C.F & G.G.
Nella sua “Istoria delle pitture in majolica fatte a Pesaro e nei luoghi circonvicini” il Passeri cita un passo assai importante di una fonte cinquecentesca, la “Cronica generale di Spagna” di Antonio Beuter, pubblicata a Valenza nel 1546. e dieci anni dopo a Venezia da Gabriele Giolito, in traduzione italiana (1).
Il Beuter, riferendosi a certi vasi di produzione spagnola, dice che neppure Corebo li fece migliori, “ne furono di piu valore i vasi dei Corinti, né l’opere di Pisa. né di Pesaro, ne li Castelli della Valle Siciliana d’Abruzzo, ne d’altri luoghi in sottigliezza di lavoro. ne bellezza”.
Naturalmente il Passeri citò la fonte in relazione a Pesaro, ma non sfuggì che essa esaltava indirettamente anche la produzione di Castelli d’Abruzzo in un’epoca. la prima metà del secolo XVI, in cui era pressoché sconosciuta e non godeva alcun credito presso gli storici della ceramica.
Il brano fu quindi riportato da Concezio Rosa, storico di Castelli, il quale possedeva un mattone con la firma di Tito Pompei e la data 1516 su cui attualmente si avanzano dubbi, ed aveva molte ragioni di sospettare una grossa produzione cinquecentesca di Castelli, anche per l’importanza economica e sociale della famiglia dei maiolicari Pompei; non era però in grado di indicarne se non scarse testimonianze ceramiche, sostanzialmente i mattoni del primo soffitto di S. Donato e le targhe attribuite a Orazio Pompei, datate rispettivamente “1551” e “1556” (2) (Tav. XCIVa).
Proponendo. nel Convegno sulla ceramica di Castelli del 26 agosto 1984, l’attribuzione al centro abruzzese della tipologia di vasi da farmacia detta “Orsini-C olonna”, abbiamo inteso in parte colmare un’enorme lacuna nella storia della ceramica castellana, e trovare finalmente adeguata collocazione a una travagliata serie di vasi, tanto importante qualitativamente e numericamente, quanto estranea a ogni contesto in cui si cercava di inserirla, particolarmente a quello faentino (3).
Un altro importante tassello del mosaico e stato posto dalla dr. Ravanelli Guidotti, con l’attribuzione a Castelli dei vasi a fondo blu intenso e decorazione compendiaria in bianco o oro, databili alla seconda metà del secolo XVI (4). Se a queste ben note maioliche aggiungiamo la mole di frammenti scavati dall’Archeoclub di Pescara, sotto la guida di Claudio De Pompeis e Giulio De Collibus, e i mattoni da poco ritrovati provenienti dal primo soffitto della chiesa di S. Donato, ci sembra che l’allusione di Antonio Beuter riacquisti tutto il suo valore: la produzione cinquecentesca di Castelli risulta ormai di mole ragguardevole. e tale da poter degnamente costituire un termine di paragone in un discorso di argomento ceramico.
Quanto al corredo “Orsini-Colonna”, non vogliamo qui soffermarci ancora sul problema attributivo, che ci sembra sia stato sufficientemente esaminato sia nel corso del convegno sia nell’ulteriore trattazione che dell’argomento ha fatto il dr. De Pompeis che, con notevole ricchezza di materiale fotografico, ha reso ancora più evidenti quelle che spesso non sono semplici analogie o somiglianze, ma puntuali identità (5). Sono ben poche le attribuzioni ceramiche che possono vantare una così cospicua e convincente quantità di riferimenti stilistici e iconografici, convalidati inoltre dalla presenza, su uno dei vasi, dell’antico stemma di Castelli, e del nome di Orazio Pompei su almeno altri due (6).
Tuttavia, se ormai il problema attributivo può dirsi superato, ve ne sono altri di ben più difficile soluzione, in particolare quello della datazione, tradizionalmente ancorata al 151I, anno della “pax romana” fra gli Orsini e i Colonna, celebrata con una medaglia in cui un orso abbraccia una colonna.
Un orso che regge una colonna si trova anche nel vaso del British Museum di Londra che ha dato il nome alla serie; il Ballardini propose quindi come punto di riferimento per l’intero corredo l’anno 1511, seguito senza particolari obiezioni dai ceramologi successivi (7). La congiunzione degli emblemi delle due famiglie si trova in realtà in quell’unico vaso; ricorrono poi svariate volte l’orso araldico, lo stemma degli Orsini ed altri ancora sconosciuti, mentre non vi sono più allusioni ai Colonna. È pertanto forse piuttosto eccessiva l’importanza data a quell’unico esemplare, specie ora che I’attribuzione a Castelli e ad Orazio Pompei fornisce altri più concreti punti di riferimento.
