in quello proveniente da pozzi orvietani, donato dal Rackham
stesso al nostro museo (tav.
XXII a, b). Quest'ultimo fa parte di un cospicuo gruppo acquistato dallo studioso inglese tramite l'antiquario Fenton di Londra, e proveniente dalla collezione Marcioni
Lucatelli, dispersa nell'asta di Sotheby del febbraio 1914 (6): questa collezione doveva la sua importanza al fatto di essere costituita di pezzi da scavi orvietani.
Uno dei piatti (inv. 4240; tav. XXI c, d) reca sul retro una sigla, probabilmente una «v» paraffata, che permette di individuarlo come quello cui allude il Rackham nell'articolo del 1915 (7).
La produzione «Petal-back» viene generalmente riferita agli ultimi anni del 1400 e ai primi del 1500, anche se alcuni esemplari sono probabilmente più tardi (8).
Si tratta di un periodo estremamente fecondo per la produzione derutese, anche se scarsamente studiato.
Al 1501 e 1502 appartengono infatti i primi pezzi a lustro datati, e che non escludono, ma anzi presuppongono una produzione di qualche anno precedente.
Non dimentichiamo che proprio un pezzo alustro ha costituito per il Rackham un indizio importante perI' attribuzione a Deruta del «Petal-back», la brocchetta del British Museum appartenente a una farmacia caratterizzata dall'emblema della testa di
(4) V.B. RACKHAM, Catalogue oJ Italian Majolica, London 1940, I, p. 134 e Italian Majolica: some debated attributions ... , op. cit., p. 106.
(5) Lo scarto di fornace è stato rinvenuto casualmente dal prof. Giulio Busti, studioso di ceramica derutese, durante la costruzione dell'Istituto, e da lui destinato al locale museo.
(6) Catalogue ofthe Collections of Early Italian Pottery formed by Signor Avvocato Marcioni and Cavaliere Capitano Lucatelli, of Orvieto. Sotheby, Wilkinson & Hodge, 16 febbraio 1914, Londra.
(7) V.B. RACKHAM, op. cit., 1915, p. 34.
(8) V.B. RACKHAM, op. cit.; 1960, pp. 133 e 134. L'identificazione dello stemma vescovìle e delle iniziali del vassoio da acquereccia oggi alla Wallace Collection di Londra (inv. III C 128, catalogo Norman C 24) con quelle di Cristoforo Bourbon di Petrella, vescovo di Cortona dal 1477 e morto nel 1502, conferma che la datazione del «Petal-back group» oscilla fra la fine del secolo XV e gli inizi del XVI. Tale datazione è confermata anche dalle brocchette e albarelli del British Museum, del Victoria and Albert e del museo di Sèvres con l'emblema della testa di moro, datati 1501-2, e dal piatto del Victoria and Albert recante lo stemma d'alleanza Gaetano-Minerbetti (inv. 2115-1910, catalogo Rackham n. 394. Il matrimonio che dette luogo all'unione degli stemmi avvenne nel 1493).
moro, tratta dallo stesso stampo di un'altra, anch'essa al British, appartenente allo stesso corredo, ma con i tipici motivi e colori del «Petal-back»: è quindi probabile che le botteghe producessero contemporaneamente l'uno e l'altro tipo.
I! San Sebastiano del Victoria and Albert di Londra (inv. 2601-1856, catalogo Rackham n. 437) datato «1501», reca in alcune zone dell'edicola e nel sangue delle ferite, in aggiunta a quello dorato, un lustro rosso attenuato, di tonalità «fragola»; per questo motivo venne in passato talora attribuito a Gubbio (9).
Lo stesso De Mauri contribuì ad accrescere i dubbi, affermando di non credere alla produzione di lustro rosso a Deruta, per l'estrema scarsità dei ritrovamenti (10).
Naturalmente il problema non concerneva il rosso derivato casualmente da cattiva cottura del rame presente nel lustro, e che si manifesta in chiazze e sfumature qua e là nella decorazione, bensì quello ben localizzato e quindi sicuramente voluto dal ceramista, come appunto nel caso del S. Sebastiano.
I frammenti qui riprodotti alla tav. XXIII a, mostrano appunto questo tipo di rosso, di un bel tono smorzato simile a quello della fragola e distinguibile, nel complesso, da quello di Gubbio.
