Carola Fiocco - Gherardi Gabriella. In I Della Rovere, Piero della Francesca Raffaello Tiziano, a cura di Paolo Dal Poggetto, Catalogo di mostra, Milano, Electa, 2004”, pp. 210-213 e schede relative nella sezione XII.
Casteldurante (attualmente Urbania)
Quando, nel 1508, alla morte di Guidubaldo di Montefeltro, Francesco Maria Della Rovere assunse il potere, Casteldurante vantava già una notevole tradizione ceramica. Il 1508 è anche la data riportata su una splendida coppa dedicata a papa Giulio II che si trova nella Robert Lehman Collection del Metropolitan Museum di New York. Sul retro, in blu, è la scritta "1508 adi 12 de seteb / facta fu i Casteldurat / Zoua(n) maria vro” (1). L'autore è dunque un vasaio di nome Giovanni Maria, a tutt'oggi piuttosto misterioso (2): sembra possibile attribuirgli, sulla base delle analogie stilistiche, soltanto un'altra opera, una coppa con la raffigurazione di un tritone che reca in groppa un fanciullo, oggi in collezione privata di Brema, e forse una serie di oggetti analoghi con uomini e donne illustri. Dopo la coppa di Giovanni (Zoan) Maria ritroviamo il nome della città su un vaso da farmacia di forma globulare, ornato a grottesche, che si trova nel British Museum di Londra (fig. 1). La scritta entro un cartello collocato fra i trofei attesta che l'oggetto fu realizzato l’11ottobre 1519 nella bottega di Sebastiano di Marforio in Casteldurante. Sebastiano era figlio di un ceramista locale, Antonio di Battista detto Marforio; fece una bella carriera, ricoprì numerosi incarichi e morì all'incirca nel 1541 (3). Un vaso gemello di quello del British, ma privo di scritte, si trova al Victoria & Albert Museum di Londra (4).
La fama di Casteldurante si basa tradizionalmente sull'istoriato. In realtà sembrerebbe che la maggior parte dei grandi maestri di istoriato durantini abbia operato in Urbino: basti pensare ai Fontana, originari di Casteldurante, forse i più importanti maiolicari urbinati del Cinquecento, e al pittore Francesco Durantino, che lavorò presso Guido di Merlino. Anche Sforza di Marcantonio de Julianis proveniva da Casteldurante (5), benché lavorasse a Urbino e Pesaro; durantini erano Baldantonio Lamoli, attivo a Venezia e a Pesaro (6), e quel Giovanni Luca che maestro Giorgio Andreoli chiamò presso di sé per dipingere istoriati nel 1525 (7), e che pare abbia tenuto bottega a Roma dalla metà del Cinquecento. ella città di origine tuttavia qualcuno rimane, per esempio un artefice di notevole qualità noto come "Pittore in Casteldurante (8), così chiamato convenzionalmente da ciò che è solito scrivere sul retro delle sue opere (9). Egli dipinge per lo più coppe su basso piede, le cui date vanno dal 1524 al 1526 (10). Un forte classicismo lo accomuna a Nicola da Urbino, tanto che un tempo fu anche chiamato Pseudo-Pellipario.
L'osmosi di artefici fra Casteldurante e Urbino rende difficile lo studio della produzione durantina. Di recente Timothy Wilson ha prodotto un elenco delle maioliche che recano il nome della città (11), per fissare una base sicura agli studi. Escludendo il "Pittore in Casteldurante", ve ne sono solo quattro a decorazione istoriata, datate fra il 1530 e il 1560 e, tranne che in un caso, la caratteristica che le accomuna è che non si discostano molto dalla maniera urbinate.
A lato dell'istoriato, è tradizionale ma ormai discutibile l'attribuzione durantina di una vasta categoria ceramica, quella delle "Belle", diffuse un po' ovunque nella maiolica rinascimentale, con particolare riguardo a Deruta e al Ducato di Urbino. Il più antico esemplare a noi noto è la "Faustina" dei Musei Civici di Pesaro, datata 1522: si può dunque supporre .che attorno a questa data il genere inizi la sua diffusione, continuando poi a lungo (12). Tale diffusione riguarda però con ogni probabilità non solo Casteldurante, ma anche tutti gli altri centri del Ducato.
