Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in "Faenza", bollettino del Museo internazionale delle ceramiche in Faenza, LXXXII, 1996, IV-VI, pp.145-150.
Abbiamo avuto di recente occasione di esaminare una coppa istoriata a lustro, proveniente dalla collezione di un barone de Rotschild, come testimonia una vecchia etichetta, e attualmente ancora in proprietà privata. A parte il pregio intrinseco, l'esemplare è importante perché contribuisce all'individuazione di un decoratore che usa come sigla l'iniziale "S", e di cui vorremmo qui raggruppare alcune opere sicure che contribuiscano a definirne la maniera.
La coppa (Tav. LI a, b), su basso piede, è "istoriata": sulla sinistra l'imperatore Tiberio è seduto su un basso trono addossato a una colonna, cui è abbracciato un giovane. Al centro due armigeri conversano fra loro, indicando un uomo barbuto e un giovane in armatura, che a loro volta indicano in direzioni contrapposte. Lo sfondo è costituito da una solenne arcata che si apre su un paesaggio, nel quale è possibile distinguere uno specchio d'acqua e una lontana città ai piedi di un promontorio roccioso. I colori, assai vivi, sono rialzati dal lustro rosso e oro. Nella parte posteriore (Tav. LI b), al centro, sotto la base, è tracciata una "N" a lustro, quindi, in blu, la frase, in elegante corsivo, "Como tiberio fe/ tributare tuta la/ sia" (Come Tiberio fece tributare tutta l'Asia), sotto la quale è la lettera "S". Tutt'attorno, si svolgono quattro girai i ricurvi a fogliette, inframmezzati da motivetti che fungono da riempitivi, eseguiti in lustro rosso e oro (1). La scena è tratta da un'incisione della Storia Romana di Dione Cassio Cocceiano (Tav. LI c), storico greco vissuto tra il 150 e il 235 circa, nell'edizione veneziana del 1533 (2). Nel testo, l'incisione riguarda in realtà l'imperatore Caligola, la cui vita viene narrata nel libro LVIII, mentre la vita di Tiberio è nel libro precedente. La scritta sul retro del piatto indica però che il maiolicaro se ne è servito per illustrare un episodio relativo a Tiberio, che in Oriente ebbe il merito di trasformare in province romane gli stati vassalli di Cappadocia e Commagene. Protagonista dell'impresa fu il nipote Germanico, che proprio in Asia improvvisamente morì. Qui evidentemente Tiberio riceve i messi di Cappadocia, e impone la propria volontà. Nel trasporre l'incisione sul piatto sono state apportate modifiche sia alla posizione di alcuni personaggi che allo sfondo, nel quale l'arcata è stata completata e arricchita. Inoltre, benché il modello grafico sia già di per sé piuttosto evoluto e classicheggiante, esso è stato interpretato in modo da avvicinarlo ulteriormente alla maniera di Marcantonio Raimondi, grande divulgatore di Raffaello e fonte preferita dei maiolicari urbinati della prima metà del secolo XVI, in particolare di quelli dell'ambito di Nicola da Urbino e di Francesco Xanto Avelli.
Alla ricerca di un repertorio ragionevolmente sicuro dell'autore, ci sembra di poter cominciare con una coppa di simile formato, anch'essa a lustro, con Diana che saetta le figlie di Niobe, nelle collezioni del Petit Palais di Parigi (Tav. LII a, b).
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(1) Vi sono incollate tre etichette, di cui una rotonda vuota, una rettangolare con stampata la scritta "A. de R. / N°", sormontata dalla corona baronale, e una terza ottagonale con la scritta a inchiostro in corsivo "907 / Castel Durante / Gubbio / (368)".
(2) Si tratta dell'incisione contrassegnata kkiiii, pagina CCLX, che illustra il libro LVIII. Il titolo esatto dell'opera è "Diorre / Historico delle Guerre § Fatti de Roma / rii: tradotto di Greco in lingua uulga / re, per M. Nicolo Leonìceno. Con le sue figure a' ogni libro, opera I nuouamente uenuta in lu I ce, ne più in lingua ali cuna stampata", MDXXXIII, stampato da Nicolaus Zopinus de Ristotile de Ferraria.
La scritta sul retro, "Le sette figlio/le di niobe", è tracciata nella identica calligrafia che commenta la coppa di Tiberio.