Sono noti i rapporti degli Orsini con Castelli: un ramo della famiglia ne ebbe la signoria, con qualche interruzione, dal 1340 circa fino al 1525, con una breve ripresa di potere nel ‘26, anno in cui Camillo Pardo Orsini perse definitivamente il feudo e ritornò a Roma, dove mori nel 1553 (8).
Già al convegno esprimemmo l’opinione che la data “1511” non fosse affidabile, e che il nucleo maggiore del corredo fosse addirittura posteriore al 1525, anno in cui finì la dominazione degli Orsini su Castelli, e che si tendeva a considerare come limite estremo per questa produzione. Esso ha infatti un inequivocabile aspetto manierista, nei colori, nelle forme e nell’intonazione caricaturale di gran parte della decorazione. Gli stessi costumi dei personaggi effigiati sui vasi riportano a date posteriori al 1530 (Tav.
XCIVb): ad esempio, i lunghi corpetti delle vesti femminili, i piccoli colletti in pizzo e le velature trasparenti alla scollatura rimandano a quelli riprodotti da Nicolò dell’Abate in Palazzo Poggi a Bologna verso il 1550, e all’abbigliamento delle dame nei ritratti del Bronzino, ad esempio in quello della poetessa Laura Battiferri, eseguito prima del 1560.
Ma ancora più determinante éil fatto che il nucleo maggiore del corredo, caratterizzato da figure con profili leggermente grotteschi, mani con lunghe dita disarticolate e colori in cui prevalgono un blu e un giallo intensi, è riconducibile specificamente ai tipi e alla tavolozza di Orazio Pompei, la cui firma ricorre su uno dei mattoni di S. Donato e che è autore di due targhe, una con la Madonna e il Bambino, l’altra con 1’Annunciazione, datate rispettivamente 1551 e 1557 (Tav. XCIVa).
Un’altra data riferibile a Orazio Pompei e il 1569, che compare nell’iscrizione scolpita sulla facciata della sua casa. Queste date costituiscono l’unico sicuro punto di riferimento per l’esecuzione della maggior parte del corredo. Naturalmente non fu il solo Orazio l’autore di una produzione cosi vasta; a nostro avviso però essa é da ricondursi all’ambito della sua bottega poiché, anche se e evidente l’apporto di diverse mani, l’insieme è abbastanza unitario, e le personalità dei vari decoratori corrispondono in modo preciso a quelle riscontrabili nei mattoni cinquecenteschi di S. Donato.
Il 1511 é in realtà soltanto un termine “post quem”, ammettendo che l’episodio della “pax romana” sia all’origine dell’emblema che associa l’orso e la colonna, esso è reso con notevole differenza iconografica sia sulla medaglia che sul vaso del British Museum (9).
Allo stesso modo non è vincolante la fine della dominazione degli Orsini, che non avvenne d’altronde in maniera traumatica. Infatti fu lo stesso Camillo Pardo a rinunciare spontaneamente al feudo, dopo la sconfitta dei francesi, che egli aveva appoggiato contro l’imperatore Carlo V (10).
Si potrebbe obiettare che l’accostamento dell’orso alla colonna testimonia un raro momento di avvicinamento fra due famiglie tradizionalmente rivali; tuttavia la «pax romana» del 1511 non fu certo l’unica occasione del genere, nel corso del secolo XVI. Già alla fine del 1400 Francesco Colonna aveva sposato Lucrezia Orsini, e di tale unione si trovano allusioni nei testo del Polifilo, opera a lui attribuita; anzi, in Polia, ideale figura femminile del Polifilo, e riconoscibile per molti indizi la moglie (11). Il figlio Francesco II, nato nel 1494 e morto nel 1538, sposò Orsina Orsini.