Verso la metà del secolo emerge a Casteldurante un pittore di istoriati chiamato convenzionalmente "Andrea da Negroponte". Il nome compare dietro una coppa baccellata del Museo Statale d'Arte Medioevale e Moderna di Arezzo, e la sua attività è compresa all'incirca fra il 1550 e il 1565 (13). Egli dipinge con grande vivacità e disinvoltura ed è autore fra l'altro di un servizio vero e proprio, contrassegnato da uno stemma non identificato accompagnato dal motto "SAPIENS DOMINABITUR ASTRIS" (14). La sua maniera è riconoscibile anche su alcuni esemplari da farmacia prodotti da officine durantine. In questo periodo infatti i vasai forniscono a mercanti genovesi residenti in Sicilia quantità enormi di vasellame farmaceutico, interamente destinato all' esportazione (15).
Anche successivamente, negli ultimi decenni del Cinquecento, il vasellame da farmacia sembra rimanere una delle produzioni portanti della ceramica durantina. Assume però un altro aspetto, utilizzando come riempimento, attorno all' emblema della farmacia che spicca entro una zona risparmiata di colore giallo, un tessuto di trofei marrone-rossiccio su fondo blu, intercalati da nastri graffiti. Contestualmente, questi trofei circondano le tese di piatti e piattelli con al centro amorini intenti al gioco, velocemente schizzati su fondo giallo intenso. Trofei del genere compaiono nei frammenti di scavo (16); sono però stati trovati con caratteristiche simili anche nel sottosuolo di Pesaro (17), e ciò induce a pensare, anche in questo caso, che si tratti di un motivo diffuso un po' ovunque.
Gubbio
La ceramica di Gubbio (18) risale al XIII e XIV secolo,quando venivano prodotte le tipologie verdi e brune tardo medievali che emergono in abbondanza dal sottosuolo. Ancora per tutto il secolo successivo i reperti di sc cavo restituiscono frammenti tardo gotici di grande qualità, affini a quelli pesaresi, derutesi e faentini, ma con una loro specificità decorativa. Tuttavia la ceramca eugubina rimane nel complesso anonima fino al’arrivo di Giorgio Andreoli, la cui fama è dovuta all’invenzione, o comunque all'applicazione, di un lustro rosso rubino. Illustro è una metallizzazione dorata, ar:gentea o rossa, ottenuta mediante un impasto di ossidi di rame e di argento mescolati a ocra rossa o gialla e adaceto, applicato poi a pennello sul manufatto già decoratoe cotto. Questo subisce una terza cottura a temperatura più bassa (circa 620°), che rammollisce lo smalto sottostante e consente al lustro di attecchire. La maiolica acquisisce così grande risalto e un aspetto prezioso. La tecnica è di origine islamica e, a partire dalla metà circa del XV secolo, era già in uso a Derutacon ottimi risultati.
Originario di Intra sul lago Maggiore e residente in seguito a Pavia, Giorgio si era stabilito a Gubbio già prima del 1492, ma ottenne la cittadinanza soltanto nel 1498, assieme ai fratelli Salimbene e Giovanni. Rimane un mistero se avesse portato con sé da Pavia la conoscenza tecnica del lustro, come a lungo si è creduto, o se l'avesse appresa a Gubbio da ceramisti locali, come quel Giacomo di Paoluccio che pare ne fosse già esperto.