Questa volta non compare la sigla, ma le affinità stilistiche sono tali da non consentire a nostro avviso alcun dubbio. Altrettanto certo e ancor più interessante è un piatto con il rapimento di Ganimede (Tav. LII c, d), conservato a Venezia presso il Museo Correr, nel quale la scena è tratta da un'incisione del Maestro "IB dall'Uccello", con qualche modifica. Sul retro, sotto la data "1538" e la scritta "Ioue et ganim/ede", la "S" in blu si intreccia alla "N" a lustro. Anche qui la calligrafia è la stessa, mentre la presenza della data fornisce un preciso punto di riferimento cronologico anche agli altri esemplari.
Aggiungeremmo poi la coppa con
la scena biblica di
Giuditta che mette la
testa di Oloferne
nel sacco retto da
un'ancella (Tav. LIII a, b), in
collezione
privata. La coppa è
stata ritagliata,
per cui risulta
attualmente assai più
piccola che in
origine. Sul retro, entro
racemi a lustro arricciati
simili a quelli degli esemplari
precedenti, è la scritta
"iudita ebrea la sagia
Chasta e forte",
accompagnata dalla
lettera "S" in blu (3).
E' questa l'opera
che risente
maggiormente
l'influenza
dell'Avelli, e forse la
più tarda di questo piccolo
nucleo di oggetti, che ci
sembra assolutamente
omogeneo e sicuro. Non
soltanto è siglato, a
parte la coppa con le
figlie di Niobe, ma i
riscontri stilistici sono
precisi, e la calligrafia sul
retro corrisponde
pienamente. Le
lettere sono tracciate
con cura, ben allineate,
le "t" col taglio basso e
sostenute da un
trattino orizzontale alla
base, le "s" e le
"f" e le maiuscole
che si allungano invadendo
la fila di sotto, le
lettere alte con una decisa
tendenza a inclinarsi in
avanti. Le forme sono
due, entrambe
frequenti nella
maiolica urbinate: un
piatto dalla tesa
ampia, in cui il passaggio
al cavetto non
interrompe la
decorazione, e una coppa su
basso piede, piatta e che si
rialza appena ai bordi.
E; probabilmente possibile ampliare ulteriormente il repertorio, ma non su basi così certe.
Aggiungeremmo, ad esempio, un esemplare a lustro proveniente dalla collezione Robert Strauss (Tav. LIII c), posto in vendita da Christie's nel 1976 (4), con Tiberio in trono che riceve i messi di Cappadocia. Pur dovendoci limitare all'esame di una foto del tutto inadeguata quale è quella del catalogo, che per di più non riporta il retro, ci sembra che la coppa rappresenti una versione piùrascurata, e tuttavia della stessa mano, di quella alla Tav. Lla di cui ripete puntualmente l'iconografia. Prenderemmo poi in considerazione anche un'altra coppa, proveniente dalla collezione Scott Taggart, con la raffigurazione di Tiberio in trono dinnanzi al quale viene condotto prigioniero il re di Cappadocia Archelao, accusato di ribellione (Tav. LIV a, b) (5), tratta anch'essa da Dione Cassio (6).
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(3) E' tratta dalla
stessa fonte grafica la scena su un
piatto dell'Herzog
Anton Ulrich di
Braunschweig (inv. nr. 9,
in]. LESSMANN, Herzog Anton
Ulrich
Museum
Braunscbuieig.
Itaiientscbe
Majolika. Katalog
der Sarnmlung.
Braunschweig
1979, n.492), che
reca sul retro la scritta
"Judith Hebrea.
la/Saggia casta et
forte/
.1575.1.S.",
e che è attribuito a
Sforza di Marcantonio. La
scena si ripete anche su una
coppa del Petit Palais di
Parigi, inv. Dutuit
n. 1081, in C.
]oIN-DIETERLE, Musee du
Petit Palais, Catalogue de
ceramiques l,
Hispano-mauresques,
rnajoliques
italiennes, Iznie, des
collections
Dutuit, Ocampo et Pierre
Marie, Paris 1984, n.69,
p.212.
(4) Tbe Robert Strauss Collection of Italian Majolica, ori monday, fune 21, 1976, n.42, p.7I. Sul retro la scritta è, secondo la trascrizione del catalogo d'asta, "Fa dnr De Cusfunn di Tiberie § chome la cappodocia fu sotto posta a limpero romano".
(5) CHRISTIE'S, Tbe Scott
Taggart Collection oj
Italian Majolica, Monday,
April14, 1980, n.21,
p.44.