Avvicinandoci maggiormente alla meta del secolo XVI ed oltre, troviamo nuovamente accostati in modo clamoroso gli emblemi dell’orso e della colonna proprio in Abruzzo, e in un’opera realizzata in ceramica. Si tratta della facciata, in piastrelle a rilievo della chiesa di Santa Maria delle Grazie in Collarmele, nei pressi di Avezzano. La chiesa fu costruita attorno al 1560 da una gentildonna, Silvia Piccolomini, moglie di Inigo Piccolomini d’Aragona, il cui crescente éanch’esso raffigurato sulla facciata; quest’ultima è di poco posteriore alla costruzione, risalendo, secondo Vittorio Casale, a dopo il 1571. e fu eseguita verosimilmente da maestranze napoletane (12). All’opera contribuì con tutta probabilità il signore del vicino feudo di Avezzano, Marcantonio Colonna, famoso condottiero della battaglia di Lepanto; questo giustificherebbe la presenza della colonna nelle mattonelle della facciata, ed anche quella dell‘orso, poiché Marcantonio aveva sposato una Orsini. Atale unione allude anche il portale monumentale eretto a ricordo della battaglia di Lepanto, tuttora esistente vicino al castello di Avezzano; in esso, ai fianchi di un piccolo stemma dei Colonna col collare del Toson d’oro, sono due grandi orsi affrontati in bassorilievo, ritti sulle zampe posteriori.
Come si vede, l’unione dell’orso e della colonna si trova in date ben successive al 1511, e più vicine a quelle in cui risulta operante Orazio Pompei.
Numerosi membri della famiglia Orsini avevano i propri feudi nel Lazio in località confinanti con l’Abruzzo. e non èda escludersi una committenza da parte del ramo romano. A Castelli non erano infrequenti le commissioni da Roma, come dimostra la presenza di stemmi Orsini, Farnese. Colonna su esemplari a fondo blu di recente attribuiti a produzione castellana della seconda meta del secolo (13).
Lo stemma dei Chigi compare in un piatto Orsini-Colonna ora all’Ermitage di Leningrado (Tav. XCIVb), uno dei pochi esemplari della tipologia di forma aperta, oltre all’alzata della Corcoran Gallery di Washington (14); la sua presenza. e quella di emblemi da farmacia diversi indica per la serie una pluralità di committenze. La maggioranza dei vasi erano probabilmente destinati ad essere esportati; tuttavia, un documento del secolo XVII ricorda l’esistenza di spezierie nella stessa Castelli, e nella vicina Fano Adriano (15).
Un problema di straordinario interesse e del tutto aperto é costituito dalla produzione della prima meta del secolo XVI; anche se la data del gruppo Orsini-Colonna deve essere posticipata, a Castelli doveva esistere un’importante produzione precedente, già famosa ai tempi in cui il Beuter scriveva, e attualmente difficile da ricostruire. Ad essa appartengono alcuni frammenti scavati dall’Archeoclub di Pescara, in particolare quelli di boccali stemmati circondati da una doppia cornice con un tratteggio orizzontale, secondo una tipologia diffusa in tutt’Italia dalla fine del ’400 ai primi decenni del 1500 (16).
Un’altra testimonianza documentaria di questa produzione precoce é una mattonella. la cui ubicazione ci é sconosciuta, pubblicata nel Corpusdi Ballardini, datata 1513, decorata con una palmetta e con una caratteristica scacchiera (17). Mattoni e frammenti sono però soltanto indizi di una produzione senz’altro molto più vasta; ci siamo quindi chieste se, fra le tipologie di difficile attribuzione attualmente visibili nelle collezioni dei principali musei. ce ne fosse qualcuna tale da poter colmare la lacuna e inserirsi nella produzione cinquecentesca di Castelli senza fratture con I’Orsini-Colonna, di cui avrebbe costituito l’immediato precedente, ma anzi con innegabili affinità.
L‘unico gruppo in possesso di tali requisiti è costituito da alcuni albarelli siglati “B” o “B°”, attribuiti generalmente a Siena, per la coincidenza con l’iniziale di Maestro Benedetto, oppure a Faenza, come e avvenuto per gli Orsini-Colonna, per una vecchia abitudine diffusa quando mancavano elementi concreti di riferimento (18). Questa lettera, eseguita con particolare accuratezza nella parte posteriore dei pezzi, più che l’iniziale di un ceramista, sembra però essere una sigla di appartenenza, e lo stile decorativo dei “B” non ha niente a che fare con l’unico piatto firmato dal maestro Benedetto, quello con S. Girolamo del Victoria and Albert, ne tantomeno con la produzione faentina.
Siamo anche qui nel campo del vasellame da farmacia, ma l’unica forma che ci è nota e quella dell’albarello, dal profilo ben definito e costante: cilindrico, rigido, con il restringimento al collo e al piede fortemente angolato. La rigidezza della sagoma, gli angoli decisi trovano preciso riscontro nelle forme ricorrenti negli albarelli Orsini-Colonna. anche se le dimensioni sono generalmente più grandi (Tav. XCVa, b).