Le maioliche uscite dalla sua bottega rispecchiano quasi tutte le tipologie in uso nel Ducato, di cui Gubbio faceva parte. Inoltre, Giorgio assumeva abitualmente decoratori provenienti da Urbino e da Castel durante che operavano secondo la tradizione a loro familiare. Prevalgono dunque grottesche, trofei, palmette e istoriati e, dopo il 1530, le caratteristiche coppe abborchiate, con ornati a rilievo. Su tutto Giorgio applicava illustro, specie quello di un intenso color rubino al quale si deve la sua fama. Egli si rivelò abilissimo, colorando di rosso panneggi, monili e pavimentazioni, o lumeggiando qua e là con piccoli tocchi d'oro e d'argento. Il fondo dei piatti o le fasce di separazione fra tesa e cavetto venivano spesso campite con un lustro giallo-camoscio, simile all'oro vecchio. La sua eccezionale ablità lo portò in breve tempo ad arricchirsi e a divenire uno dei cittadini più eminenti di Gubbio. Suoi collaboratori, oltre al fratello Salimbene che morì nel 1533, divennero i figli Vincenzo e Ubaldo. Vincenzo soggiornò a lungo a Urbino, dove è probabile applicasse anch'egli illustro, siglando con una N (monogramma delle prime tre lettere del suo nome) gli istoriati eseguiti dai maggiori maestri, e con particolare frequenza quelli di Francesco Xanto Avelli. Rientrava però di frequente a Gubbio, per curare assieme al fratello la bottega paterna. Maestro Giorgio morì nel 1555, e i figli continuarono per un po' la sua opera. Il testamento di Vincenzo reca la data 1573, quando ormai la moda del lustro andava declinando un po' ovunque. In seguito, soltanto Vittorio de Floribus detto il Prestino sembra aver continuato la produzione di lustri a Gubbio, fin verso la metà degli anni ottanta.
Urbino
La maiolica di Urbino ricevette un impulso eccezionale con il rientro definitivo dall'esilio di Francesco Maria Della Rovere, per la presenza di una corte che richiedeva una produzione pregiata e forniva commissioni importanti. Pur praticando tutti i generi, le botteghe si specializzarono dunque in quello più difficile e raffinato di tutti, l'istoriato, per il quale venivano utilizzate le stampe più in voga, specie quelle del Raimondi e della sua scuola. Nell'agosto 1530 un agente di Isabella d'Este riferiva alla sua signora di aver visto, a Urbino, oggetti splendidamente dipinti "a paesi, fabuli et historie", degni dell'attenzione della marchesa di Mantova (19). In questo ambiente così stimolante, alcune botteghe si dimostrano infatti capaci di produrre "credenze" cospicue e di alto livello, destinate talora a principi e cardinali. Per far fronte alla richiesta i padroni delle botteghe impiegavano decoratori a contratto, quando non erano essi stessi capaci di dipingere. All'abilità dei maiolicari urbinati, forse a quelli attivi presso i Fontana, originari di Casteldurante, è dedicato probabilmente il famoso elogio del Vasari, che le
pitture sul vasellame" non sarebbono state
migliori, quando fussero state fatte a olio
da eccellentissimi maestri?"(20).
Il più noto fra quanti disponevano di
una propria bottega è Nicola di Gabriele
Sbraghe, nativo di Urbino, che si distingue per
la qualità eccezionale della sua pittura
821). Egli è infatti
sicuramente pittore, oltre che
padrone di bottega,
poiché almeno in un caso
dipinse presso un collega: nel 1528
infatti firmò un piatto col Martirio
di santa Cecilia nella bottega di Guido
Durantino (22).Oltre a questo, si conoscono
soltanto quattro esemplari variamente
firmati o siglati: un piatto nel
museo dell'Ermitage di San Pietroburgo con un
imperatore in trono (1521)
(23), un frammento con il Parnaso al Louvre (24), un
piatto nella chiesa di Santo
Stefano a Novellara con storie di
Giuseppe (25), e un piatto del British Museum di
Londra con Gli ateniesi
che sacrificano
alla dea Diana (26), Gli
vengono poi attribuiti alcuni grandi
servizi, nessuno dei quali
firmato o datato, fra cui quello
denominato "Correr" dall' omonimo museo
veneziano, dove si trova per la maggior
parte, dai toni azzurrati e ritenuto
il più precoce (1520?); quello
per Isabella d'Este-Gonzaga
marchesa di Mantova e suocera
del duca di Urbino (1525?)
(27), quello con le armi dei Calini di
Brescia (28). Gli appartiene anche, in parte,
il servizio recante lo stemma
di alleanza di Federico Gonzaga e
Margherita Paleologo,
databile all'incirca al
1531153 (29). Nicola morì nel
1537/1538, e la vedova affittò la
sua bottega a Vincenzo di Giorgio
Andreoli.
