Le frecce spezzate.

 

Maria Grazia Morganti.

 

 

Nel suo documentatissimo volume dedicato al tema della Madonna della Misericordia, Tommaso Castaldi (1) indìvldua l'origine dell'iconografia della 'Madonna delle Frecce' in un dipinto realizzato nel 1375-76 per la chiesa genovese di S.Maria dei Servi da Barnaba di Modena, un pittore formatosi nell'ambito di Vitale da Bologna. Nella tavola, eseguita in occasione della cessazione della peste del 1372, compaiono infatti per la prima volta le frecce scagliate dagli angeli che si piegano e ricadono a terra inoffensive, respinte prodigiosamente dal mantello della Madonna, sotto cui trovano rifugio i membri della Confraternita che commissionarono l'opera. A rendere più efficace il messaggio il pittore mostra anche come tutti gli esclusi dal sacro riparo siano infilzati con inesorabile precisione, generalmente proprio nei punti, come l'inguine o la gola, in cui si producevano i bubboni. Durante il secolo successivo - in cui l'Italia fu funestata dalle continue epidemie di peste, con un andamento endemico che vide la malattia ripresentarsi a breve distanza di tempo in moltissime località - l'iconografia della 'Madonna delle frecce' si diffuse un po' dovunque, ma soprattutto Barnaba da Modena, Madonna della Misericordia, sec. XlV, nell'Italia centro settentrionale dove, pur con tutte le varianti che la fantasia e l'evolversi degli stili suggerivano ai pittori, restarono immutati la frontalità della Madonna e il suo ampio mantello gremito di fedeli in preghiera.

Ed è qui che emerge la particolarità dell'arte devozionale faentina - ma anche di quella romagnola in genere - ricollegabile al tema della peste, perché nell'immagine della B. V. delle Grazie non compare più il popolo lillipuziano in ginocchio,ma la scena è completamente occupata dalla Madonna cui viene assegnato, per così dire, un ruolo più attivo. Maria, infatti, non si limita ad offrire un riparo allargando il mantello, ma intercetta personalmente le frecce che stringe nel pugno chiuso e mostra ai fedeli in un gesto di rassìcurazìone e di vittoria sul male. Gesto di per sé eloquenteper dirla con Laeng, noi "vediamo le mani come un sostituto iconografico universale della parola" ed è quindi facile leggere nella loro postura "un 'isomottismo' della comunicazione verbale' (2). Le frecce, a loro volta, appaiono spezzate in vario modo, ma sono rappresentate sempre con la punta all'ingiù, in modo che la direzione rappresenti un' indicazione chiara di quale dovesse esserne il tragitto, interrotto miracolosamente dalla Vergine prima di una loro ricaduta sulla città. La nuova iconografia si diffuse in Romagna grazie ai domenicani, come sottolineano il mantello dell'ordine indossato sempre dalla Vergine che lo porta di volta in volta col cappuccio sul capo o sulle spalle, ma anche la presenza in primo piano di san Domenico nella tavola (databile al terzo decennio del Quattrocento) della Collegiata di san Michele a Brisighella, (vedi pag.31), dove il nuovo culto era stato con ogni probabilità portato precocemente dai canonici del duomo faentini trasferiti alla chiesa locale. La protoimmagine, (vedi pag.8), come è noto, risale al secondo decennio del XV secolo ed è da questo ex-voto ad affresco che derivano le caratteristiche essenziali di una rappresentazione che, a differenza di altre immagini devozionali mariane pressoché immutate nei "secoli, ha conosciuto notevoli modifiche col trascorrere del tempo. Il primo a cambiare è il volto della B. V. delle Grazie, che inizialmente presentava i tipici tratti di quell'estenuata bellezza bionda, da 'autunno del Medioevo' che furoreggiava nelle corti 

 

1 Castaldi 2011, pp. 236-37.

2 cfr. Bruno Laeng, Le icone. Uno studio psicologico dell'arte sacra, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 163-164.

europee del tardo gotico. La bocca piccola, le sopracciglia appena accennate, l'alta fronte bombata che l'apparentavano strettamente alle dame del corteo di Teodolinda del duomo di Monza, come pure l'espressione assorta e compunta, infatti spariscono per adeguarsi a nuovi modelli estetici e devozionali. Quanto alle variazioni, anche notevoli, che l'iconografia della B. V. delle Grazie ha presentato nei secoli - specie per quanto riguarda il gesto, lo sguardo, l'ambientazione e l'eventuale presenza della matrona Giovanna o di santi di cui si renderà conto a proposito di stampe e ceramiche - si potrebbe osservare come questi elementi contribuissero in fondo a dimostrarne la perpetua validità sganciata dall'av­ venimento storico cui pure si faceva riferimento, ma che veniva riproposto, per così dire, in un eterno presente. Restano sempre uguali, però, alcuni elementi irrinunciabili: l'assenza del Bambino (che ne fa una figura più moderna, sganciata dalla rigida codificazione delle icone bizantine che identificavano la Madonna quasi esclusivamente in rapporto al Figlio), le frecce spezzate, il mantello domeni­ cano col cappuccio, che forse varrà la pena esaminare.