Ciascuno degli albarelli «B» reca entro cornice filettata raffigurazioni allegoriche talvolta tratte da stampe; per alcune e possibile individuare la fonte nelle incisioni di Marcantonio Raimondi. Ad esempio, un albarello del museo di Cleveland reca una figura femminile nuda in atto di torcersi i capelli bagnati, derivata da una delle stampe del Raimondi che più successo hanno avuto presso i maiolicari, rappresentante la nascita di Venere (Tav. XCVIa, b); un altro albarello, un tempo nella collezione Ducrot, riproduce invece l’incisione della Temperanza, in aspetto di giovane donna che innaffia una pianta (19).
I colori del gruppo «B» sono vividi, e presentano tonalità affini a quelle dell’orsini-Colonna, anche se vi sono più limitate le campiture blu; inoltre parecchi dei motivi decorativi che circondano a fasce il collo e il piede degli albarelli ricompaiono sia nell’orsini-Colonna che nei frammenti di scavo da Castelli. In particolare coincide una specie di ghirlanda stilizzata con piccoli cerchi o punti al centro delle foglie (20) (Tav. XCVIIa, b).
Un altro motivo del “B”, costituito da una serie di scaglie puntinate, ricorre in frammenti scavati a Castelli (Tav. XCVIa; c). I paesaggi sul cui sfondo si stagliano le figure hanno anch’essi alcuni elementi significativi in comune con I’Orsini-Colonna e con le targhe di Orazio, specie nel modo di rendere le nuvole e i ciuffi di erba, anche se con maggior rigidezza (Tav. XCVIIIa, b). È proprio quest’ultima caratteristica, assieme alla più stretta aderenza ai modelli classicheggianti delle incisioni, e al tono meno caricaturale e meglio proporzionato delle immagini, che ci induce a ritenere il “B”precedente all’Orsini-Colonna. Ha infatti caratteri meno manieristi e più vicini al gusto raffaellesco o addirittura tardo quattrocentesco arcaizzante diffuso in ceramica nella prima meta del secolo. L‘adesione a simili modelli coincide generalmente, anche in altri centri, col periodo di massima diffusione tra i ceramisti delle stampe del Raimondi, cioè con gli anni che vanno dal 1520 circa al 1550.
L'attribuzione del gruppo “B” alla produzione castellana della prima metà del '500 é naturalmente soltanto una proposta, che necessita di ulteriori analisi e riscontri soprattutto archeologici. Riteniamo tuttavia opportuno avanzarla, proprio per incoraggiare gli studi verso un ambito che riserverà in futuro, ne siamo certe, ancora sorprese.
Note
(1) G. B. PASSERI, Historia delle pitture in majolica fatte in Pesaro e ne’ luoghi circonvicini, Nobili. Pesaro 1838 (prima edizione, Venezia 1756) p.51; P. A. BEUTER, Primera parte de la cronica general de toda Espana y specialmente del reino de Valencia, Valenza 1546; traduzione italiana di Alfonso d’Ulloa, Venezia 1556, cap. VIII, pp. 84 e 85. Il Beuter. nativo di Valenza, si distinse per studi teologici e fu protonotario apostolico sotto Paolo III.
(2) C. ROSA, Notizie storiche sulla maiolica di Castelli, Napoli, 1857 p. 34 (G. Liverani riteneva il mattone di Tito Pompei secentesco, v. Sulla maiolica di Castelli d’Abruzzo, «Faenza”, XXXVI (1950). n. 1-2, p. 18; tale opinione è stata ripresa di recente dal Donatone, v. Il soffitto della chiesa di S.Donato e la maiolica di Castelli d’Abruzzo, Napoli 1981, tav. 7-0. Delle targhe di Orazio la prima,firmata, rappresenta una Madonna con Bambino. ed e stata rubata; ne esistono però fotografie. La seconda, con l’Annunciazione, si trova nel Municipio di Chieti.
(3) C. Fiocco e G. Gherardi, Il corredo orsini—colonna nella produzione cinquecentesca di Castelli: proposte per un’attribuzione. in Antichi documenti sulla ceramica di Castelli, Atti del Convegno del 26 Agosto 1984, . Roma 1985, pp. 67-70.
(4) C. Ravanelli Guidotti, Note iniorno alle maioliche turchine, ibidem. pp. 43-45.