Come dice il suo nome, Guido Durantino
proveniva da Casteldurante, ma già
nel 1519 risulta residente in
Urbino. Professionalmente è il più
longevo fra quanti operavano nella maiolica:
morì infatti nel 1576, dopo essere stato a
capo di una fra le più operose e produttive botteghe
dell'epoca, che accoglieva commissioni da grossi
personaggi italiani e stranieri. È dubbio se dipingesse egli stesso
almeno parte delle sue
maioliche. Di sicuro assumeva personale a
contratto, per far fronte a
una mole di lavoro veramente
notevole. Anche Guido di
Merlino diresse con successo una propria
bottega, che ebbe la sua fase di massima espansione
all'incirca dal 1542 fino
al ISSI, quando sul retro di numerose
maioliche compare il suo
nome. Egli sembra specializzarsi in istoriati
con soggetti classici, per i
quali impiegava svariati pittori. Almeno tre
sono stati identificati
in base alle
caratteristiche di stile, fra
cui il più famoso è Francesco Durantino (30). La bottega di Guido passò, nel 1555, al nipote maestro Baldo di
Simone (31).
Al contrario dei precedenti, Francesco Xanto Avelli, nativo di Rovigo, fu soltanto un libero professionista della decorazione ceramica, che passava da un datore di lavoro all'altro. Egli appare assai legato al duca Francesco Maria Della Rovere, in onore del quale scrisse un' opera in versi, Il Rovere Vittorioso. Accanto a lui sono attivi a Urbino numerosi imita tori o discepoli, al punto che si può parlare di una vera e propria scuola di pittura ceramica (32).
Dopo la metà del secolo Guido Durantino assunse, per motivi che ci sfuggono, l'appellativo di Fontana, che trasmise ai figli. Il più famoso, Orazio, lavorò dapprima presso il padre, contrassegnando talvolta la propria opera col monogramma racchiuso entro un cerchio; poi, a partire dal 1565, si mise per conto proprio. Ai Fontana vennero affidate commissioni di grande prestigio, come il Servizio Spagnolo, destinato a Filippo II, e buona parte del corredo da spezieria per la Santa Casa di Loreto. Presso di loro pare venisse elaborato, dopo il 1560, uno schema decorativo destinato a un enorme successo nella maiolica urbinate, che vede l'istoriato, policromo o in monocromia, racchiuso entro una cornice circondata da grottesche su fondo bianco (o raffaellesche). Per queste ultime i Fontana si ispirarono almeno in parte alle incisioni delle "Petites Grotesques" di Iacques Androuet I Ducerceau, architetto disegnatore e incisore francese(33).
Ai Fontana si affiancano ben presto i Patanazzi, con cui erano imparentati. Verso il 1580 Antonio Patanazzi, figlio della sorella del maestro Nicola di Gabriele Sbraghe, esegue il grande corredo farmaceutico di Roccavaldina (Messina), di cui firma due vasi da parata (34). In quegli stessi anni esce dalla sua bottega il servizio "Ardet aeternum", così chiamato da una impresa di Alfonso II duca di Ferrara, cui collaborò ampiamente anche il figlio Francesco.
I Patanazzi condividono con i Fontana lo schema decorativo a medaglioni istoriati circondati da grottesche su fondo bianco, le fonti grafiche e persino le forme ceramiche. Francesco trasmise la bottega al figlio adottivo Alfonso; con il quale può dirsi conclusa, nel primo quarto del Seicento, la grande tradizione dell'istoriato urbinate.
1 “Fu fatta il 12 di
settembre 1508 in
Casteldurante, Giovanni (Zoan)
Maria Vasaro".
2 Per un'ipotesi
verosimile
sull'identità di
Giovanni (Zoan)
Maria,
S. Balzani,
M. Regni, La bottega di Ottaviano
Dolci e di Giovanni Maria Perusini
soci "in arte picture", in I Della Rovere
nell'Italia delle corti,
IV Arte della
maiolica, atti del
convegno (Urbania,
16-19 settembre
1999), a cura
di G.c. Bojani, Urbino 2002, pp.
51-52.