E' facile osservare come le frecce siano elementi simbolici il cui impiego risale all'antichità, e soprattutto alla mitologia greca. La freccia, che in origine rappresentava i raggi del sole o i fulmini, rimanda sempre al concetto di ferita e di lacerazione. E se, associata a Cupido, diventa simbolo della passione amorosa o della ripulsa, a seconda che il dardo sia d'oro o di piombo, tra le mani di Apollo e Artemide è strumento dell'ira divina che colpisce con la peste gli Achei accampati davanti a Troia per l'affronto al sacerdote Crise o la città di Tebe per i crimini di Edipo.

Ugualmente nell'iconografia religiosa il dardo, in genere da considerarsi espressione visibile della collera celeste, può diventare invece segno dell'amore di Dio se a guidarlo è la mano dell'angelo che trafigge ("transverbera") il petto di santa Teresa d'Avila in estasi. Anche l'identificazione delle frecce col loro effetto, cioè le piaghe prodotte dalla peste, si mantiene immutata in ambito éristiano, ed è particolarmente evidente nell'immagine di san Sebastiano - il più noto, insieme a san Rocco, dei santi da cui si invocava la protezione dal contagio - ma altrettanto presente è il nesso causale, per cui l'epidemia rappresenta sempre la punizione divina per una colpa commessa.

In questa ottica anche la posizione delle braccia diventa significativa, come si è già osservato, perché si passa col tempo dalla semplice ostensione iniziale (le frecce spezzate vengono mostrate al popolo in segno di cessato pericolo) ad un gesto di vittoria, con le braccia completamente alzate, che sembra riecheggiare quello della più classica Madonna orante ma ancor più quello del Cristo in croce bizantino-romanico triumphans, in quanto risorto e quindi vittorioso sulla morte.

 

A ben vedere, anzi, riguardo alla Madonna orante si potrebbe parlare di somiglianza più apparente che sostanziale, perché il significato di quest'ultima immagine non va ricercato tanto nel gesto delle braccia alzate, quanto nella presen­ tazione delle palme aperte e rivolte verso l'alto che esprimono l'attesa del dono, ed anche la totale disponibilità ad essere "colmata dall'Alto", come mostra il formarsi di una figura a calice (il Vas spirituale delle litanie lauretane).

Ancor più, va sottolineato come questa iconografia, presente in tutti i popoli dell'antichità a partire dai babilonesi, e co­ munemente impiegata nelle catacombe come rappresentazione del defunto in preqhlera (3), riprenda un gesto antichissimo di preghiera che già nella Bibbia era associato alla vittoria, come si vede nell'episodio di Mosè (Esodo 17, 11-12) che, tenendo costantemente alzate le braccia verso il cielo, permette a Giosuè di sconfiggere Amalek.

E' da notare, poi, come l'iconografia vittoriosa si accentui notevolmente dopo la Controriforma, quando l'immagine della Madonna diventa uno dei punti

 

3 M. Giovanna Muzj, Il linguaggio catechetico dell'iconografia mariana in AA.VV., Il posto di Maria nella nuova evangelizzazione, Roma, E. Toniolo editore, 1992, p. 210.

 

di forza del discorso devozionale come segno di identità cattolìca (4) e Maria, di cui si sot­ tolinea il ruolo salvifico, viene assimilata alle eroine bibliche che hanno salvato il loro popolo dalle minacce nemiche.

In ogni caso la figura di Maria è sempre stata, nel tempo, assai ricca di sfaccettature perché, oltre a possedere tutte quelle qualità che in una dottrina monoteistica si riservano alla fheofòkos, la madre di Dio, come fu dichiarata ufficial­ mente dal concilio di Nicea del IV secolo, ha potuto attingere anche al vasto repertorio sacrale preesistente in area mediterranea, inglobando così molte prerogative e caratteristiche tipiche delle divinità femminili del mondo classtco (5). Vergine come Artemide, Mafer regina e protettrice del parto come Giunone Licinia, attiva nell'occuparsi della salute dei fedeli e nell'agire pro populo come la Bona Dea dell'antica Roma o nel vegliare sul focolare domestico e sulla famiglia come Vesta, Maria assume anche il ruolo tutelare tipico di Atena (6), quello che permette a Perseo e a Ulisse di portare a termine le loro imprese o agli ateniesi di sconfiggere contro ogni logica i fortissimi persiani.

