Carola Fiocco - Gherardi Gabriella. In Castelli e la maiolica cinquecentesca italiana (atti del convegno in Pescara 22/25 aprile 1989), Pescara, Umberto Sala editore, 1990, p.115-117
Studiando la targa con l'Annunciazione
conservata a Chieti e datata"
1557" ci aveva colpito la
presenza, in alto a destra sopra
alcune
architetture, di un
elegante vaso biansato e di due
albarelli completamente bianchi
(1).
Pensando ad una
possibile analogia con
quanto accadeva in
altri centri ceramici, come ad esempio
Faenza, in cui nelle stesse botteghe venivano
prodotti oggetti con una accesa
decorazione "a quartieri" di
stile fiorito, ed altri venivano
invece coperti con smalto
candido e coprente dal quale
presero il nome di «Bianchi»,
ritenemmo che anche a Castelli questa
tipologia dovesse essere
iniziata dopo la metà del
secolo, in parallelo con i vasi
«Orsini-Colonna» e
nelle stesse botteghe in cui essi venivano prodotti.
In Italia i «Bianchi» sembrano fare la loro
comparsa verso il 1540, in
ambito
padano-fiorentino.
Il Cellini, nella sua Vita,
parlando del suo soggiorno
a Ferrara avvenuto verso il 1540,
cita "un boccale di terra bianca, di
quella terra di Faenza molto
delicatamente lavorata" che potrebbe
essere appunto un'allusione ai
«Bianchi» (2). Ma soprattutto già dal
1540, in un documento, il
maiolicaro faentino
Francesco Mezzarisa si impegna con
Pietro del fu Francesco
Zambalini a "concordare totum colorem
album".
Da allora in poi comparvero «Bianchi» in
grande quantità nelle forniture del
Mezzarisa, come asserisce
Giuseppe Liverani (3).
La data "1557" che si trova sulla targa di Chieti è dunque estremamente interessante, e sembra testimoniare l'esistenza di oggetti di ceramica bianca a Castelli presso la bottega Pompei, dal momento che l'opera generalmente viene attribuita alla mano dello stesso Orazio, anche se non con certezza, ed è comunque stata dipinta da uno dei decoratori più raffinati della bottega dove fu eseguita una serie dei vasi Orsini-Colonna. .
Nel Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza si trova poi un albarello che ha come decorazione uno stemma circondato da tralci verdi, e un cartiglio farmaceutico riquadrato dalle caratteristiche bande gialle che compaiono anche negli albarelli Orsini-Colorma (4). Confrontandolo con gli albarelli bianchi della Annunciazione, possiamo constatare come il pittore non abbia affatto lavorato di fantasia, ma si sia limitato a riprodurre con esattezza oggetti usciti dalla sua bottega.
Allo stesso decoratore è attribuibile anche questo piatto del Museo dell'Hermitage in cui compare una figura femminile che reca in mano uno stupendo vaso bianco bacellato, ornato di uno stemma che il Kube identificò per quello dei Chigi (5). Se lo osserviamo più da vicino, notiamo la sorprendente vicinanza dei colori e della stilizzazione dello stemma rispetto all'albarello di Faenza. La forma baccellata, probabilmente ispirata a prototipi in metallo, è decorata anche da un piccolo tralcio a spirali contrapposte e da due bordi al collo e al piede con una tipica decorazione a foglie frastagliate.
Ci sembra particolarmente interessante paragonarlo ad una riproduzione tratta dal libro del prof. Donatone, di alcuni mattoni del soffitto secentesco di S. Donato, in cui è possibile vedere due vasi la cui forma e decorazione richiamano da vicino quelle del vaso sul piatto di Leningrado, testimoniando la lunga persistenza delle forme e dei motivi decorativi in ceramica (6).
Se fino ad ora soltanto l'albarello del Museo di Faenza poteva essere considerato una testimonianza, magari di eccezione, della produzione di «Bianchi» verso il 1555-65 nelle botteghe castellane, di recente abbiamo individuato un'altra opera ben più importante, che ci rende certe della produzione di pezzi non solo bianchi, ma anche con ornato compendiario, contemporanei alla tipologia Orsini-Colonna.
Si tratta di un grande piatto di 44 cm. di diametro (fig. l) dal retro lievemente baccellato, su cui è rappresentata la Strage degli Innocenti, dall'incisione di Marcantonio Raimondi. Passato nel 1987 in un'asta fiorentina, esso è stato pubblicato nel 1982 sulla rivista «Faenza» come un "bianco extra moenia" da Carmen Ravanelli Guidotti, che ne ha dunque già spostato l'esecuzione "al di fuori delle mura di Faenza (7). Ci sembra che, alla luce delle nuove conoscenze sulla tipologia Orsini-Colonna, sia ora giunto il momento di farlo entrare di diritto tra le mura di Castelli.
Vorremmo qui farvi osservare alcuni significativi raffronti fra particolari del piatto ed altri di oggetti castellani. Il motivo decorativo che borda la veste della madre col bimbo è identico a quello che viene usato in verticale nel mantello del vecchio su una famosa fiasca della collezione Mareghi, nel Museo delle Ceramiche di Faenza (8).
Il volto del carnefice di sinistra è paragonabile, anche se più compendiario e corsivo, al profilo dello stesso vecchio: in particolare, è necessario sottolineare il tocco di rosso aranciato che evidenzia sempre la bocca dei personaggi.