3 La ceramica
rinascimentale
metaurense,
catalogo della
mostra
(Urbania, Palazzo
Ducale, luglio ottobre 1982), a cura di C. Leonardi, Urbania 1982, pp. 160-16l.
4 Londra, The British Museum, inv. MLA1855,12-1,59, in T. Wilson, Ceramic Art of the ltalian Renaissance, London 1987, pp. 80-81,.117; Londra, Victoria & Albert Museum, inv. 1713-1855, in B. Rackham, Victoria and Albert Museum. Catalogue of Italian Maiolica, 2 volI., London 1940, n. 618.
5 'J.Y.G. Mallet,
Xanto: i suoi compagni e seguaci, in
Francesco Xanto
Avelli da
Rovigo, atti del convegno
internazionale di studi
(Rovigo,
Accademia dei Concordi, 3-4 maggio 1980), Rovigo 1988.
6 G.M. Albarelli,
Ceramisti pesaresi
nei
documenti
notarili
dell'archivio
di stato di Pesaro
sec. XV-
XVII, a cura
di P.M. Erthler, Bologna
1986;
R. Gresta,
Ne la botega de
Sebastiano de
Marforio: nuove
ipotesi sul Pittore
“In Castel
Durante", in
"Cerami- cAntica':
V, 7;
luglio-agosto
1995.
7 Per un'analisi della questione relativa alla presenza di Giovanni Luca nella bottega di Andreoli, si veda C. Fiocco, G. Gherardi, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Ceramiche umbre dal Medioevo- allo Storicismo, 1. Orvieto e Deruta, Faenza 1988, pp. 33-35.
8 R.Gresta, op. cit., pp. 33-53.
9 J.v.G.G. Mallet, Majolica at Polesden LaceyII: Istoriato wares and figures of birds, in "Apollo", novembre 1992 pp. 340- 341.
10) Per un repertorio delle opere
datate si veda G.
Ballardini, Corpus
maiolica
italiana,I. Le maioliche datate
fino al 1530,
Roma 1933.
11 T. Wilson, La maiolica a Casteldurante e ad Urbino fra il 1535 e il 1565: alcuni corredi stemmati, in I della Rovere nell'Italia delle corti, IV.
Arte della maiolica,
atti del convegno (Urbania,
16-19 settembre
1999), a cura di
G.c. Bojani,
Urbino 2002, pp.
131-138.
12 Sono datate
1546 due coppe
rispettivamente
nel
Kunstgewerbe-
museum der Stadt di
Colonia e nel
Victoria & Albert
Museum di Lon-
dra (in B. Klesse,
Majolika, Koln 1966, p. 157,
n. 290, e in B.
Rackham, op. cit.,
n. 590). Inoltre al
Victoria & Albert
Museum è anche una coppa
con immagine maschile,
"Francesco
D Lorenzo", datata 1559 (Ibidem, n.
592).
13 Cfr. per esempio J.
Lessmann, Herzog Anton Ulrich
Museum
Braunschweig, ltalienische
Majolika, Katalog der Sammlung.
Braunschweig 1979, nn.
102-121, e C.D. Fuchs,
Maioliche istoriate ri-
nascimentali del Museo statale d'arte
medioevale e moderna di
Arezzo,
Arezzo 1993, nn.
217-231.
14 A. Alciati, Emblemata, Venezia 1534.
15 G. Raffaelli,
Memorie istoriche delle
maioliche lavorate in Castel
Durante o sia Urbania, Fermo
1846, p. 59; A. Ragona,
Maioliche castel-
durantine del sec.
XVI per un committente
siculo-genovese, in
"Faen-
za", LXII, 5-6,1976,
pp.106-109.
16 A.L. Ermeti, Ceramica
da sterri a Casteldurante tra XIV e
XVII seco-
lo. Lo
studio dei
frammenti, in Disegni,
fonti, ricerche per la
maiolica
rinascimentale di
Casteldurante, a cura di G.c.
Bojani e j.T. Spike,
Ur-
bania 1997, p. 78,
fig. 81.