(6) Si tratta
dell'illustrazione
contrassegnata kkiii
Sul retro è la scritta "Chomo tiberio fe
tribu/taia tuta
lasia", sotto la
quale è tracciata
quella che sembra la lettera "S", ma
con la parte inferiore che si prolunga. A
parte l'incertezza della
sigla, e benché lo stile
ci sembri quello delle opere
precedenti, bisogna ammettere
che la scrittura pur somigliando
molto non è identica, avendo
le "e" una
piccola appendice che altrove non
compare (7).
Un problema a parte è infine costituito, come vedremo, dal "Teasel service", di cui due piatti, uno nella National Gallery di Washington con la scena di Ero e Leandro (Tav. LV c, d), datato "1538" (8), l'altro nel Victoria and Albert di Londra con Giuseppe e la moglie di Putifarre sono siglati da "S" (la "C" rovesciata sotto l'iscrizione del piatto di Washington non è altro che la parte inferiore della "S") e l'argomento tracciato nella sua calligrafia, già messa dal Wilson in relazione a quella sulla coppa con le Figlie di Niobe del Petit Palais, mentre la pittura è un esempio di contaminazione stilistica.
Come risulta evidente dalle forme,
dai colori e persino dalla scelta
dei terni e delle fonti grafiche,
dalla libertà con cui è
trattato il modello e dal tipo di
iscrizione sul retro, "S"
appartiene a un ben definito gruppo di
decoratori attivi a Urbino negli anni
1530-40. Essi si muovono all'ombra
della corte ducale di Francesco Maria
della Rovere, e subiscono
l'influenza congiunta di due fra i maggiori protagonisti
dell'istoriato urbinate dell'epoca: Nicola di
Gabriele Sbraghe, morto nel 1538, e Francesco Xanto
Avelli,che a
partire dal
1530 è presente nella città. Il
gruppo fu identificato da john
Mallet in una relazione al
convegno di Rovigo sull'Avelli nel
1980, dal
significativo titolo
"Xanto: i suoi compagni e
seguaci" (9). Ne fanno parte il Pittore del
Marsia di Milano, attivo fra il 1525
e il 1535 circa, forse il più
vicino a Nicola; Francesco
Urbini (circa 1525-37), che dopo una fase
urbinate si sposta a Deruta e a Gubbio; il pittore
"L", o "LV VR"; Giulio da
Urbino; i pittori "P" e "B";
il pittore "Mazo", in
seguito forse emigrato nel Veneto, e
Sforza di Marcantonio da
Casteldurante. Essi rielaborano i modi di
Nicola e di Xanto, loro costanti punti
di riferimento,
legandosi forse più al secondo nella
scelta dei temi e nel tipo di iscrizioni sui
retri, e l'edizione di Dione
Cassio del 1533 è fra le fonti di cui
dispongono per le loro scelte iconografiche. Il pittore "S" ci sembra invece particolarmente vicino a
Nicola e al Pittore del Marsia di Milano: i visi sono a mandorla, con nasi diritti ed espressione nel complesso
dolce, le membra forti hanno
giunture strette, le ginocchia sono
ben contrassegnate. Il paesaggio è
caratterizzato da basse
montagne a tronco di cono
azzurre, alle quali si addossano gli
edifici di lontane città e ai cui piedi si
stendono bracci lacustri. Il
suolo è ondulato con
rocce nerastre e alberi serpentiformi
dalla ricca chioma "a cavolfiore".
Talvolta il lustro delinea un
grande sole al tramonto sullo sfondo,
mentre le nuvole assumono spesso
l'aspetto di matasse
spiraliformi. Le architetture
in primo piano sono marcatamente classicheggianti, con
colonne, lesene e cornici ben
evidenziate. Si tratta di
caratteri che,
genericamente parlando, sono comuni a
tutti i decoratori del gruppo.
Tuttavia "s" li elabora in
modo molto personale, e di conseguenza è
riconoscibile fra gli altri.
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(7) Se anche questa coppa
appartiene al nostro
pittore, essa pone in maniera
evidente il problema del
rapporto col "Pittore del
Marsia di Milano",
cui va attribuita una
coppa in tutto simile dell'
Ashmolean Museum di Oxford,
siglata anch'essa con una
specie di "5" prolungata. La vicinanza
stilistica delle due
raffigurazioni è
notevole, e denota lo
stesso ambito.
(8) R. DISTELBERGER, ET AL., Western Decorative Aris, Pari l, National Gallery of Ari, Washington, Cambridge University Press 1993, scheda p.2IO, a cura di Timothy Wilson.