(5) C. de Pompeis. Nuovi contributi per l’attribuzione a Castelli della tipologia Orsini-Colonna,
Quaderno N. 13 del Museo delle Genti d’Abruzzo, a cura dell’Archeoclub di Pescara.
(6) Lo stemma antico di Castelli si trova in un vaso dell‘Ermitage di Leningrado, inv. F 2030. La firma di Orazio ricorre su una bottiglia riprodotta in C. DE POMPEIS, . cit., p. 19. e su un altro esemplare di
collezione privata che si spera verrà pubblicato fra breve.
(7) G. BAI.I.ARDINI, Fra i Colonna e gli Orsini, “Faenza” XX IV (1936), n. 1-2, p. 5.
(8) C. ROSA, Documenti e osservazioni storiche utili allo studio della maiolica di Castelli dell’erà rinascimentale, in Antichi documenti sulla ceramica di Castelli, cit, pp. 107 e 108.
(9) Non ci sembra che il vaso sia derivato iconograficamente dalla medaglia; comunque, non sono rare le riutilizzazioni in ceramica di medaglie coniate molto tempo prima, come avviene ad esempio nella
bottega. di Maestro Giorgio da Gubbio per le medaglie di Sperandio Savelli.
(10) C. ROSA, cit, p. 108.
(11 ) M. CALVESII, Il sogno di Polifìlo, Bologna 1980 p. 233.
(12) V. CASALE, Le maioliche di S.Maria delle Grazie in Collarmele, Centro Studi per la Storia della Ceramica Meridionale, Quaderno 1984. 111, pp. 9-30.
(13) Cfr. esemplari del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza. inv. nn. 6477, 7614, 6475.
(14) Leningrado, Ermitage, inv. F 3247; Washington, Corcoran Gallery, inv. 26 308.
(15) A. MARINO, La Valle sotto i Mendoza, in LaV alle Siciliana o del Mavone, Cassa di Rispar mio Provincia di Teramo, vol. 11, De Luca, Roma 1985. p. 57.
(16) Cfr. Antichi documenti sulla Ceramica di Castelli, op. cit., pp. 29 e 30.
(17) Il mattone datato 1513 è riprodotto in G. BALLARDINI, Corpus della maiolica italiana, I, Roma 1933, n. 47.
(18) Cfr. ad esempio O. Von FALKE, Catalogo della Collezione Pringsheim, L‘Aia 1914 e 1923, n.
86. Fra gli albarelli contrassegnati dalla sigla «B°» i piu noti sono al Kunstgewerbemuseum der Stadt
di Colonia, inv. E 1921; al Cleveland Museum of Art, inv. 40.12; al Paul Getty Museum di Malibu, California, inv. 84.DE.1 12; al Louvre, inv. OA 7390, OA 6306, OA 2629; alla Corcoran Gallery di Washington, inv. 26 400 e 26 404; al Museum fur Kunst und Gewerbe di Amburgo. inv. 1959.151.
(19) Cleveland Museum of Art. inv. 40.12; BARTSCH 2 6 (14) p. 3 13; G. BAI.I.ARDINI, Le maioliche della Collezione Ducrtl, Milano 1934, tav. 12, e G. BOLOGNESI, Di alcune maioliche nella collezione Giovanni
Bolognesi. «Faenza», XLI (1955), p. 8, Tav. IIIa; BARTSCH, 27 (14) p. 75.
(20) La ghirlanda ricorre anche nel versatore del Louvre, inv. OA 1670.
On the dating of the «Orsini-Colonna set and the “B°” set With reference to a mid-sixteenth century source, cited by Passeri, on the
excellence of the ceramic ware produced in Castelli in that period, the authors of this article confirm the existance of large-scale production at Castelli in the sixteenth century, of which past historians have had little evidence, but which has now been brought to light by a series of attributions and new findings. The typology of chemist's jars known as “Orsini-Colonna” are mainly concerned here, which has, due to the symbology featured on one of the jars in the set, been dated to 15 11, the year of the «pax romana» between the two families. The existance of other reconciliations between the two riva1 families during the course of the 16th century, and close observation of the style of the set in question, could bring this dating into question, suggesting that it be moved to a date later than 1511, and closer to that in which Orazio Pompei was working, the authors proposing that the work be assigned to his workshop. Having to bring forward the date of the “Orsini-Colonna” series, would leave us with a lacuna in our knowiedge of the flowering production of Castelli in the first half of the sixteenth century: the authors have at this point pondered on whether it might not be possible to fill this gap with certain known works presenting attribution and dating problems. One hypothesis, which naturally requires further analyses and'comparisons, suggests those majolica jars marked «B» or «B», which are generally assigned to Siena or Faenza. The rigidity of outline in these latter corresponds exactly with the forms current in the “Orsini-Colonna” majolica jars.