17 P. Berardi, L'antica maiolica di Pesaro, Firenze 1984, p. 297, fig. 89.
18 Per una sintesi della documentazione e della bibliografia specifica, si veda C. Fiocco, G. Gherardi, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, Ceramiche umbre dal Medioevo allo Storicismo, Il. Gubbio, altri centri, lo Storicismo, Faenza 1989, e C. Fiocco, G. Gherardi, Museo Comunale di Gubbio, Ceramiche, Perugia 1995.
19 G. Vitaletti, Francesco Xanto Avelli, Urbino 1912, p. 7, nota 2.
20 G. Vasari, Le vite
de' più eccellenti pittori, scultori ed architettori ... di
nuOvo
ampliate (Per i Tipi dellaGiunti, Firenze
1568), in Le opere
di Giorgio Vasari, a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1878-1885, p. 581.
21 F. Iegroni, Nicolò Pellipario ceramista fantasma, in "Notizie da Palazzo Albani", I, 1985.
22 G. Conti, Catalogo
delle maioliche.
Museo azionale, Palazzo del
Bargello, Firenze 1971, n. 16.
23 Inv. F 363, in A. . Kube, Italian Majolica XV-XVIII Centuries, Leningrad State Hermitage Collection, Moskva 1976, p. 58.
24 Inv. OA 1244, in J. Giacomotti, Catalogue des majoliques des mu-
sées
nationaux. Musées du Louvre et de Cluny, Musée national
de cé-
ramique à Sèvres, Musée AdrienDubouché à
Limoges, Paris 1974,
n.829.
25 F. Liverani, Sei maioliche del
Rinascimento
italiano:
preliminari al-
lo studio
delle iscrizioni nell'istoriato ceramico, in
Italian Renatssance
Pottery. Paper Written in
Association with
a Colloquium at the
Briti-
sh
Museum, atti del
convegno (Londra, settembre
1987), a cura
di T.
Wilson, London
1991, p. 49, figg. 2, 3.
26 Inv. MLA 1855, 3-15, 23, in T. Wilson, Ceramic Art, cit., p. 50, n. 63.
27 J.V. G. Mallet, The Gonzaga and Ceramics, in Splendours of the Gon-
zaga, catalogo
della mostra
(Londra, Victoria &
Albert Museurn, 4
novembre 1981 - 31 gennaio
1982), a cura di D.
Chambers e j. Marti-
neau, London 1981, pp.
39-40.
28 Molti esemplari
del Calini si trovano nel
Roya! Scottish Museum
di
Edimburgo (inv. 1897-327 boe, in
C. Curnow, Italian Maiolica in the
National Museum of Scotland, Edinburgh 1992, nn. 63-66). Un
piatto con
lo stemma
Valenti Gambara si trova
a Milano, Castello
Sforzesco (inv. M 131, in
G. Biscontini Ugolini, I, Petruzzellis
Scherer, Maiolica e incisione. Tre
secoli di
rapporti iconografici, Vicenza
1992, p. 44, n.
7).
29 Si veda la scheda inJ.V.G. Mallet, The Gonzaga and Ceramics, cit., p.
198.
30 T. Wilson, The maiolica-painter Francesco Durantino: mobility and
collaboration in
Urbino istoriato, in Ceramica
italiana. Die italienischen
Fayencen der Renatssance und ihre Spuren in
internationalen Museumsammiungen. Wissenschaftliche Beibiinde
zum Anzeiger
des Germanischen Nationalmuseums atti del convegno,
a cura di S. Glaser ( orimberga 2001), XXII, nurnberg in corso di stampa.
31 G. Gardelli, Italika. Maiolica italiana del Rinascimento. Saggi e studi, Faenza 1999, p. 233, nella quale l'autrice cita come fonte della notizia don Franco Negroni.
32 J.V.G. Mallet, Xanto, cit.
33 C. Poke, [acques Androuet I Ducerceau's "Petites Grotesques" as a
source far Urbino maiolica decoration, in "The Burlington Magazine': giugno 2001, pp. 332-342.
34 In entrambi i casi
si tratta di
grandi anfore su base
sagomata
triangolare
con due anse a forma di
arpia, recanti su un lato
lo stemma della
farmacia (ovvero del
committente,
l'aromatario Cesaro
Candia), e
sull'altro, entro un
medaglione
contrapposto, una scena
istoriata.