Carola Fiocco - Gherardi Gabriella, in "Faenza", bollettino del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, 1-6, 2010, pag.189
Capita a volte che la committenza renda speciale un oggetto altrimenti nella norma, conferendogli l’aura del personaggio che ne fu il proprietario. E’ il caso di questa fiasca in collezione privata (fig. 1), già di per sé di altissimo livello qualitativo, che appartiene alla produzione dei Bianchi di Faenza, ed è databile tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600. Lo smalto latteo, la forma ricca di rilievi e vibrazioni che lo valorizzano indicano con evidenza questa tipologia, gloria della maiolica faentina fra tardo rinascimento e barocco.
Quello che qui ci interessa maggiormente è però lo stemma,inquartato: nel 1° e nel 4° d’oro all’aquila di nero coronata d’oro; nel 2° e nel 3° d’azzurro a tre ruote d’oro, 2 e 1.
Si tratta dello stemma degli Inghirami (fig.2), una fra le più antiche famiglie di Volterra. Di probabile origine sassone, conta fra i suoi membri numerosi uomini illustri.
Il fatto che lo stemma abbia come sfondo una grande croce a otto punte le cui estremità sbucano ai quattro lati indica quale committente Jacopo (1565-1624), ammiraglio dell’Ordine di Santo Stefano[1] (fig.3).
Questo Ordine glorioso fu fondato per volontà del granduca Cosimo e del papa Pio IV Medici da Marignano, con Bolla del 1 febbraio 1562. Lo stesso Cosimo ne fu il primo Gran Maestro. La finalità, come per gli antichi ordini militari, era la lotta contro gli ottomani e i pirati barbareschi nel Mediterraneo, specie nel Tirreno, dove era fondamentale per la Signoria fiorentina la tutela del porto di Livorno. L’ordine si distinse immediatamente per una serie di campagne militari, che videro le sue navi schierate a fianco di quelle spagnole. L’emblema prescelto fu una croce rossa a otto punte bordata d’oro in campo bianco (fig.4); la sede fu dapprima all’Elba, poi nella città di Pisa.
Iacopo Inghirami è senz’altro il personaggio più famoso della marina stefaniana; si arruolò nell’Ordine quando era soltanto un ragazzo, divenendo prestissimo cavaliere.
Si distinse per valore e competenza militare, combattendo anche in Francia durante le guerre di religione. Ebbe infine il comando della flotta col titolo di ammiraglio, e in tale veste ottenne eccezionali risultati contro i turchi e i pirati barbareschi. Non si contano le navi catturate e il numero di prigionieri. Nell’autunno del 1600 ebbe anche l’onore di comandare la nave capitana della flotta che accompagnò in Francia Maria de’ Medici, novella sposa del re Enrico IV.
Fra le imprese di Jacopo, alcune sono di particolare rilievo: nel 1603 sconfisse alle Bocche di Bonifacio il famigerato pirata Amurat Rais, costringendolo a rifugiarsi in Algeri; nel 1605 conquistò Prevesa in Epiro, l’antica Nicopoli, Nel 1607 conquistò Bona, l’antica Ippona, in Algeria, e nel 1616 sconfisse nel canale di Negroponte le navi del bey di Rodi, comandate dal suo vecchio nemico Amurat Rais, che in questa occasione perse la vita. In seguito alla vittoria, Iacopo ricevette il titolo di marchese di Montegiovi.
La data del conferimento del marchesato costituisce per la fiasca un solido ante-quem, poiché in essa lo stemma non è sormontato dalla corona marchionale, ma da una semplice corona di patrizio. E’ stata quindi commissionata ed eseguita prima del 1616.
E’ probabile che facesse parte di una vera e propria credenza, ricevuta in dono o voluta dallo stesso Iacopo, di cui però non conosciamo altri esemplari. Nella seconda metà del ‘500 e nella prima metà del ‘600 i maiolicari faentini sono noti per le ricchissime credenze bianche, decorate in genere col solo stemma dei destinatari, che sono i protagonisti della Controriforma, cardinali, principi e grandi signori. L’eccellenza dei committenti testimonia il pregio in cui era tenuta la produzione faentina dell’epoca, che veniva esportata anche fuori d’Italia e ha fatto sì che il nome della città diventasse in molti casi sinonimo di maiolica. Ricorderemo qui, a solo titolo di esempio, i servizi per il Duca di Baviera, per la Corte di Spagna, per l’Arciduca d’Austria Ferdinando II, per Vincenzo I Gonzaga ed Eleonora dei Medici, per Francesco de’Medici, per Camillo IV Gonzaga di Novellara, per i cardinali Luigi d’Este di Ferrara, Alberici di Bologna, Guastavillani, Cesi, Farnese etc.
La maiolica bianca oltrepassava dunque di gran lunga l’ambito locale, era molto apprezzata e costituiva un vero e proprio simbolo di stato. Grazie a questa fiasca possiamo ora aggiungere, alle committenze illustri che la caratterizzano, il nome di Jacopo Inghirami, carico di gloria, evocatore di guerre di corsa sotto l’insegna della rossa Croce di santo Stefano, di navi catturate, di prigionieri mussulmani fatti schiavi e di schiavi cristiani liberati, di fortezze distrutte e di altre difese a oltranza. Sono ben poche le maioliche che possono riferirsi a un personaggio di tale fascino.
[1] Un altro Inghirami, Tommaso Fedra (1592-1626 ), nipote di Jacopo, che riprendeva il nome dell’umanista ritratto da Raffaello, fu a sua volta cavaliere di Santo Stefano a partire dal 1609. Morì a 34 anni e, pur essendo stato un valoroso combattente, non ebbe sicuramente la rilevanza del famoso zio, che fu anche il suo comandante. Poiché le credenze faentine della tipologia dei Bianchi si rivolgono in genere ad una altissima committenza, e sono destinate a principi, cardinali e personaggi di gran rango, riteniamo del tutto improbabile che la fiasca fosse destinata a questo secondo personaggio.