"Due crespine urbinati della seconda metà del cinquecento."

Carola Fiocco - Gabriella Gherardi. In I quaderni dell'Emilceramica, 1998, n.29, p.8-17.

 

 

La produzione urbinate della seconda metà del cinquecento presenta ancora parecchi problemi, specie per le attribuzioni degli istoriati, e uno di questi è rappresentato da due crespine, attualmente in collezione privata.

La prima (1) proviene dalla collezione del conte Alberic du Chastel de la Howarderie, venduta presso Christie nel 1976 (2). E’ su basso piede, e p definirsi col tradizionale termine "crespina" poiché ha la parete solcata da baccellature radiali (fig. 1). Questa forma diviene particolarmente comune versa la metà del '500, quando si fa più sensibile l'influenza degli argenti e delle forme elaborate, in assonanza con la complessità concettuale del tardo manierismo. La scena al centro, vivacemente policroma, è rappresentata di frequente sulla rnaiolica rinascimentale. Il dio Apollo si protende per afferrare Dafne, di cui la crudele vendetta di Eros lo ha fatto innamorare. La ninfa ha smesso di fuggire, e sta trasformandosi in un albero di alloro. Ha infatti chiesto al padre, il fiume Peneo, rappresentato in primo piano come un vecchio disteso lungo un corso d'acqua, di annientare la bella immagine che ha attirato l'attenzione del dio, e viene esaudita. Sospeso a mezz'aria Eros scaglia la sua saetta inutilmente. Sullo sfondo è un braccio di mare al di là del quale sorgono montagne azzurre con ai piedi una città che si intravvede appena. Sul retro, la scritta in blu apolo' e da/ne esplicita la scena (fig. 2). La seconda crespina (3), anch'essa increspata ma in maniera diversa, a grandi 


1 La crespina è integra e il diametro è di cm. 29,5.

2 Christie, Manson & Woods Ltd., Fine Continental Pottery, Tbe Properties oj the late Comte Alberic du Chastel de la Howarderie and jrom various sources, Londra 4 ottobre 1976 n.223 tav.15.

3 Anche questa crespina è integra e il diametro è di cm 29.

 


 

 

archi concentrici, reca un altro amore divino: Zeus, mollemente adagiato sulle nuvole, emana una pioggia d'oro che Danae raccoglie col grembiuleaffiancata da due amorini (fig. 3). Sul retro, la scritta Gioue in pioggia doro (fig. 4). Entrambe le storie sono narrate nelle Metamorfosi, l'opera che il poeta Ovidio compose nel I secolo d.C., CI, 452-490; IV, 611; VI, 113) e che tanto spesso fu stampata e illustrata nel Rinascimento; famosa anche per tutto il Medioevo ma interpretata in chiave rnoralizzata (4), recupera con la fine del quattrocento, anche grazie al sincretismo neoplatonico, la sua piena dignità di gioiosa rappresentazione di miti pagani e stimola la fantasia di pittori e illustratori. Fra le molte edizioni, quella lionese del 1559, per i tipi di ]ean de Tournes e con le incisioni di Bernard Salomon, fornisce lo spunto grafico alla prima crespina (fig. 5). Il pittore su maiolica ha eseguito qualche modifica, ad esempio la posizione delle braccia di Apollo, e naturalmente il paesaggio è diverso, poiché si adegua a quello che era il paesaggio-tipo della maiolica urbinate dell'epoca. Nel complesso comunque la fonte è indubbia, e comprende anche il piccolo Cupìdo librato a mezz'aria.

C da dire che anche in questo caso, come spesso avviene, la fonte grafica è resa dal pittore su maiolica con minor secchezza e più senso pittorico, e con una gamma di colori abbastanza aranciata, che comprende un vivace tono violetto. La crespina con Danae presenta un'iconografia curiosa, per la quale Danae raccoglie col grembiule la pioggia d'oro, recuperando il gesto che compie la serva nella famosa versione del Tiziano. Modi e stilizzazioni sono affini all'alzata con Dafne, ma eseguiti con maggior brio e velocità. La stessa Danae, ma raffigurata in controparte, con un solo amorino e senza che sia dipinta la figura di Giove, si trova su una crespina dell'Herzog Anton Ulrich di Braunschweig, foggiata a baccellature radiali come quella con Dafne (5). Anche la scritta è la stessa, Giova in / pioggia doro, tracciata con la stessa calligrafia. Il pittore ha un segno sottile, nervoso, spesso interrotto e ripreso, e una certa velocità di esecuzione. Negli alberi, nel prato, nel sentiero cosparso di ciottoli e nelle rocce scoscese rivestite di erba alla sommità, 

 