(9) In: Francesco Xanto Avelli da Rovigo} Atti del Convegno Internazionale di Studi} Accademia dei Concordi, Rovigo, 3-4 maggio 1980, Assessorato alla Cultura e Centro Polesano di studi storici, archeologici ed etnografici, Rovigo 1988, pp.67-108
Il problema di una presenza ingombrante dell'Avelli si pone invece per il "Teasel service", in cui
la maniera del rodigino e quella di "S" appaiono inscindibili, indicando una collaborazione molto stretta all'interno della stessa
opera. La presenza di Xanto prevarica in gran parte "S", anche se,
come abbiamo visto, è quest'ultimo a porre la
propria sigla. Una possibile spiegazione è che l'esecuzione sia interamente sua, e che abbia volutamente imitato la
maniera altrui, oppure che sia stato condizionato dall'uso degli spolveri di Xanto. Del resto, un'osservazione
attenta consente di recuperare i caratteri del suo stile, al di là delle apparenze xantiane, a cui sfuggono specialmente i particolari e le figure di contorno.
Per quanto riguarda illustro, esso è stato applicato dal maestro "N", la cui sigla compare spesso sulle opere dell'Avelli e dei suoi seguaci, che sembrano rivolgersi di preferenza a lui per impreziosire con l'oro e col rubino i propri pezzi.
Il maestro "N" non è Giorgio Andreoli, ma sicuramente è legato alla sua bottega,
visto che le sigle congiunte sua e di Giorgio compaiono su una coppa dell'Hermitage del 1537 (Tav. LVII a, b). Si tratta
probabilmente del monogramma di Vincenzo Andreoli, uno dei figli di Giorgio, le cui prime tre iniziali potrebbero esservi sintetizzate. I
documenti pubblicati da Franco Negroni confermano la presenza di Vincenzo a Urbino in quel periodo (10).
Risulta infatti da essi che nel 1538 affitta dalla vedova di Nicola di Gabriele la bottega del maestro ormai defunto. Più tardi inoltre acquisisce la cittadinanza
urbinate, e soltanto nel 1546 lo ritroviamo a Gubbio, intento a spartirsi col fratello Ubaldo le competenze
relative alla bottega paterna. Si potrebbe quindi concludere che fino verso il 1537 Vincenzo divida la sua attività fra Gubbio e Urbino, e che
solo nel 1538 decida di stabilirsi a Urbino con una propria bottega. Con l'esperienza appresa presso il padre, è probabile che anche qui egli si dedichi ad
applicare il lustro sui manufatti locali,
evitando la necessità di farli spedire a Gubbio. Il maestro "N" prosegue l'abitudine di Giorgio di
dipingere sui retri racemi fogliati disposti più o meno a spirale. E' interessante osservare che quelli dipinti sugli esemplari del
pittore "S", e su numerosi altri, assumono
spesso un caratteristico andamento e una stilizzazione inconfondibile: sono schizzati, un po' disordinati, con riccioletti e ghirigori che talvolta richiamano lettere di
un alfabeto fantastico, e che danno l'impressione di una mano veloce e imprecisa, e tuttavia sicura di sé: le
fogliette si incurvano e si sovrappongono liberamente agli steli, che terminano con ciuffi a felce. I riempitivi assumono talvolta l'aspetto
della lettera "P" incurvata all'indietro e rovesciata, virgole o foglie a tre lobi.
Difficile dire se sia la mano di Vincenzo a schizzare questi inconfondibili racemi, di sicuro essi compaiono nella
bottega subito dopo il 1530,
e perdurano fin verso il 1540, associandosi sia alla sigla di Giorgio che a quella di "N", e sono
del tutto indipendenti da chi ha dipinto il resto dell'ornato (11).
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(10) F. NEGRONI, Nicolò Pellipario: ceramistafantasma, in
"Notizie da Palazzo Albani-, I, 1985, pp. 13-20.
(11) Sono particolarmente frequenti dietro istoriati di fattura urbinate ma anche di probabile fattura eugubina, come nel caso di alcune coppe con "Belle". I
racemi schizzati si trovano, ad esempio, in un esemplare del servizio Pucci eccezionalmente a lustro, datato
"1532" (New York, Metropolitan Museum, Lehman
collection, inv. 1975.1.1131, in J.
RASMUSSEN, Italian Majolica in tbe Robert Lehman Collection, The
Metropolitan Museum of Art in Association with the Princeton University Press, New York 1989,
n.80, p.138), sul quale l'insolita cura con cui sono tracciati non nasconde però alcuni caratteristici elementi, nonché su due piatti
datati 1540, rispettivamente nella Wallace Collection di Londra e nelle collezioni del
Louvre (Londra, Wallace Collection, inv. III A 58, in A. V.
