Uno dei modi più interessanti di studiare la ceramica è cercare in essa il riflesso della storia, dei personaggi e delle vicende che hanno segnato l’epoca di esecuzione. Nel secolo XIV questo avviene innanzitutto mediante l’utilizzo nella decorazione dell’araldica, cioè di quel complesso di segni, emblemi, imprese che rappresentano visivamente la nobiltà familiare. La sua presenza sul vasellame testimonia l’appartenenza o l’omaggio a una famiglia illustre, ma anche la sua popolarità. Gli stemmi non significano necessariamente che l’oggetto era destinato a un membro di quel determinato casato, ma che esso era rispettato e conosciuto nel territorio. Non deve sorprendere perciò, come si apprende in una cronaca cinquecentesca, che boccali con lo stemma dei Bentivoglio, signori di Bologna, venissero venduti sul pubblico mercato.
L’araldica è in genere molto utile a chi studia la ceramica. Può contribuire a collegare gli oggetti a una determinata area e può aiutare a precisare l’epoca in cui l’oggetto è stato eseguito. Soprattutto lo rende affascinante, lo toglie dall’anonimato degli oggetti d’uso restituendogli in certo modo una personalità. Le maioliche così ornate costituiscono una testimonianza degli avvenimenti politici e d’arme, dei personaggi, delle lotte, degli intrighi che i libri di storia raccontano. Sono protagonisti sopravvissuti, giunti fino a noi con addosso le tracce del passato. Occorre tuttavia identificare correttamente gli stemmi, che spesso sono molto simili, e talvolta si differenziano solo per un colore. Poichè il vasaio del Trecento utilizza soltanto il verde e il bruno, ed ha una tendenza a deformare liberamente i segni, ne deriva che il problema di riconoscere l’araldica è tutt’altro che risolto. E’ meglio dunque vincere la tentazione di individuare sempre e comunque personaggi ed emblemi, a meno che il contesto non incoraggi a farlo.
Ecco dunque un boccale faentino del Museo delle Ceramiche, che ha come unica decorazione le chiavi incrociate obliquamente, emblema del Papato. Ci ricorda che Faenza ha fatto parte del territorio della Chiesa almeno a partire dall’VIII secolo, anche se solo nel 1278 l’imperatore Rodolfo II liberò ufficialmente i sudditi romagnoli dal giuramento di fedeltà nei suoi confronti, riconoscendo pienamente i diritti della Chiesa.
Malgrado ciò, a Faenza la famiglia dominante era quella dei Manfredi, signori della città a partire dal 1313, anno in cui Francesco I assunse il potere in nome del popolo e per la parte guelfa usurpando poi nel 1322 il titolo di Signore. La signoria durò fino al 1501, quando fu eliminata da Cesare Borgia. Di conseguenza, lo stemma Manfredi e l’emblematica ad esso legata è visibile su numerosi boccali trecenteschi (fig.10), che testimoniano così la situazione politica della città. Anche il resto della Romagna era solo nominalmente soggetta al papato, mentre nella realtà quotidiana numerosi signori si erano impadroniti del territorio. Contro costoro venne inviato l’Arcivescovo di Toledo, Cardinale Egidio Carrillo de Albornoz, legato e vicario generale in Italia dei papi Innocenzo VI e Urbano V. Venuto in Romagna con un esercito per riportarla legittimamente al dominio papale, nel 1356 egli entrò in Faenza. Un gruppo di boccali del Museo Internazionale delle Ceramiche (fig.11) celebra l’avvenimento recando il suo stemma, e al tempo stesso permette di conoscere con un certa precisione qundo furono eseguiti. Questi boccali però, così preziosi per l’indicazione cronologica che forniscono, non rispettano però i reali colori dello stemma albornoziano, e resta il dubbio che possa trattarsi di un ecclesiastico della famiglia dei Pritelli o dei Pasi.
Nello stesso museo un boccale reca lo stemma del Cardinale Angelo Anglico Grimoard, fratello di papa Urbano V, inviato in Romagna come legato nel 1368 (fig.12). Nel 1371 scrisse una descrizione della Romagna (Descriptio Romandiolae) e fece costruire la Rocca di Faenza, demolita nel secolo XVIII per far posto all’ospedale.
Ritornando ai Manfredi, nel ritrovamento di ceramiche trecentesche avvenuto nel 1960 nel cimitero di Faenza fu trovato un boccale con l’emblema della stella a otto raggi, campita in verde e delineata in bruno. In essa è possibile riconoscere un emblema personale di Astorgio I, fra i personaggi più interessanti della famiglia, pronipote di quel Francesco che per primo si proclamò signore di Faenza. Divenuto a sua volta signore nel 1372, Astorgio fondò nel ’79 una compagnia di ventura chiamata “della Stella”, distrutta poi nello stesso anno in una battaglia nei pressi di Genova. Con l’emblema della stella Astorgio aveva fatto decorare una delle sale del Palazzo del Popolo. Come altri della sua famiglia, anch’egli ebbe una fine tragica. Accusato di tradimento, fu decapitato sulla pubblica piazza nel 1405 per ordine del cardinale legato Baldassare Cossa, poi papa scismatico col nome di Giovanni XXIII.