4 V. ad esempio l'Ovidio moralizzato di Petrus Berchorius o Pierre Bersuire, c.1340.

5 Inv. 819, Lessmann, Johanna, Herzog Anton Ulrich - Museum Braunscbioeig, Italienische Majoliha, Katalog der Sammlung, Braunschweig 1979 n. 380. V. anche Osterreichische Museum fur angewandte Kunst, Vienna, KhL171 e 178.

l'insieme ha un sapore quasi compendiario, pur nella vivacità dei colori. Sullo sfondo si intravvedono montagne azzurre ai cui piedi sorgono edifici, e un braccio di mare deserto. Le due alzate non sono isolate nel panorama dell'istoriato, appartengono anzi a un gruppo stilisticamente omogeneo individuato con precisione da Johanna Lessman nel 1979 (6), trovandosene parecchi esemplari nelle collezioni dell'Herzog Anton Ulrich di Braunschweig. A suo avviso, essi rimandano ad un'unica mano e forse a un'unica bottega, probabilmente urbinate, attiva attorno al 1570. La data deriva dalle fonti grafiche usate in prevalenza per le storie: la già citata edizione delle Metamorfosi del 1559, le incisioni di Vergil Solis nell'edizione delle Metamorfosi di Francoforte, 1563, le Figure de la biblia illustrate da stanze tuscane da Gabriele Symeoni, Lione, Guillaume de Roville, 1564, le Figure del nuovo testamento di Lione, Guillaume de Roville, 1570. Lo stile è quello disinvolto della decorazione tardo-manierista, che ricerca la fluidità e facilità dell'esecuzione. Gli elementi figurativi già codificati dai grandi maestri della prima metà del secolo - il braccio di mare o lacustre con le montagne azzurre sullo sfondo ai cui piedi si scorge appena il profilo di una città, gli alberi dai tronchi sinuosi, le nuvole a chiocciola, il primo piano segnato da dislivelli del terreno e da ciottoli rotondi - vengono costantemente ripresi e costituiscono il vocabolario abituale di questa bottega, che spazia con facilità dalle raffigurazioni bibliche a quelle mitologiche, con una decisa preferenza per queste ultime. Le forme utilizzate sono le stesse, in prevalenza piatti, piattelli e crespine nelle sagomature plastiche a baccelli e a petali , ma anche grandi vasi con i manici a serpente o a forma di arpia, terminanti in mascheroni plastici. Anche la scrittura è in parte eseguita da un'unica mano, con la stesso modo di tracciare le lettere e taluni vezzi grafici, come l'apostrofo dopo la congiunzione "e". Condividiamo l'opinione della Lessmann che si tratti di produzione urbinate, anche se nei dintorni, e in particolar modo a Casteldurante, venivano sicuramente prodotti
i
storiati con caratteristiche genericamente simili, visto che la "maniera urbinate" ancor prima della metà del secolo si estende a tutte le Marche e si diffonde anche in altre località. Ci sembra inoltre probabile che si tratti di 

 

6 Lessmann, ]ohanna, op.cit. 1979 nn.333-420. 

 

un'unica bottegaall'interno dellqualesono utilizzati le stesse incisioni e gli stessi stampi. Anche l'esecuzione potrebbe essere di un'unica mano, ma questo comporta un maggior margine d'incertezza. Se la stilizzazione dei particolari, esaminati singolarmente, si presenta estremamente simile, è tuttavia vero che i dislivelli qualitativi sono notevoli, e accanto ad esemplari accuratissimi ve ne sono altri decisamente frettolosi e al limite della deformazione. Potrebbe trattarsi dello stesso autore in due momenti della propria attività, o di committenze diverse, più o meno esigenti, di un maggiore o minore intervento di aiuti, oppure di diverse mani operanti nello stesso ambito, che le costringe in uno stile comune. L'attribuzione a Urbino non è condivisa da tutti: in passato il Damiron propendeva per Lione (7), dove nel XVI secolo operavano ceramisti italiani e venivano importate grandi quantità di maioliche urbinatì (8)'. La stessa Giacomotti preferisce non prendere posizione fra Lione e una generica attribuzione all'Italia (9), mentre il Darcel aveva proposto Casteldurante! (10), Più di recente si è parlato del Veneto, e l'autore è stato anche fornito di un nome di comodo, Pittore di Mo e la manna, da un piatto conservato nei Musei Civici di Padova! (11). Non ci sembra tuttavia sostenibile l'attribuzione a botteghe di Venezia, tantomeno a Domenico Veneziano. Del gruppo fanno infatti parte oggetti di forma tipicamente urbinate, come i già citati vasi del Victoria and Albert Museum di Londra (12), e viene utilizzata anche la grottesca su fondo bianco (13). Altrettanto improbabile è l'ipotesi lionese, benchè qui sia più difficile pronunciarsi a causa dello stato ancora incompleto degli studi sull'argomento.