In questa ottica è certo il mantello - che infatti compariva anche nelle antiche raffigurazioni di divinità romane propizie all'umanità come Pietas, Concordia, Fecunditas e Felicitss (7) - l'elemento che simboleggia maggiormente il senso della protezione, ricollegandosi direttamente a quello di Nut, dea egizia della notte e Grande Madre archetipica (cioè conteni­ trice di tutta la vita) nella simboloqia (8)junghiana. Nut stessa, del resto, veniva spesso raffigurata all'interno dei sarcofagi in un gesto - braccia alzate e mani aperte - che abbiamo visto caratteristico dell'orante ma che in quel contesto indicava piuttosto l'atto di "abbracciare" il corpo dei defunti e quindi diventava soprattutto consolatorio e protettìvo (9).

E forse il particolare favore di cui la B. V. delle Grazie - pur non essendo un'immagine miracolosa di per sé, come era invece la Madonna del Fuoco, ma solo la rappresentazione di un miracolo - ha sempre goduto presso i fedeli faentini, potrebbe risiedere proprio in questa particolare rappresentazione di Maria come Grande Madre potente e benevola. Una predilezione che, potremmo dire, si configura come vero e proprio 'attaccamento filiale', forse perché questa immagine incarna alla perfezione, dal punto di vista visivo, quella "base sicura" che per molti psicanalisti e' terapeuti intantili (10) rappresenta l'ideale figura materna da cui il bam­ bino (e la società quindi, per logica estensione) riceve piena rassicurazione. Proprio la presenza congiunta del mantello e delle frecce spezzate, costituisce infatti il simbolo eviden­ te della sua capacità di essere disponibile, sempre pronta a rispondere quando viene chiamata in causa, per incoraggiare e dare assistenza, ma anche intervenendo attivamen­ te in caso di necessìtà (11).

In ogni caso la Madonna faentina apparirà nel tempo anche più in linea col dettato controriformistico. I'irnrnaqtne del­ la Vergine che osava opporsi al volere divino di punire gli uomini, riparandoli sotto il suo mantello, fu infatti condan­ nata dai teologi del concilio tridenti no che la giudicarono di una

 

4 cfr. in proposito Daniel Estivill, s.v."Maria" in Iconografia e arte cristiana, Torino, Edizioni San Paolo, 2004, voI. II. p. 862.

5 V. Sergio Bertelli, Il re, la vergine, la sposa. Eros, maternità e potere nella cultura figurativa europea, Roma, Donzelli, 2002, p. 37 per l'analisi della persistenza degli antichi attributi (luna, melograno, giglio) e sulla rappresentazione in piedi e in trono della Madonna a somiglianza di Giunone, Cibele, Iside, Diana ecc.

6 Joseph L. Henderson in Cari G. Jung (a cura di), L'uomo e i suoi simboli, Milano, Raffaello Cortina Editore; 1983, p. 111.

7 cfr. in proposito gli studi compiuti sulle antiche monete romane da Susan Solway, A Numusmatic Source of the Madonna of Mercy, in "The Art Bulletin" n. 67 (1985), pp. 359-368.

8 Henderson in Jung 1983, p. 133.

9 Ibidem.

1O V. in particolare gli studi di Bowlby e Mary Salter Ainsworth.

11 cfr. John Bowlby, Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell'attaccamento, Milano, Raffaello Cortina, 1989 (ed. orig. A Secure Base, 1988), cap. 1, passim.

 

ingenuità perlcolosa (12) e quindi da evitarsi. In effetti l'iconografia della Madonna della Misericordia scomparve dalla pittura "colta" delle grandi città, ma non dai gonfaloni delle confraternite e dai dipinti dei piccoli centri, dove evidentemente venne giudicata a lungo irrinunciabile per il conforto che sapeva dare alle popolazioni terrorizzate dalle epidemie e da tutte quelle catastrofi naturali (terremoti, incendi, alluvioni, carestie) che venivano comunque ricondotte al castigo divino .

 

A margine, potrebbe essere interessante notare come, contrariamente a quanto avviene in altre città dell'Italia centrosettentrionale, al titolo di "Madonna delle Misericordia" non corrisponda a Faenza l'immagine della Vergine che ripara sotto il suo mantello i fedeli (che pure appare testimoniata in qualche opera) ma un'altra immagine mariana a mezzo busto. Come mostrano infatti le tavole venerate nella chiesa delle monache di santa Chiara e nella chiesa rinascimentale di santo Stefano (13), il termine riportava piuttosto alle rappresentazioni gotiche della Madonna che scambia gesti affettuosi col Bambino. Il prototipo sarebbe quindi da individuarsi nelle tipologia mariane di origine bizantina della G/ykofilousa ("del Dolce Bacio" o "delle Carezze") o forse ancor meglio della Madonna Elousa ("della Tenerezza" o, per l'appunto, "della Misericordia").

 

Maria Grazia Morganti

 

 

12 V. Jacqueline Brossollet, Alcuni aspetti storico-artistici della peste in Europa in Venezia e la peste,.cat. mostra palazzo ducale, Venezia, Marsilio, 1979, p. 203.

13 Le sacre Immagini 1999, pp. 127-128.

 

Cerca nel sito

Loading
Per essere aggiornato sulle novità, leggi le NEWS