Ecco il paesaggio che, pur somigliando a
quello della stampa del Raimondi, è stato
trasformato dal decoratore in un caratteristico borgo dalle
case a spioventi molto
evidenziati, che compare sullo sfondo
di molti vasi Orsini-Colonna, cosi come è
tipico anche il modo di mettere in prospettiva porte e
finestre ad arco. Osserviamo ora
il gruppo in cui compaiono una madre col suo bimbo e un
carnefice, e notiamo come essi ostentino
con evidenza voluminose orecchie simili a
quelle del personaggio sulla bottiglia
Mereghi, su questo vaso
all'Hermitage di
Leningrado o su un albarello anch'esso nella
collezione Mereghi (9).
La madre che supplica in ginocchio ostenta la
sua chioma rosso arancio,
particolarmente somigliante,
anche se più scarmigliata pur nella pettinatura
classica, ai capelli
dell'angelo annunciante di Chieti.
La veste dell'angelo può poi essere paragonata per colore ed andamento grafico a quella di questo gruppo di madri che difendono i figli. Osserviamo le mani di questa figura femminile, con la loro forma appuntita dall'anatomia un po' ingenua, e confrontiamole con quelle della Madonna su un mattone di S. Donato a Castelli, o con quelle dell'Annunciata di Chieti. Potremo notare un'esecuzione più raffinata, ma con tutta probabilità attribuibile allo stesso decoratore in momenti diversi della sua vita.
Anche questi due putti che coronano la Vergine sempre da S.Donato, possono essere paragonati ai bimbi della "strage". Qui la forma plastica e il tratteggio sembrano dimostrare un maggiore vigore esecutivo, ma è pur sorprendente l'identità nel modo di tratteggiare i colori, alternando l'arancio al blu in modo da ottenere un effetto quasi leggermente livido della carnagione. Molto simili sono anche le teste tondeggianti, le labbra sottolineate dal tocco arancio e la resa dell'occhio.
Veniamo ora al caratteristico andamento
delle zolle del terreno, che possiamo trovare
in molti altri vasi del
corredo Orsini-Colonna, ma
che ci sembra particolarmente calzante paragonare
con quello su una bottiglia con Giuditta, passata in
un'asta di Christie's nel
1965, di cui purtroppo possediamo soltanto una
riproduzione in bianco
e nero (10).
Vi compaiono anche i ciuffi d'erba identici a quelli del nostro piatto, molto difficili da reperire in altri vasi del corredo. Questo potrebbe far propendere per una specializzazione all'interno della bottega: ai decoratori meno esperti erano forse riservati particolari del paesaggio o della decorazione giudicati meno significativi.
Osserviamo di nuovo l'insieme del piatto (fig. 1, v. anche Tavola 17 a colori) in cui, oltre alla vivacità dello smalto e dei colori, è possibile rilevare i problemi tecnici che l'uso del bianco coprente deve aver sollevato presso i ceramisti castellani.
Con tutta probabilità, proprio il tentativo di rendere la superficie bianca e coprente rispetto a quella dei vasi Orsini-Colonna ha provocato notevoli chiazze in cui lo smalto si è ritirato, lasciando scoperto il biscotto, cosa che risulta molto evidente anche sul retro, interessantissimo per la particolare baccellatura ondulata, che doveva evidenziare la bianchezza della superficie.
Si tratta dunque di un'opera che, anche attraverso i suoi difetti tecnici e talvolta la sua corsività decorativa, sembra narrarci una tappa del percorso delle botteghe castellane verso il raggiungimento di una perfetta tecnica e stile compendiari che si affermeranno di li a poco con il "Lollo" del frammento ritrovato a Castelli (11), e trionferanno alla fine del secolo e in quello successivo.
1 La targa è illustrata in Raccolta di Studi
ceramici dell'Abruzzo - Museodelle
ceramiche di Castelli, antichi documenti sulla
ceramica di Castelli,Roma 1985. Vedi anche Ibidem, C. FIOCCO - G. GHERARDI, Il
corredo Orsini-Colonna nella produzione cinquecentesca di
Castelli: proposta per una attribuzione.
2 BENVENUTO
CELLINI, Vita, Milano, 1954, II, 8, p. 258.
3 GIUSEPPE LIVERANI, La maiolica italiana, Milano, 1958 p.45. Vedianche
FRANCESCO LIVERANI, Figure e stemmi in maioliche
compendiarie faentine, in "Faenza", L, n.1-3, Faenza, 1964, pp.52-54.
4 Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche, inv. n. 8979.
5 KUBE, Italian Majolica XV-XVI centuries, Mosca, 1976 p.52, inv. n. F 3247.
6 G. DONATONE, Il soffitto della chiesa di S. Donato e la maiolica di Castelli d'Abruzzo, Cava dei Tirreni, 1981, tav. 31.
7 C. RAVANELLI GUIDOTTI, Un
"bianco" extra-moenia, in "Faenza"LXVIII, nn.5-6, Faenza 1982 pp.316-317. F.
Semenzato - Firenze,Mobili, arazzi, argenti, smalti,
bronzi, oggetti d'arte, maioliche
d'altaepoca, novembre 1987, Firenze, n.345.
8 C. RAVANELLI GUIDOTTI, Donazione Paolo Mereghi - Ceramicheeuropee
ed orientali, Bologna, 1987, pp.168-172, n.55 inv. n.6130.
9 Ibidem p.174 n.57, inv. n.6129. KUBE Op. cito p.14 inv. F 2030.
10 Christie's, Turkish pottery, important Italian majolica Renaissance, works of art. On tuesday, june 22, 1965, Londra, 1965, p.30 n.70.
11 C. DE POMPEIS, Ricerche negli scarichi delle fornaci e mattoni inediti di S. Donato, in "Raccolta di studi ceramici dell' Abruzzo", op. cit. p.20e tav.8