Il problema non è tanto, a nostro avviso, individuare la zona di produzione, quanto piuttosto la bottega. Nel complesso la nostrconoscenza dell


7 Damiron, Charles, Lajaience del Lyon, XVIme-XVIlme siècle, Lyon 1926 tav. VI

8 Spallanzani, Marco, "Un invio di maioliche di Urbino a Lione nel 1539", in Faenza LXVI, 1-6,1980 p.301.

9 Giacomotti, ]eanne, Les majoliques des musées nationaux, Paris 1974 n. 1166.

10 Darcel, Alfred, Notice des jaiences peintes italiennes, Hispano- moresques et francaises et des terres cuites émaillées italiennes, Paris 1864, G284.

11 Munarini, Michelangelo, "Maioliche istoriate delle raccolte dei musei veneti", in Manufatti, 2.1990, pp.61-63.

12 Rackham Bernard, Catalogue oj Italian Maiolica, victona and Alberi Museum, London 1940, n 834 e 835

13 Braunschweig, Herzog Anton Ulrich Museum, inv. 108, in Lessmann, op.cit. 1959 n.351

 

ceramica urbinatdella secondmetà delcinquecento è poco articolata, e si limita ad alcuni nomi ricorrenti,  precisamente i Fontana e i Patanazzi, ai quali si attribuisce di tutto un po'. Per questo la Lessman preferisce mantenersi sulle generali, pur riconoscendo le straordinarie affinità che legano il gruppo alle opere certe della bottega Fontana. Il confronto con il primo gruppo del corredo di Loreto, di cui alcuni vasi sono eseguiti dalla stessa mano di opere firmate nella bottega Fontana (14), è stringente, pur essendovi nei nostri una maggior fluidità di tratto che sembra porli in un periodo più tardo. Il Rackham non esita ad attribuire i due vasi di Londra ai Fontana, tuttavia il gruppo sembra collocarsi proprio nel punto di sutura fra l'attività delle due botteghe, quando ormai termina la vita di Orazio e di Guido, e la bottega, con i suoi stampi e i suoi modelli, sembra confluire in quella gestita da Antonio Patanazzi. Èopportuno a questo punto dare uno sguardo alla situazione della ceramica urbinate nella seconda metà del secolo,  che continua a produrre grandi servizi istoriati. Scomparsi i maestri più famosi, Nicola di Gabriele e Francesco Xanto Avelli, continua a dominare il campo della ceramica Guido Durantino, che verso il 1550 assume l'appellativo di Fontana. Il figlio Orazio lavora dapprima presso il padre, poi, a partire dal 1565, si metterà per conto proprio. La bottega dei Fontana opera ad alto livello. Si ritiene infatti che qui sia stato eseguito, fra il 1560 e il 1562, il "Servizio spagnolo", donato da Guidobaldo II duca di Urbino a Filippo II, illustrato con scene della vita di Giulio Cesare, i cui disegni erano stati forniti da Taddeo e Federico Zuccari. Già in precedenza si era verificato il caso di un pittore,Battista Franco, ingaggiato per fornire disegni ai maiolicari, secondo la menzione del Vas ari ("le pitture che in essi furono fatte non sarebbono state migliore, quando fussero state fatte a olio da eccellentissimi maestri"), e di questi lavori il duca aveva mandato una credenza doppia all'imperatore Carlo V, e una al cardinale Farnese, fratello della duchessa di Urbino.

All'epoca del "servizio spagnolo" cominciano a svilupparsi nella ceramica urbinate le grottesche su fondo bianco, spesso associate agli istoriati. L'attribuzione preferenziale dei servizi più famosi a Orazio piuttosto 

 

14 Mallet, ].VG., "In Botega di Maestro Guido Durantino in Urbino", in The Burlington
Magazine, maggio 1987 p.294.

 

che a Guido si basa su alcuni vasi firmati, ed è  inoltre sostenuta dalle affermazioni dell'urbinate Bernardino Baldi il quale, nell'encomio che indirizzò alla fine del secolo a Francesco Maria della Rovere IJ15, definisce Orazio "nobilissimo" nell'arte ceramica, e così apprezzato dal suo duca che questi inviava le credenze fatte da lui, come cosa rara, in dono a gran signori, fra cui il re di Spagna e l'imperatore. L'esaltazione di Orazio operata dalle fonti non toglie però il dato di fatto che lo straordinario piatto Lehman con l'assedio di Castel Sant'Angelo-v sia stato eseguito sicuramente, come attesta la scritta sul retro, presso Guido, e che il servizio Salviati "dei paesaggi" e le grandi anfore biansate del corredo di Loreto appaiano eseguite dalla stessa mano. Orazio morì nel 1571, e il padre dovette modificare di conseguenza il testamento. Guido a sua volta morì verso il 1576. Dei Fontana rimase Flaminio!", figlio di Nicola di Guido, che ereditò la bottega dello zio Orazio e proseguì un tipo di produzione affine, con istoriati e grottesche, su forme monumentali, fino verso la fine del secolo. Risulta infatti ancora vivo nel 1591. Un altro nipote di Guido, Camillo Gatti, partì da Urbino verso il 1561 per mettersi al servizio del duca di Ferrara, assieme al fratello Battista, e vi morì nel 1567. Verso il 1580 compaiono nel panorama urbinate le ceramiche attribuibili con certezza ai Patanazzi. In questa data Antonio firma alcuni vasi del corredo di Roccavaldina, uno ancora nella sede originaria, l'altro nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza-v. Attorno a quella data viene anche eseguito il servizio "Ardet aeternum". I Patanazzi utilizzano lo  