B. NORMAN, Catalogue of Ceramics 1, Pottery,
Maiolica, Faience,
5toneware, The Trustees of the Wallace Collcction, London 1976, n.
C120, p.245; Parigi, Museo del Louvre, inv. OA 1849m, in J.
GIACOMOTTI, Catalogue des majoliques des musées nationaux, Ministère des
Affaires Culturelles, Edition des musées nationaux, Paris 1974, n.904, p.286)
Tornando al pittore "S", è possibile individuarlo fra gli altri? La sigla sembra ricondurre a Sforza di Marcantoniode Julianis, che anche in seguito firmerà così
la sua opera. Il pittore Sforza è da sempre noto per la seconda fase della sua attività, quella che si svolse a Pesaro a partire dal 1550 - la prima notizia della sua
presenza nella città
marchigiana è infatti del gennaio di quell'anno (12) - fino alla morte, avvenuta all'incirca nel 1580. Ci risultano da lui firmate per esteso
soltanto due targhe : la prima, con la Pietà, si trova nel Museo Civico Medievale di Bologna (13), ed è datata "1567". La seconda, con
l'Annunciazione, è conservata a Londra, nel British Museum (14), ed è datata come la precedente. Vengono
inoltre concordemente attribuiti a lui alcuni istoriati eseguiti fra il 1561 e il 1576 e marcati con l'iniziale "S", il cui stile presenta affinità con quello delle targhe
(15). Tuttavia, quando giunge a Pesaro, Sforza è latore di una forte influenza urbinate, che ben si distingue dalla tradizione locale
dell'istoriato. E, poiché era nativo di Casteldurante, il Mallet ritiene più che ragionevole un suo primo periodo di attività nella città
natale e a Urbino, dove i vasai durantini si trasferivano di frequente e dove avrebbe potuto per l'appunto operare a contatto colla bottega
dell'Avelli, assimilandone le caratteristiche. Nella ricerca di questa produzione precoce di Sforza, l'attenzione del Mallet è attratta in particolare dalla coppa
istoriata del Museo civico medievale di Bologna con il Sogno di Costantino, datata "1544" (Tav. LV a, b) e
da una con Cupido condotto a Didone del Victoria and Albert di Londra, datata "1545" (Tav. LV c, d) A suo avviso, esistono validi motivi stilistici per sostenere una loro
attribuzione a Sforza, e questo trova conferma in una coppa di recente passata per il mercato antiquario (16) (Tav. LVI a, b) con la raffigurazione degli Dei a banchetto serviti
da satiri, estremamente vicina a quella col Sogno di Costantino, e dunque databile attorno al 1544, siglata con la lettera "S". Sul retro ricompare la stessa calligrafia della coppa di Tiberio e
del suo gruppo nella dicitura "La bella ciena de li dei", con la
caratteristica inclinazione delle lettere alte. Anche esaminando lo stile della decorazione non vediamo contraddizioni, ma soltanto evoluzione. Alcune fisionomie persistono addirittura quasi
immutate, come quella del vecchio barbuto sulla destra del banchetto degli dei, che ci sembra la replica di quello nella coppa con Tiberio, oppure il giovane che fugge
alzando le braccia nel piatto del "teasel service"di Washington, che verrà ripreso assai simile, anche se in un'altra posizione, nel piatto con Cupido condotto a Didone
di Londra.
Assai meno facile è il confronto con le due targhe firmate, che appaiono note~olmente diverse, e con la serie a loro correlata. Non bisogna però dimenticare che mentre la coppa di Tiberio va datata verso il 1538, le targhe sono del 1567, eseguite in un'altra città, cosa che può a nostro avviso giustificare sia l'evoluzione stilistica che il cambio di tavolozza.
Concludendo, con tutte le cautele del caso e in attesa di ulteriori conferme ci sentiremmo di proporre la seguente ipotesi. Il gruppo di opere che fanno capo alla coppa con Tiberio rappresenterebbe la prima fase identificabile dell'opera di Sforza, databile attorno al 1538, quando egli è a Urbino, a
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(12) G. M. ALBARELLI, Ceramisti pesaresi nei documenti notarili dell'Archivio di Stato di Pesaro, sec. XV-XVII, a cura di Paolo M. Erthler, Centro di Studi O.S.M., Bologna 1986, documento n. 1736, p.386.
(13) Inv, 971.