Essi sono stati ritrovati, nel dicembre 1982, durante scavi per lavori di manutenzione in Borgo Garibaldi a Deruta, assieme ad altri delle più comuni tipologie a lustro e «Petal-back» (tav, XXIII b); la presenza di treppiedi testimoniata dallo scopritore, e di frammenti con prove di lustro, indica che quello era il luogo di una fornace (11).
Tutto ciò conferma l'opinione del Rackham, che non credeva, come invece De Mauri, che i ceramisti derutesi dovessero inviare a Gubbio i loro pezzi per applicarvi sopra il lustro rosso (12).
La presenza di frammenti «Petal-back» nello stesso ritrovamento, e la data del S. Sebastiano, sembrano indicare una produzione molto precoce del lustro
rosso, ai prmi anni del 1500, anche se in mancanza di un rilevamento scientifico non esistono dati
sicuri per una cronologia.
(9) V.C. DRURY FORTNUM, A Descriptive Catalogue of the Majolica ... in the South Kensington Museum, London 1873, p. 231; Majolica, Oxford 1896, pp. 161 e 165.
(10) V. DE MAURI, Le Maioliche di Deruta, Milano 1924, pp. 15 e 19.
(11) Anche questo ritrovamento è stato effettuato dal prof. Busti e destinato al museo municipale di Deruta; lo ringraziamo vivamente per la gentile collaborazione.
(12) Per l'opinione del Rackham in proposito, v. J. SCOTT TAGGART, Bernard Rackham CB, FSA, a Memoir, dattiloscritto della Biblioteca del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza.
Some notes on Deruta's pottery
This article presents us with some fragments of pottery found during excavation at Deruta, providing further documentation on the local manufacture of two types of pottery. These had been former1y attributed to this town in Umbria but there had not been enough finds to make this assertion an authoritative one.
The pottery concerned is the typical «petal-back» type: a kiln reject found during excavations for the construction of the local Art School is shown here; and a few fragments in red lustre found among the remains of an old kiln along with other «petalbacks» in gilded lustre.
We thus have concrete proof for the theories of Rackham, Molinier and many others, and also for the qualitative and quantitative importance of Deruta manufacture between the late 15th and early 16th centuries.
Contribution à l'étude de la céramique de Deruta
L'article présente quelques fragments trouvés dans les fouilles de Deruta en offrant un ultérieur document sur la production locale de cette petite ville d'Ombrie, à savoir deux types de céramiques qui lui avaient déjà été attribués par le passé, mais avec une persistante marge d'incertitude due à la carence des pièces encore découvertes.
Il s'agit du type au dos «petal-back» caractéristique, don! nous proposons ici un rebut de cuisson provenant des fouilles réalisées pour la construction de l'Ecole locale des Beaux-Arts, et de plusieurs fragments à lustre rouge trouvés parmi les restes d'un ancien four, mèlés à d'autres fragments à lustre doré.
Les hypothèses avancées par Rackham, Molinier et tant d'autres sont donc maintenant pleinement confirmées, tout comme l'importance qualitative et quantitative de la production de Deruta entre la fin du XVème siècle et le début du XVlème siècle.
Beitrag zum Studium der Keramik: von Deruta
Es werden hier einige Fragmente von Ausgrabungen in Deruta vorgestellt, die von der lokalen Produktion zweiter Keramiktypen zeugen, die bereits in der Vergangenheit dem Stadtchen Umbriens zugeschrieben wurden, jedoch mit einer bestimmten Ungewissheit die wohl auf den Mangel an Fundstiìcken zunìckzufùhren ist.
Es handelt sich dabei um den Typ mit der. charakteristischen «petal-back» Riickseite, wovon hier ein Ausschuss-Stiìck vorgestellt wird, das von den Ausgrabungen anlasslich der Erbauung des lokalen Kunstinstitutes herriihrt und um einige rotglanz-Fragrnente, die unter den Resten eines antiken Brennofens aufgefunden wurden und mit einigen anderen «petal-back» und Goldglanz-Stiìcken verrnischt waren.
Dadurch werden die Thesen des Rackham, des Molinier und vieler anderer, sowie die qualitative und quantitative Bedeutung der Produktion aus Deruta zwischen Ende des XV Jhs. und Beginn des XVI Jhs. vollstens bestatigt.