 

15 Encomio della patria di Monsignor Bernardino Baldi da Urbino ... al Serenissimo Principe Francesco Maria II, Urbino 1706,pp.130-131. L'encomio sarebbe stato scritto verso il 1587 (v. Gardelli, Giuliana, "Urbino nella storia della ceramica", in T. Wilson, (a cura di) Italian Renaissance Pottery, London 1991 p.130. v. anche G.Zaccagnini, "Uno scritto inedito di Bernardino Baldi", in Le Marche illustrate nella storia, nelle lettere, nelle arti I, 1902, pp. 55-57).

16 New York, Metropolitan Museum of Art, inv. 1975.1.1120, in Rasmussen, ]org, Italian Maiolica in the Robert Lehman Collection, New York 89 n.97 p. 167.

17 Consegnò a Firenze, nel 1573, un grande servizio per Francesco e Ferdinando dei Medici, di cui molti esemplari sono tuttora al Bargello, ed è il probabile autore del rinfrescatoio della Wallace Collection (Norman, A.Y.B., Wallace Collection. Catalogue oJ Ceramics IL
Pottery, Maiolica, Faience, Stoneuiare, London 1976 C 107 pp.218-223) firmato FFF.

18 In entrambi i casi si tratta di grandi anfore su base sagomata triangolare con due anse a forma di arpia, recanti su un lato lo stemma della farmacia (ovvero del committente, l'aromatario Cesaro Candia), e sull'altro, entro un medaglione contrapposto, una scena istoriata.

 

schema decorativo deFontana, a medaglioni istoriati circondati da grottesche su fondo bianco, utilizzano le stesse fonti grafiche (ad esempio i disegni degli Zuccari) e le stesse forme ceramiche, complesse e ricche di applicazioni plastiche, dalle fiasche da pellegrino con le volute simmetriche e il tappo a vite ai grandi vasi con anse modellate e protomi leonine o mostruose. Nella commissione di vasellame da farmacia per il convento di Loreto subentrano ai Fontana, poiché la parte più tarda del corredo si deve alla loro bottega. È dunque probabile che esista una reale continuità fra le due botteghe. Alcuni documenti mostrano che Antonio Patanazzi era legato commercialmente e per vincoli matrimoniali ai Fontana!". Il 6 maggio 1560 sono menzionati come parenti dei figli di Nicola di Gabriele Sbraghe sia Orazio di Guido Fontana che Antonio di Giovanni Patanazzi-", e quest'ultimo può forse essere riconosciuto nell'Antonio da Urbino "maestro figulo da vasi" socio di Orazio per commissioni a Torino negli anni 1562-'64 (21). L'asse Fontana-Patanazzi è dunque protagonista a Urbino per tutta la seconda metà del 1500, e particolarmente per il periodo che ci interessa. Guido e Orazio tengono il campo fino verso il '70 per le commissioni più ricche, Antonio dei Patanazzi è probabilmente già attivo e collabora con loro. La produzione di altre botteghe non è facilmente individuabile, da qui la difficoltà di dare una collocazione esatta alle due crespine in esame. Allo stato attuale degli studi, esse ci sembrano appartenere a una fase tarda della bottega di Guido, ma non escluderemmo una fase precoce di Antonio Patanazzi.  È comunque importante ribadire il gruppo già individuato dalla Lessmann, arricchirlo di altri due interessanti tasselli, in attesa che emerga, dal mondo dell'antiquariato e del collezionismo privato o da qualche sconosciuto museo, un esemplare con scritta un'indicazione di appartenenza, che sciolga finalmente ogni dubbio.

 

19 Scatassa, Ercole, "Vasai di Urb19 Scatassa, Ercole “Vasai di Urbinoo che vi lavorarono: contributo alla storia delle majoliche nelle Marche", in Arte e storia 27, pp.168-169.

20 Gardelli, Giuliana, op. cit. p. 133. Negroni, Franco, "Nicolò Pellipario ceramista fantasma", in Notizie da Palazzo Albani, 1/1985 p. 19.

21 Gardelli Giuliana, op. cit. p. 131.


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