(14) MLA 1893, 6-14, 2.
(15) Cfr. ad esempio quelli conservati nell'Herzog Anton Ulrich Museum di Braunschweig, illustrati in].LESSMAN, op.cit., nn. 486-496.
(16) SOTHEBY'S, Die Sammlung der Markgrafen und Grossberzoge uon Baden, Neues Schloss, Baden-Baden, 6-7 ottobre 1994, n.751.
stretto contatto con l'Avelli e i suoi collaboratori, e impreziosisce i propri pezzi con il lustro. Segue una seconda fase, anch'essa urbinate, cui appartengono la coppa con il sogno di Costantino di Bologna, il piatto con Cupido condotto a Didone del Victoria and
Albert, datati rispettivamente "1544" e "1545", e la coppa di Baden Baden. Il maestro continua a siglare con la iniziale del proprio nome, lo stile inizia ad evolversi, pur rimanendo riconoscibile. Non ricorre più al lustro, ma si attiene alla semplice policromia a gran fuoco.
La terza fase è quella pesarese, a partire dal 1550. Sforza prosegue a siglarsi "S", ma la formazione urbinate è più lontana, l'ambiente e la bottega sono cambiate, e questo spiega le diversità.
L'identificazione del gruppo di opere legato alla coppa di Tiberio porta con sé un'interessante appendice. La stilizzazione dei visi, in particolare di quelli femminili, richiama infatti da vicino una serie di "Belle" di ben definita tipologia, quasi sempre a lustro, cui appartengono, ad esempio, la "CAMILLA .BELLA." dell'Hermitage di San Pietroburgo (Tav. LVII a, b), la "LVCRETIA .M." del museo del Petit Palais di Parigi (Tav.LVII c), la "DIANIRA .BELLA." del museo di Sèvres (Tav. LVII d). Le date più o meno coincidono con la prima attività di "S", come pure i racemi schizzati sul retro. Difficile dire se siano state eseguite a Urbino o a Gubbio, probabilmente in entrambi i luoghi. Ci sembra però che esse rappresentino una ulteriore testimonianza della collaborazione fra il maestro "S" e gli Andreoli, nel periodo in cui i maestri di istoriati urbinati amavano molto arricchire le proprie opere con il lustro.
CAROLA FIOCCO - GABRIELLA GHERARDI
Le autrici ringraziano vivamente Iohn Mallet per le segnalazioni e i consigli ricevuti
The Painter "S" and the Tiberius Dish.
An examination of a dish with the scene of
Tiberius Receiving the Ambassadors of
Cappadocia and signed "S" has enabled
us to identify a group of works by the same hand,
frequently signed in the same manner,
and carri ed out ca. 1538-1540 in Urbino.
The Painter "S" belonged to the circle of Nicola di
Gabriele and Francesco Xanto Avelli, in that he shows
stylistic links to both painters. He may be identified with
Sforza di Marcantonio da Casteldurante at an early
point in his career. Sforza generally
signed
with his first initial, even after his transfer to
Pesaro in 1550.
Der Maler "S" und der Tiberius Pokal.
Bei der Untersuchung eines Pokals mit der Abbildung
von Tiberius, der die Gesandten aus Cappadocia empfangt und der mit "S''
unterzeichnet ist, konnten wir
eine Gruppe von Werken herausfinden, die
auf die selbe Art geformt und unterzeichnet sind und in den Iahren 1538-1540 in
Urbino ausgefuhrt wurden. Der Maler
"S" gehort zu dem Kreis um Nicola di Gabriele und Francesco Xanto
Avelli, denen er vom Stil her nahesteht. Es konnten die ersten Werke von Sforza di
Marcantonio aus Casteldurante sein, da er fur gewohnlich auch nach seinem Umzug nach
Pesaro, 1550, mit dem Anfangsbuchstaben seines Namens
unterzeichnete.
Le peintre "S" et la coupe de Tibère.
L'examen d'une coupe représentant Tibère qui reçoit les
envoyés de Cappadoce, signée "S" nous a permis
d'individualiser un groupe d'oeuvres de la mème main
et souvent siglées d'une façon analogue, exécutées
vers 1538-40 à Urbino. Le peintre "S"
appartient à
l'entourage de Nicola di Gabriele 'et de Francesco Xanto Avelli, dont il
se rapproche stylistiquement. Il pourrair s'agir de Sforza di Marcantonio
de Casteldurante à ses débuts, cet artiste signe habituellement de ses
initiales, mèrne après son transfert à
Pesaro.