Datation du trousseau “Orsini-Colonna” et du service “B°”
Les Auteurs de cet article, se rapportant à une source du milieu du XVIe siecle, citée par Passeri, où il est question de la très haute qualité de la production céramique de Castelli de cette période, confirment l’existence d’une importante production tout le long du XVIe siecle a Castelli. Les historiens du passé ne possedaient qu’une mince documentation a ce sujet, mais de nos jours on est en train de la mettre au jour a la suite d’attributions et de découvertes. Dans cet article il est surtout question de la typologie de vases de pharmacie dite “Orsini-Colonna” qui, d’apres la symbologie représentée sur un vase de la série datée de 151 1, année de la “pax romana” (paix romaine) entre les deux familles. L’existence au cours du XVIe siecle d’autres épisodes de rapprocliement entre les deux familles rivales et I’analyse du style de ce trousseau pourraient niettre en discussion cette datation et suggérer de la déplacer a des dates successives à 151 1 et plus proches de celles où Orazio Pompei opere car c’est a son atelier que les Auteurs penchent pour assigner I’oeuvre. Si on devait baisser la date du groupe “Orsini-Colonna”, il resterait une lacune dans nos connaissances concernant cette florissante production de Castelli de la premiere moitié du XVIe siecle: a ce propos les auteurs ont suggéré une solution possible en proposant de rernplir cette lacuiie avec quelques oeuvres déjà connues dont I’attribution et la datation demeurcnt difficiles. IJne hypothese qui aurait. bien sur, besoin d’autres analyses et verifications, serait celle d’indiqlier les «albarelli» (vases de pharmacie) siglés «B» ou “B°”q u‘on assigiie d’habitude à Sienne ou a Faenza. Dans ces derniers la raideur de la silhouette ferait pendant aux formes qui reviennent dans les ((albarellin Orsini-Colonna.
Uber die Dntierung der Ausstnttung "Orsini-Colonna" und Gcrrnitiir "B°"
Mit Bezug auf eine vom Passeri angefiihrte Quelle aus der Mitte des 16. Jahrhunderts uber die hervorragende Keramikproduktion von Castelli zu .jener Zeit, betoneii die Verfasserinneri des Artikels das Bestehen einer umfassenden Keramikproduktion irn 16. Jahrhundert in Castelli, von der die Historiker in der Vergangenheit kaum Zeugnisse besassen und die nun durch eine Reihe von Zuschreibiingen iiiid Funde bekraftigt wird. Hier ist iin wesentlichen von der Typologie der sogenannten "Orsin-Colonna" Apothekengefasse die Rede, die aufgrund der Darstellung auf einem Gefass auf 1511 datiert wird, dem Jahr der "pax romana" zwischen dcn beiden Familien. Die Existenz weiterer Versohnungsepisoden zwischen den beideii i-ivalisierenden Fainilien im Laufe des 16. Jahrhunderts und die Betrachtung des Stils dieser Gefassreihe konnte die Datierung in Frage stellen und sie auf einen Zeitpunkt nach 15 I 1 verlegen, ynd zwar zur Zcit, in der Orazio Pompei tatig ist. Die Verfasserinnen neigen zur Anriahme, dass das Werk aus der Werkstatt dieses Kunstlers stammt. Wird nun ein naheres Datum fur die r(Orsiiii-(iolonna» Gruppe angenommeii, wurde aufgrund unserer Kenntnisse hinsichtlich jener bluhenden Keramikproduktion in Castelli in der ercten Hdfte des 16. Jahrhunderts eine Lucke offenbleiben: Hicrzu stellen die Verfasserinnen Uberlegungen bezuglich einer niogiichen Einordnung einiger schwer zuzuschreibenden und zii datierenden, bereits bekannten Werke in diesen Zeitrauni. Dabei konnten die mit «Bn oder "B°" ekennzeichneten ApothekergeFisse in Frage kommen, die allgemein Siena oder Faenza zugeordnet werden. Diese Vermutung bedarf naturlich weiterer Untersuchungen und Prufiingen. Bei diesen Gefassen ist namiich in den starren Linien cine erhebliche Ubereinstimmung init den Formen der "Orsin-Colonna" Apothekergefiisse festzustellen.